capitolo 11: sabbia

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"è deserta" disse all'improvviso davide riferendosi alla spiaggia, mentre fissava la sabbia gelida sotto i suoi piedi nudi. aveva mollato le scarpe metri prima, ed io con lui.
"te l'avevo detto." mi guardò e scosse la testa, senza spiccicare mezza parola. non lo sopportavo, perché quel silenzio lasciava posto a pensieri, all'insinuarsi di quella merda nella testa, pur di riempire un qualsiasi vuoto, in quel caso di comunicazione.
"comunque grazie" se ne uscì fissando davanti a sé. l'acqua, si muoveva senza fermarsi, perché il vento soffiava. perché forse dio aveva deciso così. non lo so, non ci credevo nemmeno in ciò che non vedevo, e romanticizzavo comunque i sentimenti come fosse stato il mio hobby preferito. ma vedevo il mare, e sentivo la tensione.
"per cosa?" gli chiesi allora. lui non rispose, non lo faceva mai subito. forse pensava a cosa dire, forse gli piaceva torturarmi. poi si sedette per terra, senza preoccuparsi di sporcarsi o altre stronzate. io lo seguii a ruota, e mi sembrò l'unica cosa di cui fossi stata capace. davide prese a giocare con la sabbia, come i bambini.
"per ieri.." finalmente si azzardò a parlare. io ero confusa, forse incazzata.
"credi davvero che baciandoti ti abbia fatto...un favore?" affermai facendo più fatica sull'ultima parte della frase. di scatto mi guardò. i suoi occhi castani, sotto la luce del sole offuscato dalle nuvole, assumevano miriadi di sfumature. forse era il buio a rendere tutto più chiaro, anche nel bel mezzo del giorno.
"cosa? no, cazzo, non intendevo quello" esclamò aggrottando le sopracciglia. intanto si alzò la brezza, incasinando prima i miei capelli, poi anche i suoi. mi sentivo soltanto una stupida.
"oh" mi scappò.
"volevo dire che ieri mi hai..boh, non te ne sei andata dopo che ho sbroccato. cioè, di solito alla gente non piace il lato incasinato delle persone. ma tu sei rimasta." oh. cazzo. il mio cuore probabilmente se avesse avuto un paio di labbra, avrebbe sorriso. decisamente, anzi.
"per così poco" risposi allora sorridendo in volto. lui ricambiò, poi si guardò le mani. erano distrutte, i calli per via delle corde della chitarra, le unghie cortissime. lo beccavo sempre a mangiarsele quando era nervoso. io ci mettevo sempre lo smalto, almeno ero costretta a bloccarmi.
"mi...piace, quel lato di te" affermai poi, ripensando ai momenti della notte trascorsa.
"il lato peggiore, dici?" commentò sollevando appena il lato destro della bocca. io scossi la testa divertita.
"sei pieno di difetti, credimi, ma non vuol dire debba odiarli. o, che ne so, lasciarti per questo. è da stupidi."
"perché da stupidi?" chiese insolitamente pronto.
"perché chi lo fa si perde il resto. la parte bella, quella più facile, capisci?" continuavo a guardare il panorama dinanzi a me, mentre parlavo. ma sentivo i suoi occhi incollati a me.
"anche tu mi piaci." quattro parole, meno di un secondo e mi entrarono in testa continuando a rimbombare. lo guardai, perché probabilmente ne sentii l'esigenza. quei tratti, se chiudevo gli occhi ancora me li ricordavo. quasi me li sognavo. la barba di qualche giorno, il taglio di quegli occhi sfuggenti, la pelle chiara. cristo, tremavo dentro.
"però non hai visto il mio, di lato peggiore." non sapevo perché l'avessi detto. aveva appena confessato ciò che più cercavo, la sua approvazione. ed ora rovinavo tutto, come sempre. davide fece un risolino, colsi fosse sardonico questa volta.
"stamattina non eri in formissima..." non aveva tutti i torti. ma io parlavo d'altro. eppure decisi di mollare la presa, perché non aveva più senso ormai. sospirai.
"lo so quello che pensi" irruppe quel silenzio fulmineo.
"ah si?"
"si. pensi che sono una rottura di cazzi."
"lo sei" lo interruppi. scoppiammo a ridere. ma come sempre accadeva, quel momento di fugace spensieratezza fu interrotto. sta volta dal telefono di davide che prese a suonare.
"oi...si, cazzo, si arriviamo. no..okay, ho capito, sta calmo cristo. se, ciao." finita quella telefonata fulminea si alzò altrettanto di fretta in piedi. io lo guardai spaesata.
"mauri s'è incazzato perché non siamo a casa. è arrivato jacopo."
"oh." mi alzai a mia volta.
"mi dispiace" dissi allora, non sapendone da principio il perché.
"mica è colpa tua" commentò fissandomi negli occhi, impassibile. sembrava così celere in ogni movimento, ma se il suo sguardo era dentro il mio, d'improvviso tutto rallentava. durante il ritorno verso casa nessuno dei due spiccicò mezza parola, e la cosa era anche abbastanza prevedibile. appena arrivati, c'impiegammo pochissimo avendo da subito allungato il passo, il sole era spuntato. e non avrei voluto dirlo, ma quasi quasi tutta quella luce mi dava fastidio. entrammo da dove eravamo usciti, e sembrava che la festa fosse appena cominciata. ancora una volta, c'era d'aspettarselo.
"ecco il signor due di picche!" esclamò jacopo mentre davide gli andava incontro, con indosso il solito sorrisetto che adottava quando si sentiva a disagio. io lo riconoscevo. intanto salutai debora. quei due erano fidanzati da così tanto tempo che non credo li considerassi più due entità assestanti l'una dall'altra. quando poi jacopo mi cinse a sé, lo fece con troppo entusiasmo, forse. di fatti con la coda dell'occhio intravidi davide e i suoi occhi puntati su di me, su di noi. cominciammo a parlare, più chiacchiere che altro, e quando s'intromise manu colsi la palla al balzo per, come dire, mollarlo con fare il più possibile elegante. tempo due secondi, nic e davide stavano già buttati sul divano coi joystick in mano. io mi sedetti sul bracciolo, sperando che prima o poi qualcuno dei due avrebbe scollato gli occhi dallo schermo e mi avrebbe rivolto la parola. dio, nemmeno io sapevo che cazzo stessi facendo. forse era noia, forse avevo bisogno di finire una volta per tutte uno, che fosse uno, di quei discorsi aperti e mai conclusi con da'. l'universo sembrava farlo apposta, però. eppure sembrava che ad entrambi in quell'istante non importasse più nulla che non fosse stato quel game di warzone, che sembrava averli presi con parecchio interesse. finii per farmi una doccia lungamente infinita, mentre poi qualche lacrima purtroppo scappò. e non dipendeva dalla situazione, ma solo da me. infondo, ero sempre io la ragione del mio malessere, no? ma l'acqua scendeva dal soffione, dai miei occhi, scivolava nello scarico come fosse tutta uguale, mentre il mio petto si muoveva sempre più velocemente. mentre nella testa la paura non si zittiva.

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