capitolo 29: davide's pov. due birre e un cuore

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farfalle nello stomaco. nient'altro ero capace di formulare in un pensiero. nulla che non fossero quelle fottute farfalle nello stomaco. e il groppo in gola, e l'idea che mi fremeva in testa, fino alle punta delle dita. mi chiesi senza di lei che vuoto mi avrebbe logorato, e mi salii la nausea. nicolò era venuto da me subito dopo il nostro rientro a milano, doveva sistemare alcune cose nel mio pc. se ne sarebbe dovuto andare a momenti, perché il sole stava calando, ed io in ogni caso l'avrei anche obbligato a farlo, se fosse
stato necessario.
"cazzo bro, devi datte na calmata però." sogghignava sotto i baffi, lo vedevo dal riflesso oscurato del display. io ero seduto sulla punta del mio letto.
"se potessi lo farei.." ora mi guardava. sbuffai mentre presi a frugare nelle mie tasche.
"dai ciccio, non puoi accoglierla strafatto. fai sto sforzo."
avevo già il filtro in bocca, ma aveva ragione. lasciai perdere. allora presi di fretta il mio portafoglio, sentendomi addosso gli occhi confusi di nicco. agitai al vento un durex sigillato. non volevo, ma con nico era tecnicamente impossibile non esternare le proprie apprensioni.
"merda, ma allora avete.."
"no coglione. chi cazzo conserva un profilattico usato?"
"chiedevo..." alzò le spalle, io sorrisi appena. non pienamente, perché la mia coscienza non mi permetteva di giungere a quel tale livello di spensieratezza.
"non sono mai stato così agitato prima" confessai allora guardandomi le mani. era vero, dio, e non lo capivo. o forse non volevo farlo.
"perché sei agitato?"
"non l'ho mai fatto con una vergine.."
"pf lo so bene. puttane, perlopiù." rideva come uno stronzo. non era nemmeno quello, il punto, infondo.
"nico so serio, piantala. c'ho caga come mai, cristo."
"okay okay.." per un momento sembrò esser divenuto finalmente serio, ma appena mi sedette affianco tornò la sua solita faccia divertita e che divertiva. non lo faceva apposta, io lo sapevo.
"bro, lo sai che andrà tutto bene. non devi mica farlo pe forza."
"lo so, è che lei lo vuole."
"non voglio farmi i cazzi tua ma...perché, tu non vorresti?"
"certo che lo voglio. dio, che cazzo di domande sono.."
"ah non lo so, sembra che stai pe fa la matura da quanto sei conciato a male." gli tirai piano una sberla col palmo, sulla sua spalla.
"che succede davidino?" stronzo. non riuscivo a pensare ad altro mentre si prendeva gioco di me, esibendo i suoi denti nell'ennesimo molesto sorriso pungente.
"me sento sempre come se sto pe rovinà tutto" svuotai finalmente la coscienza, con tuttavia lo stomaco stipato.
"perché?"
"perché con lei mi piace parlare.." mi presi qualche secondo, mentre spostai la vista sul muro bianco dinanzi a me. mi rendeva le cose più facili, potermela immaginare in tutto il suo equilibrio.
"mi piace anche stare in silenzio, con lei, ed è assurdo. mi piace fumarci, mi piace anche rassicurarla quando per me non è mai certo un cazzo. non lo so, mi sento un idiota..."
"non lo sei, davi." ora lo guardavo.
"e sono felice che qualcuno ti faccia sentire così. sul serio." provai a restituirgli la trasparenza alzando un angolo della bocca. mi venne spontaneo, a dire il vero.
"e la barista?" gli si dipinse l'imbarazzo in volto, ma alla fine cedette. così tanto che per zittirlo ormai nemmeno una catastrofe avrebbe potuto servire a qualcosa.
"..ed il guaio è che non ho nemmeno il suo numero" concluse mentre sbraitava a destra e a manca in quei pochi metri quadrati di camera mia.
"non le hai chiesto il numero? sei fuori?"
"lei ha il mio, ciccio, e non si è ancora fatta viva."
"lo farà." mi fissò male.
"lo farà" ripetei sorridendogli. alla fine ci salutammo sulla soglia di casa.
"divertiti stasera. ma non troppo. il giusto, ecco..." s'incartava nelle sue stesse parole.
"sisi" lo misi a tacere quasi spingendolo fuori. era incredibile.
"è la volta buona." e con quelle parole, per dire finalmente, mi lasciò al silenzio della solitudine. che tuttavia durò ben poco. i pensieri erano rumorosi come nessun altro fragore sapeva essere, ed in men che non si dica quello del citofono mi distrasse. dal fango che avevo in testa ed in gola, facendolo subito dopo accrescere in me. sbirciai la sua immagine alla porta, seppur ben sapessi che avrei trovato la sua, e quella di nessun altro. i suoi occhi sembravano sempre più grandi, ogni volta che li studiavo. ma di tempo per contemplarli ce ne sarebbe stato, sperai abbastanza, e non la feci aspettare ulteriormente. un minuto,
forse più, ci mise per salire al quinto, e poi mi comparì davanti all'ingresso. aveva indosso dei jeans slavati, che prima non le avevo mai visto portare, abbastanza grandi per nascondere quelle curve che io però già conoscevo troppo bene. non poteva ingannarmi, seppur fosse la più avveduta che conoscessi. di sopra una maglietta celeste, con la stampa di una piccola farfalla blu appena sopra a dove doveva esserci lo sterno. le lasciava le braccia scoperte, così che ora cercava di coprire la pelle nuda, portandole conserte.
"ehi." la sua voce era chiara.
"pensavo ti saresti persa." le avevo inviato la posizione, ma qui intorno i palazzi erano tutti uguali. tutti un po' infelici, forse.
"c'è mancato poco, in realtà..." sorrideva appena, e le si disegnò una piccola fossetta sulla guancia destra. era carina.
"dai vie qui." chiusi la porta dietro di lei, e non feci in tempo a rigirarmi che già era accovacciata a terra.
"o mio dio..." eruppe con quella vocina con cui ci si rivolgeva ai cuccioli.
"non mi avevi mai detto di avere un micio!" lulù miagolò, poi le si strusciò addosso le ginocchia ricurve, sollevando la coda, dopo abbassandola ancora.
"non pensavo ti piacessero."
"scherzi? sono le creature più belle del mondo" rispose girandosi fugacemente nella mia direzione, per poi impiantare nuovamente l'attenzione sul gatto. io superai le due creature adagio, andandomi in seguito a sedere sul divano a pochi centimetri di distanza da loro. a gambe aperte, le mani in mano, non riuscivo a smettere di sorridere. dio, che stupido.
"l'avessi saputo prima l'avrei usato per rimorchiarti." mi guardò appena malamente, ma era lo stesso maledettamente aggraziata, in ogni gesto e movimento.
"è un maine coon, ve?" a star con me cominciava a parlare come me. era peggio dell'insulina.
"si." ne sapeva di quella roba. io a malapena ricordavo l'unica razza dell'unico animale che avevo.
"come si chiama?"
"lulù." fece il labbruccio mentre la coccolava, e lei le faceva le fusa. non sapevo chi delle due fosse più adorabile. non mi riconoscevo nemmeno nei pensieri, di quelle stronzate a me non era mai fregato un cazzo. io quasi nemmeno ci credevo, in quelle cose.
"vabbè, t'importa più del gatto che di me, ce devo sta." si alzò in piedi. i capelli tersi erano adesso scompigliati.
"non fare lo stronzo. non di già." sorrisi, malpensante. non lo feci apposta. merda, ero teso come lo schifo, ora che ci ripensavo. lei venne a sedersi al mio fianco. sentii il suo profumo, di cui ora quella casa vuota era piena. non capivo come facesse a mantenere quella calma. sembrava sovrannaturale, lo giuro.
"casa tua è bellissima."
"ti piace?" annuii guardandosi un po' intorno. era capace di trovare qualcosa di speciale anche nel niente.
"vuoi qualcosa da bere?" fece un mezzo sospiro di sollievo.
"aspettavo che me lo chiedessi." infatti, avevo proprio tutti i torti. non era calma per un cazzo, e paradossalmente questo mi rasserenò. mi ritirai per brevi istanti in cucina e tornai da lei con due peroni stappate e fumanti in mano. nel porgergliene una, le sue dita sfiorarono le mie. erano freddissime.
"penso alla faccia di manu se dovesse vederci ora" affermò divertita, intanto che il vetro della sua bottiglia toccò il mio, pur non sapendo esattamente per che cosa stessimo brindando. facemmo il primo sorso quasi simultaneamente. manu, se era per questo, era soltanto uno stronzo. ma non dissi nulla, me ne restai qualche attimo in silenzio a guardarla. decisi in quel momento che l'alcol non mi sarebbe servito ad un cazzo, che era lei a farmi girare la testa da matti.
"anche io avevo un maine coon" se ne uscì prima che potessi accennare a null'altro.
"come si chiamava?" che domanda del cazzo. cristo.
"coco." mi passai la lingua sul labbro inferiore, sentii il malto. eravamo così vicini.
"è un bel nome." eppure non era certo quello a cui stavo pensando, mentre le fissavo le labbra. poi d'un tratto smise quel contatto visivo, e prese un altro sorso dalla bottiglia, che stringeva forte con le sue piccole dita fredde. tornò con gli occhi neri nei miei quasi subito.
"davide.." proferì in un sol respiro.
"si?"
"ti senti mai come..come se nulla avesse senso?" mi stupiva ogni volta, e l'avrei ascoltata parlare tutta la notte. l'avrei sostenuta liberarsi da qualsiasi peso tipo in ogni momento, mi dissi.
"si." deglutì.
"e..e poi trovi quella cosa, o quella persona..che un po' te lo fa ritrovare, il senso.." guardò il soffitto, poi ancora me. dio, come mi metteva in soggezione, quella ragazza.
"ma hai comunque una paura fottuta di comprometterti, e di rovinare tutto."
"lo so." non dissi null'altro, e mi sentii ancora uno stupido. me lo suggeriva il suo sguardo ora appena distaccato. non dissi niente, ma di starmene lì, a guardare la tristezza che le si dipingeva negli occhi, veloce come il barlume di una saetta, non mi andava per nulla. l'avvicinai a me più celere del suo sconforto. la baciai, mentre dentro traevo sospiri di tregua nel sentire sulla lingua il suo solito, che mai stancava, sapore di casa.

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