Dracarys

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Benito sbircia l'uovo di sfuggita, gli occhi strabuzzati che ne percorrono la superficie serica.
Appare a disagio mentre tenta di scorgervi i giorni a venire nelle volute cupe del suo nero screziato, le promesse delle glorie future riflesse sulle scaglie seghettate che ricoprono il guscio lampeggiante di riflessi scarlatti.
C'è odore di chiuso nello studiolo del Bottonuto, puzza di cattività.
Il direttore del Popolo di Italia, bestia in gabbia, passeggia a capo chino per la stanza, si ferma davanti alla scrivania, medita grattandosi il mento. Riparte.
Non è contento.
Le ciclostili hanno stampato mille e quattrocento copie, ciascuna con l'editoriale a quattro colonne ad occupare la prima pagina.
Carattere 25, impaginatura impeccabile.
Titolo ficcante, d'impatto.
IL DESTINO NON ASPETTA.
Le pile di copie invendute tenute insieme da lacci di canapo grezzo assiepano l'intera lunghezza della parete dietro la scrivania.
Affollano i suoi pensieri.
Metà della tiratura, settecento copie.
Milano non vuole ascoltare ed il secolo fugge, chi se ne importa del figlio di un fabbro.
Il teschio in campo nero sembra socchiudere le orbite per uno scherzo della seta, una piega nel drappo degli Arditi affisso alla parete.
A Mussolini dà l'impressione che lo stia deridendo.
I rossi, vecchi sodali e compagni di lotta, paiono un fronte inespugnabile in grado di disperdere con la semplice preponderanza numerica i pugnaci virgulti del nuovo corso.
Le manganellate valgono a poco, gli incendi alle case del popolo ancora meno.
Il socialismo dilaga in tutta Europa sospinto dallo scontento dei vinti e dall'amarezza dei vincitori.
La Grande Guerra ha sconvolto le nazioni lasciandosi dietro disperazione e miseria, confini grondanti di sangue, generazioni di spezzati.
L'onda di riflusso degli sbandati si è alzata a sommergere gli stati trascinandosi appresso la realtà della guerra, sparpagliandola sulla battigia ad inrancidirsi in piena vista.
Benito, l'uomo forte, l'aveva attesa con la pazienza del contadino, aspettando che il vento dello scontento soffiasse sulle messi degli animi non appena il conflitto volse alla conclusione.
Aveva tastato il polso alle masse dei rabbiosi, fiutandone il potenziale, valutandone la furia.
Cogliendo senza esitazioni l'occasione propizia agí infiammando i toni, regolando il registro su piani più aspri e violenti, assecondando l'astio che percepiva montare in seno all'Italia vittoriosa, l'Italia truffata dalla Storia.
Indossata di diritto la blusa dell'interventista della prima ora tuonó le istanze dei mutilati, dei dimenticati, dei militi inetti alla vita civile attraverso le colonne dei quotidiani.
A piccoli passi, urlando quanto bastava e celando il dovuto, aspettò che i frutti prendessero a precipitargli fra le dita.
Squadracce di teppisti accorsi al richiamo del manganello, giovinastri attratti dall'esaltazione piratesca della virilità che il capopolo di Predappio poneva abilmente in risalto con la sua dialettica, futuristi annoiati scontenti della noia e di loro stessi, assassini figli della guerra incapaci di abbandonare i peggiori istinti dell'animo umano e riottosi a porvi un freno.
Spiriti belligeranti, libertini e liberali, idealisti e picchiatori.
Tutti loro risposero.
Tutti loro lo scelsero.
E Benito seppe trovare una parola per ognuno, li esaltó innalzandoli a figure eroiche, elargí loro un fine comune a cui potessero rivolgere brame ed ambizioni, quali esse fossero, elesse a nemico un concetto astratto contro cui scagliare tutto il loro odio e tutta la loro violenza.
La sua ambizione, il suo segreto più intimo, a cullare i suoi progetti ed il Vate come un faro ad indicare la rotta da seguire.
Innescare la scintilla, far deflagare la polveriera.
È ferocemente convinto che in uno scenario come l'attuale basterebbe imprimere una lieve spinta alla leva giusta, forzare i denti di una biella nascosta nel cuore dell'Europa ferita, all'uomo adatto, l'uomo del secolo, perché i battenti della porta che affaccia sul destino delle nazioni si schiudano ad accoglierlo.
Un uomo di sterminate vedute, affamato dominatore di orizzonti infiniti.
Un uomo come lui.

E da qui lo sguardo si perde nella contemplazione di quel deserto privo della minima parvenza di ispirazione noto ai più come "blocco dell'imbratta carte" o "nemesi dello scribacchino de noartri."
La mia idea, come suggerisce il brano in testa, sarebbe quella di sposare le atmosfere del Trono di Spade ( in particolare l'epica ma soprattutto i rettili sputa fuoco, ovvero i draghi) con la disgraziata storia del nostro paese, arrivando a fonderle in una piece semi-comica.
Scendendo nello specifico il Debosciato di Predappio entra in possesso di un uovo di drago ( come e perché sono due punti a cui la mia fantasia ottusa non trova ancora una risposta) che riuscirà in qualche modo a far schiudere ( magari covandolo personalmente armato d'italico ardore chioccesco).
Trovata così l'arma atta a dominare i cieli partirà alla conquista della Capitale e dell'Europa, ma che dico dell'intero Orbe Terracqueo, scimmiottando la ben più interessante - nonché arrizzante - biondina di casa Targaryen.
Per sommi capi lo svolgimento del racconto dovrebbe essere questo, più o meno, e il lessico vorrebbe mantenersi sullo stesso registro che si presenta in questo scampolo, con infinite difficoltà da parte mia.
Lascio il presente embrione a disposizione di chiunque voglia continuarlo o si senta tanto generoso/a da farmi dono del suo tempo e dei suoi consigli.
Per ora io mi arrendo per manifesta inadeguatezza.

Semper voster
PAINELEMENTAL

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