The Day Before You Came
«E' arrivata la posta!»
L'eco del padre entrò nella camera senza bussare. Una piccola speranza si accese al centro del petto di Anne, come ogni mattina, e la fece alzare dal letto di scatto. Corse giù dalle scale, entrò in cucina e le mani andarono ad afferrare le lettere posate sul tavolo, senza badare agli sguardi furtivi da parte dei familiari. Il silenzio assordante era interrotto soltanto da qualche tazzina che veniva poggiata sul piattino.
Sfogliò le poche buste che aveva ricevuto, un'occhiata veloce al mittente per poi passare alla prossima. Lo sguardo si assottigliava ad ogni busta, le sopracciglia si aggrottavano e il pensiero di non aver ricevuto una sua lettera la mandava su tutte le furie.
«Fanculo.» sbottò, lasciando ricadere le braccia a peso morto.
Doveva aspettarselo. Nessuna lettera da parte di George.
«Ehi, che principessa!»
Ma Anne non badò a quel commento scherzoso del padre, come non fece caso agli occhi preoccupati di Lee che la fissavano.
«Non vorresti fare colazione, tesoro?» le chiese Eveline.
«Non ho fame... Grazie lo stesso.»
Voltò le spalle per andarsene verso la camera, luogo ormai dove passava la maggior parte delle giornate. Salendo le scale, sentì i due adulti chiedere a Lee più spiegazioni sul suo comportamento ma, anche quello, le scivolò addosso.
Ormai era una prassi che si ripeteva da più di un mese.
Entrò in camera e chiuse la porta dietro di sé, lanciò le buste della posta sulla scrivania e si gettò a peso morto sul letto. La bacchetta sobbalzò sul materasso e, dopo averla guardata per qualche secondo, la prese e la puntò verso il giradischi. Un accenno del polso e la musica iniziò a volteggiare nell'aria, una melodia nostalgica composta da tastiera e batteria. Avrebbe dovuto cambiare canzone, questo lo sapeva. Conosceva l'effetto della musica come le sue tasche, una cara vecchia amica che l'accompagnava ovunque andasse e giocava con i suoi sentimenti. The Day Before You Came degli ABBA le sembrava la canzone perfetta per quel momento, per quel cuore che si era esposto di poco, affacciato dalla finestra timidamente e si era lasciato ferire appena.
No. Quel muscolo doveva proteggerlo a tutti i costi. Doveva impedire che le vecchie crepe si ri-aprissero o, peggio, se ne creassero di nuove.
La morte di Cedric Diggory l'aveva scossa, nonostante stesse elaborando il lutto senza proferire parola su di lui. I pensieri andavano costantemente verso l'amico, le facevano venire gli occhi lucidi e il crepacuore. Ecco, poteva sentire anche in quel momento l'impressione che la gola si gonfiasse pronta per esplodere, un nodo maledetto che non aspettava altro di sciogliersi.
Ma non succedeva mai.
Il bussare alla porta la risvegliò dal suo mondo. Si voltò per guardare Lee affacciarsi allo stipite e volgerle un sorriso incerto.
«Posso?»
Anne annuì. Si mise seduta sul letto e volse un sorriso tirato al fratello.
«Come stai? Ti ho portato un muffin al cioccolato.»
Lee si sedette sul materasso e Anne si fece più vicina. Le gambe penzolavano dal letto e scrollò le spalle.
«Sto bene. Grazie per il muffin, lo mangerò più tardi.»
O quando lo stomaco si sarebbe riaperto.
«Ti va di andare in giro oggi pomeriggio?» chiese Lee dopo un attimo di silenzio, gesticolando appena, «Non esci quasi mai di qui, ti farebbe bene un po' di aria fresca...»
Anne, che guardava i piedi nudi poggiati sul parquet chiaro, sospirò leggermente. Era come se fosse entrata in un circolo vizioso, arredato dal malumore e dalla consapevolezza che non sarebbe stata di buona compagnia per gli altri.
Eppure il pensiero di aver lasciato Lee da solo la maggior parte delle volte la faceva sentire in colpa.
«Lo so... E mi dispiace. Devo fare schifo come compagnia in questo periodo.» sussurrò, corrugando le sopracciglia.
«No, no. Ma penso che tu abbia bisogno di uscire un po' di qui. So che stai male per Cedric e per George.»
«Non sto male per George-.» sussurrò d'un fiato.
Volse lo sguardo da un'altra parte, le spalle strette che si ritirarono poco di più.
Sentì il sospiro di Lee, la sua mano confortante che si poggiò sulla propria spalla, quasi a volerla sorreggere.
«Sono certo che non ha scritto per una buona motivazione.»
Anne lo guardò di sfuggita, le mani che strinsero appena le lenzuola ancora stropicciate e il cuore che prese a battere come una furia.
Non riusciva a smettere di pensare all'invito da parte del ragazzo, alla gioia che aveva sentito e alla sensazione del cuor leggero che svolazzava al centro del petto. Durante le prime settimane d'attesa si era preoccupata che fosse successo qualcosa, eppure la delusione e la tristezza si fecero spazio con insistenza, generando quello che era il bisogno impellente di cambiare aria e tramutandosi in rabbia quando non arrivò nessuna lettera. Non pensava che dovesse andare per forza a casa sua, ma almeno metterle i sensi in pace con un "Ehi, devo ritirare l'invito, mi dispiace!". Sarebbe stato più che sufficiente.
«Avrà avuto meglio da fare, ne sono certa. Non è importante.»
Si alzò dal letto e prese il muffin tra le mani del ragazzo. Si sedette alla scrivania e iniziò a mangiarlo.
Aveva interpretato gli atteggiamenti di George nei propri confronti in modo sbagliato, sicuro, e si era lasciata trascinare in un sentimento che non la riguardava. Anzi, si chiedeva perché ne era così preoccupata. O, ancor meglio, si chiedeva perché quel ragazzo abitasse i propri pensieri quasi ogni giorno. C'era così tanta gente a cui pensare, no? Tipo il Tizio Appeso al Muro della propria camera, aka Bon Jovi.
«Dove ti va di andare, oggi?» chiese Anne.
Si voltò per guardare il ragazzo. Si impose di scacciare via i pensieri negativi e di dare la propria attenzione a Lee, a quel caro ragazzo che aveva la pazienza di un Santo, e che a breve sarebbe stato dal padre per qualche giorno.
«Possiamo materializzarci a Diagon Alley.»
Anne accettò e sistemò la camera a suon di bacchetta, prima di andare a prepararsi.
La Materializzazione era un mezzo di trasporto concesso a maghi e streghe, la capacità di svanire da un luogo e apparire in un altro. Dopo un attento esame che avrebbe conseguito una licenza, la possibilità veniva data già dal compimento della maggiore età, come la possibilità di compiere magie al di fuori della scuola. Anne e Lee l'avevano conseguita con successo, così come i loro altri compagni. Come ogni azione magica, doveva essere compiuta lontano dagli occhi dei babbani.
Più volte Anne e Lee riuscirono a materializzarsi a Diagon Alley, il quartiere magico, e la giovane si sentì sempre più confortata. Trascorse giornate in cui il pensiero di Cedric non la sfiorava per la maggior parte del tempo, riusciva a non ascoltare quelle vocine che alle volte si piantavano in testa come le radici di un'edera velenosa. In qualche modo, riusciva ad assopire quella pianta per un po' di tempo.
I genitori di Anne e Lee partirono per il mare, concedendosi come l'anno passato quello stacco di pochi giorni lontano da tutti. Lee, invece, avrebbe passato qualche giorno a casa del padre. Seppur avesse l'entusiasmo di un bambino che era costretto ad andare con la mamma al supermercato, e che avrebbe preferito continuare a guardare i cartoni, salutò Anne con un caloroso abbraccio prima di materializzarsi.
«Se hai bisogno di qualcosa, scrivimi una lettera.»
«Va bene, ma non ti preoccupare per me.»
Il volto pieno di speranza di ricevere una lettera, una scusa per tornarsene a casa, attraversò Lee prima di vederlo scomparire.
E il salotto venne inghiottito dal silenzio.
I giorni a seguire non furono pessimi come s'immaginava. Si stupì di come riusciva a scacciare via certi pensieri che ogni tanto cercavano di arrampicarsi nella testa, tornando all'attacco quando meno se lo aspettava.
Una mattina di fine agosto, mentre faceva colazione seduta al tavolo del cucinotto, ricevette delle lettere da parte di alcune amiche, Angelina compresa. Le aprì una alla volta, le lesse con calma e rispose con altrettanta pazienza, nonostante l'amica Grifondoro le scrisse che non aveva ricevuto nessuna notizia dai gemelli Weasley. Si accigliò per un momento a quel messaggio e rilesse la frase più e più volte.
Perché i gemelli Weasley non mandavano lettere a nessun amico?
Decise di scrivere a Lee per informarlo di questo fatto.
La lettera successiva era di Claudette in cui scriveva che era stata in escursione in Scozia e tutto filava liscio. Frederica l'avrebbe raggiunta a breve.
Dopo aver risposto e consegnato la lettera al gufo che l'avrebbe spedita a Claude, Anne prese l'ultima lettera rimasta e si accigliò nel leggere il nome sulla busta.
Ethan Roberts.
Scartò la busta e lesse il contenuto. Non si aspettava una sua lettera, non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva avuto una conversazione decente, perché ora le aveva scritto?
Ethan le chiedeva se poteva venire a trovarla e Anne rimase interdetta per un momento.
Alzò le spalle, giudicando che non ci fosse niente di male, e prese penna e pergamena per accettare la sua proposta. Con l'agitare della bacchetta ripulì le stoviglie della colazione, guardò per un secondo le tazze che venivano lucidate con la spugna e sciacquate sotto il getto dell'acqua.
Dopotutto, usare la magia fuori dalla scuola non era poi tanto scomodo.
Dopo aver sostato al bagno e essersi cambiata, camminò verso il giardino sul retro per occuparsene. Ogni volta che volgeva lo sguardo sulle piante che erano in procinto di crescere, si sentiva come una mamma orgogliosa dei propri bambini. I fiori erano sbocciati verso la primavera, suo padre le aveva mandato una lettera per tenerla aggiornata e, nonostante il clima si fosse riscaldato di poco, avevano retto per tutta l'estate.
Mise le cuffie collegate al suo amato lettore-CD, il tasto play diede il benvenuto alla canzone Come And Get Your Love dei Redbone e andò a prendere il suo annaffiatoio giallo peperone. I raggi del sole si schiantavano su tutto il giardino ed Anne era costretta a tenere gli occhi semi-aperti per il fastidio. Andò a prendere l'acqua dal lavello in cucina e innaffiò alcuni fiori con la dovuta cura. Adocchiò qualche fogliolina ingiallita vicino alle campanule e si inginocchiò per poterle staccare con attenzione. La musica rimbombava nelle orecchie, mormorava le parole della canzone mentre la testa dondolava a ritmo. Le foglie morte venivano via facilmente, ma cercò comunque di non rovinare la bellezza di quei petali viola.
Un'ombra comparve come una nuvola nera e le coprì la visuale, riparandola dai raggi del sole senza nessun permesso. Si bloccò per un istante, le cuffie ancora nelle orecchie e un velo di disagio le percorse la schiena. Qualcuno era dietro di lei, percepiva la sua presenza e i suoi occhi che la fissavano. Sentì qualcosa sulla spalla, si voltò di scatto e alzò il braccio in difesa, scostando con una manata chiunque la stesse toccando. Dallo slancio, cadde all'indietro e si ritrovò seduta sul terriccio umido. Era pronta a farsi indietro se solo i raggi del sole non l'accecarono quando alzò la testa. Socchiuse gli occhi infastiditi e, quando sollevò lo sguardo, un sorriso beffardo la stava aspettando.
Si tolse di scatto le cuffie dalle orecchie, la musica che suonò in lontananza e una mano era davanti a lei.
«Dovresti smetterla di spaventarti così facilmente.»
«Sei spuntato all'improvviso! Non si usa avvisare?»
Ethan rise al tono alterato della ragazza. Anne afferrò la sua mano e si alzò in piedi, si spolverò i vestiti e lo guardò irritata.
«Ti avrei chiamata, ma qualcosa mi dice che non avresti sentito.»
Il cenno di Ethan verso il lettore-CD le ricordò che era ancora in funzione. Lo sfilò dai pantaloni e lo spense, fermando quel sottofondo rimbombante.
«Non pensavo saresti arrivato così presto...»
«Lo so, ma a casa mi annoiavo e poi volevo vedere come stavi.»
Anne alzò gli occhi verso di lui e se Dio glielo avesse permesso, avrebbe abolito quella domanda seduta stante. Con un gesto della mano lo invitò a seguirla verso il retro della cucina, optando per una risposta che calzava a pennello da tempo.
«Tutto normale, come al solito. E tu?»
Poggiò il lettore-CD sulla penisola della cucina, adocchiò Ethan guardarsi attorno con le mani infilate nei jeans scuri. Portava una polo bianca che risaltava la sua pelle poco abbronzata.
«Al solito, anche io. Sono stato in vacanza con i miei per qualche settimana.» rimase un attimo in silenzio, voltandosi verso Anne. «Non c'è Lee?»
«No, Lee è da suo padre e i nostri genitori sono al mare.»
«Abbiamo la casa tutta per noi, quindi?» disse in tono basso con un sorriso provocatorio, un'alzata di sopracciglia lesta per completare lo scenario.
I suoi modi scherzosi alla Don Giovanni non si erano assopiti con il passare delle settimane e Anne avrebbe voluto reggergli il gioco, una sfida a ping pong su chi diceva la peggior castroneria. Ma si voltò verso il frigo e ignorò i suoi scherzi, concedendosi la poca voglia di scherzare.
«Posso offrirti qualcosa da bere?»
Il ragazzo chiese un bicchier d'acqua e Anne ne riempì due quasi fino all'orlo prima di raggiungerlo al tavolo del cucinotto. A quell'ora del mattino era sempre ben illuminato.
Ethan bevve un sorso d'acqua e lo posò sulla superficie. Posizionò le spalle sulla schienale della sedia e le dita che battevano attorno al bicchiere.
«Non sei andata da nessuna parte quest'anno?»
«No... » rispose Anne, «Non avevo molta voglia.»
E per quanto sentì gli occhi del ragazzo su di sé, preferì non aggiungere che un certo George Weasley l'aveva invitata a casa sua senza nessun successo. Ethan non sapeva niente di tutto ciò e optò per tenerselo per sé.
Si raddrizzò anche lei, si mise più comoda sullo schienale e sorrise al ragazzo. In quella piccola visita scoprì che era stato nominato Capo Scuola, una carica importante tra tutti gli studenti.
«Pensavo che ti avessero eletta Capo Scuola insieme a me.»
«Penso sia meglio così, che abbiano scelto la ragazza Grifondoro. Almeno avrò un modo per vendicarmi di tutti gli infarti che mi hai procurato.»
«Sul serio?» Ethan alzò le sopracciglia, sorpreso, «Andrai in giro di notte con i gemelli Weasley e Lee a combinare guai?»
Anne si lasciò sfuggire una risata, alzando le spalle alla perché-no?, e non trovando affatto spiacevole quella idea.
Se Cedric fosse vivo, sarebbe stato scelto come Capo Scuola.
Fissò il legno scuro del tavolo a quel pensiero, quando Ethan la chiamò. Gli occhi si alzarono per guardarlo, era fermo e immobile. Guardava il bicchiere come se contemplasse qualcosa, un aiuto scritto nel liquido cristallino. Sbuffò fuori l'aria dalla bocca e si morse il labbro inferiore, le dita che tamburellavano sul vetro.
«Volevo dirti... Volevo dirti che mi dispiace di non averti parlato fin'ora... »
Anne lo osservò, incrociando i suoi occhi azzurri prima che lui potesse riabbassarli ancora una volta. Per un momento ebbe la sensazione che avesse voluto dirle tutt'altro. Ethan era un ragazzo di pochi peli sulla lingua e non si aspettava delle scuse su una banalità simile. Lui era come il vento: non chiedeva il permesso di arrivare né scusa prima di andarsene.
«Non ti preoccupare, è tutto okay.»
Allungò una mano per sfiorare quella del moro, pronta con un sorriso per poterlo rincuorare. Quel tocco sembrò risvegliarlo dai suoi pensieri e, solo un attimo dopo che alzò gli occhi, un sorriso meccanico sbucò sul suo viso.I fiori che abitavano il giardino avevano un aspetto delicato e soffice. Anne avrebbe voluto accarezzare i petali, ma erano così variopinti, accesi e belli, che preferì non sporcarli con le dita. Petali viola, blu, bianchi e gialli erano cresciuti in abbondanza, ricoprivano un quadrato di terreno a testa come se avessero formato un piccolo quartiere. Nessuno violava lo spazio dell'altro, da bravi abitanti.
Rimase a guardarli, rimase ad assaporare la sensazione di pace e frivolezza ad ogni respiro, il corpo leggero come un palloncino che spiccava il volo. I piedi nudi sull'erba soffice e verde non la percepiva nemmeno. Il sole illuminava tutto il terreno, i raggi lambivano i fiori e poté giurare che a fissarli meglio, quei petali diventano più accesi, un urlo a farsi guardare sempre di più.
I gambi dei fiori si spostarono in coro verso di lei, un attimo dopo percepì una folata di vento. Una voce velata la chiamò per nome, un sussurro soffiato che la costrinse a girarsi. Le sembrò di andare a rallentatore e la figura che era alle sue spalle parve la stesse aspettando. Era una donna con un mantello nero e il cappuccio tirato fino a metà volto. Avrebbe voluto chiedere chi fosse, ma quando cercò di aprire bocca sembrò che nessun suono avesse intenzione di uscire.
Un'altra folata di vento la spostò, la forza di due mani che la spinsero in avanti e la fecero cadere a terra, in ginocchio. Il cuore le andò in gola all'istante, alzò il viso per guardare la donna che troneggiava su lei, il lungo mantello che si apriva e oscurava il sole come una divinità che ne aveva il comando. Allungò il piede di un passo, il crepitio del terreno che si spaccava in due sotto alla sua suola. Anne la guardò con l'affanno e aprì bocca per poter dire qualcosa, quando la donna spinse in avanti il piede che comandava la spaccatura. Il terreno si aprì in uno squarcio e le mani di Anne vennero spinte via seguendo la terra che si separava di getto, l'oscurità che l'afferrò dallo stomaco e parve svuotarla mentre la inghiottiva.
Ebbe un fremito di panico quando riaprì gli occhi, il terrore che aumentava quando non riuscì a scorgere uno spiraglio di luce. La parte razionale del cervello comandò il corpo di voltarsi verso la finestra della camera, ricordò che era nel letto e non in un oblio dimenticato da tutti. I raggi lunari entravano tra le fessure senza disturbare, il panico che piano piano si calmò quando corpo e mente realizzarono dove fossero. Era nel letto e tutto andava bene.
Le mani andarono a stringere per sicurezza le lenzuola, gli occhi si posarono sul soffitto dalle sfumature della notte nonostante la sua natura bianca.
Per tutti i Santi, quel dannato sogno le era sembrato talmente realistico che a fatica riusciva a smaltire quella sensazione di piombare nel nulla. Ancora percepiva il vuoto allo stomaco e la rigidità dei muscoli.
Non era di certo la prima volta che sognava di cadere, specialmente da piccola quando si addormentava sul divano in salotto con la televisione accesa, una sveglia naturale che urlava di svegliarsi e andarsene a dormire. Era solita non ricordare i sogni che le tenevano compagnia durante la notte, ma quelle immagini... Dio, avrebbe voluto urlare a quella signora che le faceva venire un'ansia a mille.
Chi diavolo era, poi?
Si passò una mano sul viso, le lancette dell'orologio appeso al muro facevano le quattro del mattino. Avrebbe potuto dormire ancora un po' e questa fu l'unica cosa che la confortò.
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The Protectors
FantasyAnne Evans alla fine del quinto anno della scuola di Hogwarts si ritroverà inaspettatamente più vicina a un giovane Grifondoro, Lee Jordan, in quanto i rispettivi genitori, dopo un anno di frequenza, hanno deciso di unire le due famiglie. Anne incon...