Capitolo 8

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Don't Bring Me Down

Lo spettacolo che si presentava fuori dalla finestra della Biblioteca era qualcosa di magnifico. I prati erano completamente bianchi per via della neve e l'orizzonte chiaro faceva fatica a farsi notare con tutta quella luminosità, dopo una nevicata abbondante che si dilungò per giorni. Anne pensò che il cielo avesse qualche tonalità di differenza dai grandi prati innevati e che ben presto, per quel Gennaio, avrebbe buttato un altro po' di nevischio.
O così l'aria pareva presagire.
Un libro cadde improvvisamente sul banco in cui la ragazza s'era sistemata, lasciandola sorpresa per quel rumore e risvegliandola dai propri pensieri. Alzò lo sguardo e notò un ragazzo dai capelli bruni e molto corti che la fissava.
«Oh, Seamus... Hai bisogno di qualcosa?»
Nell'angolo più remoto della stanza e lontano dall'entrata principale, la ragazza si era seduta lontana da tutti, adocchiando qualche alunno di tanto in tanto passare qua e là per prendere dei libri e poi andarsene. Erano passate due settimane dalla sera del ballo, giorni in cui aveva preferito non toccare più argomento e, soprattutto, cercare di evitare George Weasley.
«Dovevamo fare lezione, non ricordi...?»
Seamus rimase impalato un secondo prima di rispondere, agitando le mani come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Non per Anne, a quanto pare, che le crollò il mondo addosso e la bocca spalancata dalla sorpresa lo fece notare.
Come diavolo aveva fatto a dimenticarsi delle ripetizioni di Pozioni?
«Oh Santo Cielo, Seamus, me ne sono completamente dimenticata.» mormorò a fil di voce.
Seamus strabuzzò un attimo gli occhi ma senza sembrare così tanto dispiaciuto.
«Senti...» iniziò la ragazza, prima ancora che lui potesse aprire bocca, «ti spiace se rimandiamo a domani?»
Lui alzò le sopracciglia e, seppur sorpreso che quella ragazza si fosse dimenticata della lezione, non se lo fece ripetere due volte e accettò, scappando letteralmente dalla stanza dopo un saluto veloce.
Al diavolo le ripetizioni, al diavolo Pozioni! Un altro giorno di libertà gli era stato concesso e, ancor prima che potesse pensare a cosa fare quel giorno, Seamus entrò nella Sala Comune dei Grifondoro in cerca del suo migliore amico.
«Ehi, ragazzi, avete visto Dean?»
Si avvicinò ai divani color mattone, dove erano seduti due ragazzi dai capelli rossi e una testa piena di rasta. Quest'ultimo si girò verso di lui mentre poggiava un braccio sullo schienale, guardando il libro che sorreggeva in mano e il sorriso più allegro del solito.
«E' appena salito in camera, ma-- ehi!» lo chiamò Lee non appena lo vide voltarsi verso le scale, «Non avevi ripetizioni con Anne?»
«Tecnicamente sì, ma si è dimenticata. Non succede mai con lei, oggi deve essere il mio giorno fortunato!»
Prima ancora di poter dire qualcosa, Seamus era già scappato su per le scale e lasciò Lee voltarsi verso i gemelli in un silenzio improvviso.
La notte del ballo era diventato un argomento tabù per i tre, specialmente per George. Lee aveva cercato di farsi dire cosa fosse successo quella sera, ricevendo costantemente un secco «Non ne voglio parlare.» sia dalla ragazza che dall'amico.
Che diavolo aveva combinato?
Al contrario, Fred guardava i due davanti a sé chiedendosi cosa stesse passando nelle loro teste. Lee aveva gli stessi occhi di un ladro di banche che era appena stato scoperto e il fratello, invece, era completamente assente e alternava i momenti in cui ritornava in sé tra profondo sconforto e irritazione, pronti a esplodere da un momento all'altro. Fred sapeva cosa era successo la sera del ballo e si prese la libertà di canzonare una ramanzina al fratello, sottolineando apertamente che non doveva essere la rovina di sé stesso. Ma Fred, purtroppo, non immaginava che George si sentiva in ombra, incapace rispetto a lui in certe situazioni, e tutta quella lavata di capo lo aveva soltanto reso un po' più impacciato. Si chiese cosa ne sarebbe stato della sua vita senza di lui, lui che era la sua spinta e la sua centralina, sapendo che tali cose erano George per Fred, ma in modo differente.
«Ci vediamo a cena? Ho delle cose da fare.»
Senza aggiungere altro, Fred si alzò dal divano e percorse l'uscita della Sala Comune per prendere le scale, scendere i gradini per qualche piano e infilarsi dentro a un corridoio. Le mani in tasca rendevano più sciolta e sicura la sua camminata, un fischiettio cantava qualche canzone tra le sue labbra rimbombando tra i corridoi semi vuoti.
Aprì le porte della Biblioteca e lasciò che Madame Pince lo fulminasse con il suo solito sguardo alla "ti-tengo-d'occhio". Le rivolse un sorriso cordiale e sollevò la mano per salutarla.
Dovette superare un bel po' di scaffali per trovare ciò che stava cercando: una testa bionda intenta a guardare fuori dalla finestra, una pergamena bianca davanti e un libro aperto - molto probabilmente casuale.
Si avvicinò ad Anne in silenzio, schiarendosi la voce per attirare l'attenzione. Quando lei si voltò, strabuzzò gli occhi in un primo momento.
«George?» tentennò lei, agitandosi.
Questo fece sorridere in modo malizioso il ragazzo, scuotendo appena il capo in segno di diniego.
«No, sono Fred.»
Lei abbassò il viso e lasciò che quella speranza di poco prima sparisse in uno schiocco di dita, notando come le mani stavano giocando con le pagine del libro e sfregavano il pollice contro la pigna. Le lasciò stare, portò le falangi a sistemarsi gli occhiali in un riflesso involontario per poi poggiarle sulle ginocchia.
«Cosa posso fare per te?» chiese alzando il viso.
Sperava, ma la sensazione non cantava altro, che un certo argomento non si aprisse, specialmente perché era quasi finita la settimana e la testa era già colma di pensieri e cose da fare, come la lezione di Seamus di domani che non doveva assolutamente dimenticare.
«Nulla a dire il vero. Volevo solo vederti.»
Fred si posizionò sulla sedia vicino a quella di Anne, parlò a voce moderata ché di avere a che fare con Madame Pince non era nei piani. A quella donna dava fastidio anche il suo semplice respirare, alle volte.
«Be'... eccomi. Ma ci siamo visti anche stamattina.»
Fred sorrise leggermente e decise di entrare nei dettagli per sbrigarsela prima. Girarci attorno non sarebbe servito a nulla e avrebbe reso soltanto le cose più complicate, per non parlare poi che alle volte quella ragazza le ricordava il fratello. Erano così ottusi.
«Volevo sapere come stavi. Non abbiamo avuto modo di parlare dopo il ballo.»
«Io... sto bene. Molto bene. Ho cose da fare... faccio compiti, studio. Ho tante cose da fare.»
Lei cercò di essere il più convincente possibile, ma quella vocina poco più stridula del solito confermò che non era poi così tanto vero ciò che stava dicendo, facendo sfuggire una piccola risata a Fred.
«Hai una sola pergamena davanti ed è vuota... e Seamus era felicissimo perché ti eri scordata delle ripetizioni.»
«Be'... cerco ispirazione per i compiti, e poi può capitare di scordarsi le cose.»
«Ah sì? E che libro è quello?»
Fred corrugò la fronte verso il libro e Anne lo guardò torvo per qualche istante.
«Ascoltami...» lui si sporse in avanti per farsi sentire meglio, «So che mio fratello ha sbagliato, e se potesse valer qualcosa ti chiederei scusa io al suo posto. Ma non essere arrabbiata con lui, alle volte i sentimenti prendono la meglio su George.»
«Ma io non sono arrabbiata.»
E questa volta Anne disse il vero: il tono della voce era calmo e le spalle si alzarono quel poco che bastava mentre guardava Fred negli occhi.
«Come... Scusa, non sei incavolata?»
Anne alzò gli occhi, girò il busto poco più verso di lui e sospirò in modo leggero, arresa.
«No, non lo sono... Non sono molto in grado di tenere il broncio. E so che non voleva dire quello che ha detto.»
«E perché non sei venuta a salutarci in questi giorni?»
«Mi sembra evidente che a lui non sia passata.»
Anne parlò in tono d'ovvietà e lasciò che Fred annuisse in accordo con lei. Aveva notato che George era tra l'amareggiato e il non saper cosa fare, cosa dire o se dovesse scusarsi e, quindi, Anne aveva crocettato l'opzione del lasciarlo in pace per un po', senza dover creare ulteriori disagi o imbarazzi.
«Quindi... volevi andare al ballo con mio fratello, eh?»
La ragazza arrossì debolmente nonostante lo guardò in un primo momento con il sopracciglio alzato. Quel viso tanto ammiccante la fece sorridere divertita, ringraziando Dio che sapesse ironizzare una domanda d'imbarazzo.
«A dire il vero... sì, mi sarebbe piaciuto, ma mi viene da pensare che forse è giusto così.»
«Che?!»
La giovane attese un attimo prima di rispondere, maledicendosi di aver parlato un po' troppo. Analizzò bene le parole da usare, si concesse un momento di silenzio e rovistò nella propria mente per riuscire a spiegarsi meglio.
«Vedi... alle volte ho la sensazione che la gente si stanchi di me, quindi penso che sia stato meglio andarci con Ethan, piuttosto che con George, affezionarmi e poi vederlo che si sarebbe stancato di... me?» corrugò un attimo la fronte, giurando che quel discorso avesse senso dentro la propria testa.
«Quindi... preferisci stare con qualcuno che non ti piace, così se si dovesse stancare tu non ci rimarresti male?»
Fred sembrava più confuso di prima e gesticolò le braccia come se potesse aiutarlo a dargli un senso a quella frase.
«No-- senti, succederà la stessa cosa con Lee, fidati. E' già successo altre volte con un sacco di gente.»
Anne si alzò, ripose le sue cose dentro la borsa e non concesse il tempo a Fred di rispondere. Se solo glielo avesse dato, sapeva che sarebbe inciampata in un labirinto di parole e non avrebbe più trovato via d'uscita.
«Ora devo andare, ma non dire niente di quello che ti ho detto, intesi?»
E poi per lei quel discorso aveva senso, cosa c'era di così strano? Chi era lo stolto che voleva rischiare coi sentimenti, emozioni che non aveva mai provato prima? O, peggio, erano stati strappati via?
Vivere con un vuoto costante era un fardello che difficilmente riusciva a non far caso. Era come se le mancasse un arto ma al tempo stesso non sapeva quale fosse la parte mancante o, addirittura, aver timore di aggiungere qualcosa di giusto in un contesto che si supponeva esser già nato sbagliato. Così, quando qualcosa le veniva portato via, poteva esser già pronta a dire che tanto s'era abituata dalla tenera età a una condizione del genere. Quando pensava a queste cose le veniva spontaneo immaginare la figura femminile dai capelli scuri che le dava le spalle quando era bambina e si trasformava, piano piano, in una figura sempre più lontana, confondendosi con la neve lenta e quasi impaurita nel toccare il suolo. Inizialmente pensava in un suo ritorno e così attese, attese e attese anche nei giorni successivi, senza però mai vederla tornare indietro.
Erano in periodi dell'anno come quello che Anne si ritrovò a pensare a quei ricordi più del solito, in momenti in cui aveva la sensazione di aver perso qualcuno che focalizzava quel dolore a un dolore già vissuto. Eppure doveva essersi abituata, erano passati anni e non comprendeva mai il motivo del perché ogni volta dovesse succedere sempre la stessa cosa. Ma un dolore del genere non avrebbe mai smesso di esistere e a tali sentimenti non ci si poteva abituare, ché quel piccolo mostriciattolo era in agguato come un bambino dispettoso, un'ombra nera, pronto a fare scherzi e a comparire quando meno se lo aspettava, a evidenziare le realtà con un «Visto? E' successo ancora.», sparendo nel suo nascondiglio dopo aver messo la pulce nell'orecchio.
Prima ancora di poter rispondere a quel bambino, chiuse la porta del Dormitorio dei Tassorosso.
Claudette era sul letto a leggere il giornale dello sport e quasi non si accorse dell'entrata silenziosa dell'amica, quando alzando il viso vide la smorfia sul viso di Anne.
«Oh Merlino, non dirmi che è scappato un altro troll.»
«Avrei quasi preferito...»

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