capitolo 18: come sempre

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"è un nuovo locale, verso san teodoro. vane sta lì nei paraggi e ci ha invitati." ignazio parlava con mauri e manu, io e nic eravamo appena rincasati, con ancora la sabbia tra le dita dei piedi. sotto la doccia, purtroppo, ebbi abbastanza tempo per pensare. troppo tempo, forse. mentre infilavo i jeans, facendo piuttosto fatica per via della pelle ancora umida, pensavo a quanto rapidamente tutto era precipitato. in un lasso di tempo quasi da record. dovevamo spostarci di parecchi chilometri da olbia, e ci servirono quasi tutte le macchine presenti, considerato che non tutti avevamo la patente, me compresa per ovvie ragioni. chiacchieravamo in gruppo, distratti, nel parcheggio davanti casa. stava per farsi buio, ma non era ancora buio. tuttavia intravidi una fetta di luna comparire, sempre più luminosa. poi qualcosa mi sfiorò il gomito, facendomi voltare di scatto. il viso stravolto di davide si palesò a pochi centimetri dal mio. le occhiaie, le labbra screpolate, quegli occhi immensi. avrei voluto fossimo altri, avrei voluto funzionasse.
"ehi." avevo già troppa ansia addosso, ci mancava solo un'altra discussione.
"ti va di venire con me, in macchina?" se mi andava? che problemi aveva? davvero credeva che avrei dimenticato tutto, e sarei andata con lui? dio, odiavo la mia impotenza, perché finii con la mano fuori dal finestrino, il vento tra i capelli, e lui che guidava di fianco a me.
"mi dispiace..." non sapevo perché l'avessi detto. non era solo colpa mia. affatto.
"no." m'interruppe sollevando per un attimo la mano dal cambia marce.
"non c'è bisogno che tu dica niente. forse..."
"cosa?" stavolta fui io a bloccarlo, con tono palpabilmente teso.
"forse è meglio che restiamo...amici?" mi veniva da vomitare. presi un lungo respiro per evitare di mettermi a piangere, poi alzai il finestrino. che cazzo, era l'ultima cosa che volevo, che mi vedesse fragile. tutte le volte che lo facevo, non andava mai a finire bene. questa non era una storia a lieto fine, perché evidentemente tutto ciò che era stato di noi, a davide non era mai importato.
"o..okay." cos'altro avrei potuto rispondere? forse pensavo davvero che avesse voglia d'impegnarsi a rimediare, tanto quanto me. eppure il silenzio più intimidatorio si espanse in macchina, fino al momento dell'arrivo. non vedevo l'ora di andarmene da lì, il più lontano possibile. rimpiansi l'offerta del passaggio di manu, a cui ora stavo andando in contro. entrammo nel locale, io mi avvinghiai al braccio di nico, e decisi in quel momento che non l'avrei più mollato. forse un giorno gli avrei raccontato tutto, chissà. ma ora avevo soltanto bisogno di lui e della sua presenza. per un attimo praticamente mi scordai da chi avevamo ricevuto l'invito, quella sera, ma infondo non mi fregava manco più un cazzo. senza il consenso di davide, sembrava che un cazzo avesse senso.
"dove l'hai lasciato, da'? te lo sei mangiato?" mi chiese nic abbassandosi appena, con un sorriso stampato in viso. io ancora incollata a lui. mi girai e lo vidi seguirci, a ruota, con le mani in tasca e quell'aria da cane bastonato. non dovevo dimenticarlo, era lui che voleva tutto questo, e io non potevo far altro che accettare questa sua scelta.
"è dietro di noi." non feci in tempo a voltarmi di nuovo che sentii vociferare. e poi, l'inferno. manu, l'artefice di tutto, a cui però non avrei potuto affibbiare alcuna colpa, era girato di spalle, parlava con vane. quest'ultimo non era cambiato molto, era sempre altissimo, per la sua età. rasato come sempre, probabilmente non aveva mai cambiato taglio di capelli. indossava una canottiera bianca e dei jeans scuri, di cui però non riuscivo a distinguere il colore esatto, sotto quelle luci innaturali. ci venne incontro. a pensarci meglio, l'unica persona che conosceva più o meno bene, là dentro, ero io. infatti porse la mano a nic, per la prima volta.
"piacere, alessandro." la sua voce era impastata, doveva aver già bevuto un bel po'. parlarono per pochissimo, e dopo spostò l'attenzione su di me.
"ciao."
"ciao." vane guardò nic, come lo conoscesse da una vita, e nonostante fossi io la sua fidata, ascoltò il suo, di sguardo, e fece ciò che più temevo; se ne andò. lo fissai camminare via da me e raggiungere gli altri, tra cui anche davide. ma ora sentivo gli occhi di vane congelati su di me, e quasi avevo freddo. portai le mie braccia conserte, più come per abbracciarmi da sola, perché sentivo di averne un bisogno fottuto.
"allora..come va?" fu lui il primo a parlare, era sempre stato il più cordiale dei due. poi pensai a come andava realmente.
"tutto bene, a te?" sorrise, io mi chiesi il perché. magari trovava divertente il mio nervosismo.
"me la cavo." se la cavava sempre, lui. non stava mai bene, o male, ma se la cavava. pareva una frase fatta, oramai.
"manuel mi ha mandato alcune tracce. niente di ufficiale, alcune nemmeno mixate. ma mi piace quello che state facendo." stavolta sorrisi io.
"beh son felice tu non sia stato obbligato, a prestarci il tuo talento." rise piano, composto. se fuori non era cambiato granché, ora che parlavamo mi resi conto di quanto fosse maturato, in questo periodo di tempo.
"quando ci siamo conosciuti eri una formica. ora hai più followers di me" se ne uscì d'un tratto, sempre piuttosto svagato.
"da quando t'importa dei followers?"
"da mai." ora risi io, cercando di imitare la sua temperanza.
"comunque, lo sai cosa intendevo." un brivido mi percosse la schiena.
"si, se non ti offendi, ti dico che ho inteso."
"nah non sono come quei succhiacazzi. mi piace vedere le persone a cui tengo far strada. è quello che ti meriti, erica."
"grazie" dissi più sincera che mi riuscisse. sapevo pensasse davvero quello che diceva.
"e un drink non me lo merito?" proseguii allora. l'idea mi frullava in testa da fin troppo tempo, ormai. alzò l'angolo destro della bocca in un sorrisino compiaciuto, poi si allontanò per darmi ciò che volevo. in quell'attimo tuttavia mi resi conto di come in realtà, non avevo la minima coscienza di ciò che desiderassi davvero, e che ancora una volta stavo sbagliando tutto. perché sentivo costantemente un vuoto nello stomaco, e la mancanza di qualcosa. perché mentre fissavo i lineamenti freddi e distaccati di quel ragazzo, persistevo a sperare nella vista del volto di davide.

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