Capitolo 12

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Dancing in the Dark

Dopo il compleanno dei gemelli, ci fu un susseguirsi di conseguenze non calcolate. Rebecca fu portata in infermeria e, dopo dieci giorni, Madame Chips decise di tenerla ancora sotto controllo. Anne riuscì a farle visita tra una lezione e l'altra, trovandola però addormentata la maggior parte delle volte.
«E' ancora troppo debole e deve riposare.» disse Madame Chips un giorno, un sorriso tirato che formava piccole rughe ai lati della bocca.
Anne sapeva che era un modo carino e delicato per dirle di non presentarsi ogni singolo dì e di lasciarle spazio, ma la frase che Rebecca le aveva detto un secondo prima di svenire le aveva iniettato soltanto una gran dose di curiosità.
Chi non voleva più vedere? Chi la tormentava?
Stava percorrendo il lungo corridoio del primo piano quando vide George camminare verso di lei con fare svelto.
Gesù. Guardarlo voleva dire ricordarsi di quella scenata infantile nata per un gioco stupido e, nonostante non avessero proferito parola di quella discussione, Anne aveva soltanto voglia di sprofondare.
«Si sa qualcosa?» le chiese una volta vicino.
«No... Madame Chips mi ha detto di non rompere le palle.»
«Ti ha detto veramente così?!» domandò sorpreso.
«Me lo ha detto solo in modo carino, ma il succo era quello.»
Anne scrollò le spalle e si sedette su una panchina di marmo. Distese le gambe con fare stanco e poggiò la schiena contro il muro freddo del corridoio, unico sollievo di quel momento.
«Vedrai che si riprenderà al più presto.»
Con quelle parole dette dal rosso, lo guardò per un istante mentre prese posto vicino a lei imitandola nella posizione, e voltò lo sguardo sul muro di fronte.
«Lo spero...»
In un silenzio improvviso e con gli occhi fissi sulla parete sfocata, l'immagine di Rebecca che le afferrava i polsi come se le stesse chiedendo aiuto le ritornò in mente. Sulla pelle poteva ancora percepire le dita affusolate della ragazza che l'afferrava in una morsa.
«Stai bene?»
Si voltò verso George a quella domanda sussurrata e allungò le braccia per stirarle.
Non andava bene un cavolo, che diamine. A partire da lui a dire il vero, e da quei sentimenti confusi per quel ragazzo; ma quel pensiero lo scacciò via come come una zanzara fastidiosa.
«Sono solo stanca... Ma dimmi, come va con i regali?»
«La valigia è grandiosa, è comodissima! E il quaderno che mi hai regalato è molto carino, mi piacciono le rilegature in oro sulla copertina.»
«Hai una testa piene di idee... dovrai pur scriverle da qualche parte. Le pergamene si perdono, prima o poi.»
Lui sorrise e annuì, portando le mani a unirsi mentre piegava la schiena e poggiava i gomiti sulle gambe.
«Perché a me e non a Fred?» chiese George, esitando per un momento.
Anne attese qualche secondo prima di rispondere. Con la testa poggiata contro il muro e il viso girato verso di lui, un sorriso a labbra chiuse le venne spontaneo.
«Perché so che non lo perderai. E' in buone mani.»

Più si avvicinava maggio, più la stanchezza di fine anno iniziava a farsi sentire insieme alla voglia di libertà e di godersi le vacanze ormai prossime.
A metà aprile, Anne passò un buon compleanno e festeggiò assieme agli altri Tassorosso nella Sala Comune. Come era da tradizione, ascoltarono musica e cantarono a squarciagola come se non esistesse un domani, liberi da ogni pensiero.
Lee le regalò una buona dose del suo cioccolato preferito, quello bianco. Gli altri lo trovarono poco consistente, ma ancora non avevano capito quanto in verità Anne amasse quel dolce. Lo fece fuori in pochi giorni e questa fu la conferma.
I gemelli le regalarono un loro prodotto - del quale aveva mille e più domande, mentre Angelina le regalò un braccialetto in cuoio "portafortuna". Si sentì fortunata ad averli conosciuti e a far parte del loro gruppo, nonostante ci fosse una tensione improvvisa con Alicia, specialmente dopo la festa di compleanno dei gemelli. Con lei, Anne non aveva avuto un rapporto stretto e non aveva mai capito come relazionarsi seppur avesse cercato di farlo in ogni modo. Pareva quasi che in gruppo le cose con lei andassero bene e riuscisse a chiacchierare o a scambiare qualche battuta, ma nel momento in cui la incrociava da sola in corridoio percepiva una sorta di muro alzato all'istante. A stento riusciva a salutarla perché gli occhi taglienti di Alicia si voltavano dall'altra parte non appena Anne apriva bocca, lasciandola per un momento di sasso.
Giurò anche di averla intravista guardare ripetutamente verso la propria direzione durante i pasti nella Sala Grande o quando usciva con loro, percependo di continuo la sua presenza. Non abbassava mai gli occhi quando incrociava il suo sguardo, neppure quando in un pomeriggio soleggiato erano seduti in cerchio sotto un albero, come erano soliti fare. Ridevano e scherzavano mentre Fred raccontava un aneddoto successo al Ballo del Ceppo con Angelina e che per poco non aveva coinvolto anche George e Alicia. Anne ascoltava in silenzio e divertita, giocando con i ciuffi d'erba con entrambe le mani quando, alzando gli occhi, notò Alicia fissarla con un sogghigno e occhi attenti, studiosi, seduta con le mani dietro la schiena e il mento alzato. Per un momento rimase sorpresa, ma d'istinto abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sentendosi sconfitta.
Fu verso la fine di aprile che Anne, finalmente, riuscì a incontrare Rebecca.
Erano giorni che non passava in infermeria, così decise di fare un salto per sapere delle condizioni della ragazza. Sperava solo che Madame Chips non la congedasse con la solita frase da persona troppo educata.
Aprì il portone dell'infermeria e gli occhi puntarono sul letto in fondo alla stanza. Rebecca era seduta con le gambe lungo il materasso, i finestroni dietro lo schienale le illuminavano i capelli rossi accentuando quelle nuance sul castano.
I divisori erano tutti scostati: lei era l'unica paziente rimasta.
Anne si schiarì la voce prima di chiudere la porta dietro di sé e soltanto quando Rebecca le fece cenno di avvicinarsi, iniziò a muovere i primi passi.
Salutò Madame Chips lungo il tragitto, prese una sedia vicino al letto della ragazza e si accomodò al fianco del letto.
«Anne, giusto?»
Aveva una voce delicata e calda, questo fece sorridere la bionda.
Per avere la stessa età, Rebecca dimostrava di avere qualche anno in più.
«Come stai?»
«Meglio, grazie... Madame Chips dice che entro qualche giorno potrò tornare a lezione.»
Anne sorrise rincuorata. Vedeva i suoi occhi azzurri in una sfumatura spenta come se, per l'appunto, avesse bisogno ancora di qualche altro giorno per riprendersi.
«Semmai avessi bisogno per qualche lezione persa, ti posso aiutare.»
Rebecca si girò per guardarla con un sorriso di gratitudine, i capelli ramati sciolti che ondulavano oltre le spalle e incorniciavano quel volto pallido a forma di cuore. Anne pensò che i lineamenti di quel viso le ricordavano Biancaneve, come i movimenti delicati e fini delle mani nonostante stessero accartocciando il lenzuolo con fare svelto.
«Rebecca... ricordi qualcosa di quel giorno? Di quando sei svenuta?»
Lei subito gettò lo sguardo sulle sue mani che giocavano con il tessuto. Sembrava avere un'espressione preoccupata e spaventata e venne spontaneo ad Anne poggiare una mano sulla sua. In qualche modo e in silenzio la convinse a fermare il movimento delle sue dita.
«Se qualcuno non ti sta lasciando stare, puoi dirmelo...»
Anne continuò e si stupì della risposta di Rebecca: un sorriso tirato, senza allegria.
«Anche se te lo dicessi, potrebbe valere zero.»
Le sopracciglia della bionda si arricciarono, senza comprendere, mettendosi per un momento più dritta con le spalle.
«Cosa vorresti dire?»
«Che non ricordo l'ultima volta che ho chiuso occhio in modo decente. E' da più di un mese che lo stesso sogno mi tormenta. Sogno un uomo che mi mette i brividi nonostante non riesca a vedere il suo volto. Vedo la sua barba bianca, i suoi baffi, la sua collana al collo, ma non il suo volto. Eppure...»
Anne attese, la bocca poco aperta e gli occhi socchiusi come se sperasse di comprendere qualcosa in più. Rebecca aveva parlato lentamente e con un leggero affanno, si era bloccata con gli occhi fissi verso le mani ormai ferme.
«...Eppure mi sembra di averlo già visto. Poi, negli ultimi sogni, sogghigna e mi mette i brividi. Ha un sorriso malvagio e quando chiudo gli occhi mi sembra di vederlo ancora. Per giorni.»
«Cosa potrebbe significare?»
«Non lo so... So soltanto che certe cose nel nostro mondo non sono niente di buono.»
Terminò il suo racconto voltandosi verso la ragazza bionda che, in risposta, non sapeva cosa dire.
Era normale anche nel mondo della Magia un sogno di questo genere? Oppure Rebecca nel suo inconscio era tormentata da qualcosa?
Dopotutto, un sogno poteva valere tutto e niente.
Quando Anne uscì dall'infermeria qualche minuto dopo, le domande si erano moltiplicate a dismisura insieme alla preoccupazione per quella ragazza e la sua salute.
Sperava, tuttavia, che nei prossimi giorni potesse vederla più rinvigorita.

«Ci vuole ancora molto?»
Anne sentì Fred sussurrare quelle parole alle spalle. Si voltò lentamente e gli fece segno di stare in silenzio e lo guardò allontanarsi. La ragazza, spazientita, ritornò in ciò che stava facendo: afferrare lentamente i bulbi balzellanti tra indice e pollice, ruotarli tre volte in senso antiorario e staccarli senza procurare danni alla pianta, poggiandoli nel recipiente in legno del mortaio.
Una volta che ne ebbe raccolti abbastanza, si alzò dal marmo fresco del pavimento e camminò verso i gemelli Weasley. La aspettavano vicino al calderone in funzione, posizionato al centro dei bagni maschili del settimo piano e con le braccia intrecciate al petto. Entrambi avevano le maniche della camicia bianca alzati fino al gomito e la cravatta dei Grifondoro sciolta. Avevano gettato il maglione grigio della divisa scolastica da qualche parte senza curarsene ma, infondo, come biasimarli? Quel calderone sopra la fiamma accesa al massimo emanava aria calda come il forno di una pizzeria.
«Dovresti portare più pazienza, Fred.»
Anne afferrò il pestello e iniziò a tritare finemente i bulbi, fino a ridurli in una poltiglia violaccia e brillante.
«Oh, per la barba di Merlino, eri solo dispiaciuta di staccare la testa a quei cosi.» rispose il rosso più vivace prendendola in giro.
Anne rispose con una linguaccia preferendo rimanere in silenzio, lo guardò afferrare il mestolo all'interno del calderone e girare in senso orario lentamente.
La porta dei bagni si aprì e tutti e tre si voltarono trattenendo il fiato per un secondo, spaventati. La figura di Lee si avvicinò a loro con fare disinvolto.
«Ehi, visi pallidi.»
Li salutò portandosi una cioccorana alla bocca e sventolò vicino alla fronte la mano destra in un saluto alla militare.
I gemelli e Anne sospirarono di sollievo e ritornarono tutti con gli occhi verso il liquido giallastro che stava bollendo all'interno del calderone. Ci vollero pochi istanti prima che iniziò a tramutare in un verde non molto invitante, ma questo fu un ottimo segno: la pozione era pronta e Anne si avvicinò per versare la poltiglia viola all'interno del liquido. Quando vide che iniziò a ribollire velocemente e a fumare di rosso acceso, si allontanò di un passo continuando a guardarlo con un sopracciglio alzato e con una smorfia curiosa. Fred iniziò a girare il mestolo in senso antiorario e il composto iniziò a prendere la colorazione di un rosso fuoco, scaturendo nell'aria un odore che ricordava quello di una cantina che non vedeva la luce del sole da secoli.
«Speriamo che il sapore sia migliore.» disse George, gettando nel calderone le Digitalis Purpurea - fiori a campana di colore viola, che raccoglieva da un sacchetto in tessuto.
Fred continuò a mescolare fino a quando il colorito della pozione non sfumò in arancio, odorando sorprendentemente di...
«Ehi, sembra davvero succo di zucca!» intervenì Lee.
Anne lasciò il recipiente per terra e si avvicinò a George per ripulirgli le mani con uno straccio raccolto lì accanto, cercando di togliere il colorito viola che i petali del fiore aveva lasciato tra le sue falangi lunghe.
«E' una delle particolarità di questa pozione: serve per trarre di più in inganno.»
«In sostanza la mattina dobbiamo evitare succo di zucca, grazie a voi.» riprese Lee, «Lo sai che George si può pulire le mani da solo, comunque?»
Anne fermò la pezza e si voltò di scatto verso il fratello, lanciandogli lo straccio accompagnato da un «Zitto! ».
Per scamparlo, Lee si parò con le braccia verso l'alto e fece cadere alcune cioccorane.
«Quando si toccano i Digitali staccati dalla pianta, bisogna pulirsi subito le mani perché la sostanza viola che lasciano è veleno, razza di Capitan Ovvio!»
Ci fu un momento di silenzio, alcuni sogghigni da parte di Fred e, quando Anne si voltò per guardarlo, notò George con le sopracciglia alzate in una smorfia sorpresa.
«Non lo sapevo, grazie.»
Anne sussurrò un «Figurati.» abbastanza in imbarazzo, lasciò la pezza a terra e andò a raccogliere le cioccorane che quel ficcanaso di Lee aveva sparso ovunque. Sospirò leggermente mentre si chiedeva quando suo fratello avrebbe smesso di metterla in imbarazzo o, più semplicemente, avrebbe bevuto un sorso di quelli che Anne chiamava i CavoliSuoi, nonostante ebbe l'impressione che avrebbe fatto prima a creare una pozione con quegli effetti.
Mentre si inchinava per raccogliere una cioccorana, e i tre alle spalle parlottavano sul prossimo step da raggiungere con quella pozione, notò che la scatola a forma di pentagono si era leggermente aperta. Quando aprì del tutto il cartoncino spesso, il cioccolatino a forma di rana balzò via, gracchiando rumorosamente mentre saltellava e scappava dal suo orrido destino nell'essere mangiata. Anne la guardò per un secondo e ritornò con gli occhi verso il cartoncino, curiosa di sapere quale figura di mago e strega famosi si celava all'interno.
Per un momento corrugò le sopracciglia nel guardare il Mago in tunica verde e con le mani che si univano all'altezza del petto. La barba bianca era di media lunghezza, ricadeva a punta e conferiva al viso un aspetto più allungato e tenebroso, risaltando le leggere scavature ai lati delle guance. Aveva occhi infossati e le sopracciglia grigie erano dritte come due grosse linee.
Al collo, portava una collana.
Salazar Serpeverde, il fondatore della casa Serpeverde.
«Sogno un uomo che mi mette i brividi nonostante non riesca a vedere il suo volto. Vedo la sua barba bianca, i suoi baffi, la sua collana al collo [...] e ha un sorriso che mi mette i brividi.»
Nella propria testa si ripeté la voce di Rebecca, di quando andò a trovarla in infermeria e le parlò del sogno che la perseguitava. E, senza neanche chiederlo, Salazar sfoggiò un ghigno che pitturò il suo volto ancora più di oscurità, lasciando intravedere i denti giallastri e ritirare quella smorfia con estrema lentezza.
Rebecca aveva davvero sognato Salazar Serpeverde? O, meglio, era perseguitata da lui?
«Ehi, è tutto okay?»
Prima che potesse darsi delle risposte, George le poggiò una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. Anne si voltò, titubante per un secondo.
«Sì, sì... è tutto okay.»
«Qualcosa non va?»
«Nono, è tutto okay. Solo...» sventolò per un secondo il pacchetto del dolciume, «alcune facce mi inquietano.»
George attese un attimo, poi le prese la scatolina e guardò l'interno.
«Non mi stupisce con Salazar Serpeverde. Ce ne sbarazziamo all'istante.»
George gettò all'indietro la scatolina, un piccolo tonfo ripetuto fece intendere che era atterrata sul pavimento da qualche parte dei bagni. Le rivolse un occhiolino veloce e poi le fece cenno col capo, con un piccolo sorriso incoraggiante.
«Noi andiamo a cena, vuoi venire?»

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