(+25. Per chi avesse voglia di leggerla. 2715 parole)È qui intorno, nascosto dove non posso vederlo.
Nel verde.
Beve la mia paura un sorso alla volta, vive per vedermi finire con i piedi in avanti.
Lo so.
Non è uno che si arrende Charlie. Tiene botta lui, non molla la presa quando chiude le mascelle sull'osso.
Sono a casa sua qui nel verde, a casa di Charlie.
E Charlie mi odia.
Riesco a sentire il peso delle sue fessure allungate posarmisi addosso, strizzate sulla coppia di aghi marroni spalancati nel bianco delle cornee, che mi trafiggono da parte a parte.
Lo leggo riga per riga il riassunto della sua storia, smozzicandolo a mezza voce una sillaba dopo l'altra, nell'istante in cui preme il calcio contro la spalla ed alza la bocca del Bar 50 in posizione di tiro.
Per me è come un cristallo trasparente mio fratello Charlie, una finestra pulita, affacciata sulla mia coscienza.
Salgo a farmi un giro sul vagone dei suoi ricordi, mentre tira il fiato e si prepara ad ammazzarmi e
vedo attraverso i suoi occhi la pelle sciolta che pende dalle ossa di un bambino, come una maglietta che gli vada troppo larga, e il fuoco del Napalm che pian piano svanisce nell'azzurro, sopra ai campi di Thé che bruciano alla luce del sole, insieme alla casa in cui è nato; seguo le labbra di un ragazzo in pigiama nero con un guinzaglio a serragli il collo, che si aprono nell'ansito di una supplica mentre un caporale yankee ride di lui, trascinandolo come un cane.
Chissà se anche Charlie riesce ad assaggiare il sapore dell'adrenalina che mi punge la lingua quando batto il caricatore sulla rete mimetica del M1, prima di scattare in piedi, vuotandolo nel verde.
Se il rombo dei rotori degli Huey gli sfonda i timpani come fa con i miei, volando a quota d'ingaggio degli M60 montati sui sostegni, piazzati al centro dei vani spalancati nelle fiancate, un centinaio di piedi più in alto dei civili che scappano urlando in cerca di un riparo; se anche il suo stomaco si chiude, mentre vede i brandelli dei corpi fatti a pezzi dal fuoco dei mortai, e chissà quando, vomitando sul sangue dei suoi fratelli, ha trovato il tempo di mangiare la foglia a proposito della menzogna dei Viet-Cong, come abbia fatto a vedere il bluff a cui entrambi abbiamo abboccato, quando puntarono le nostre vite su un piatto troppo grande per essere vero.
A Talahasse vedevo le ragazze bagnarsi alla vista di una mimetica e prendere il numero per mettersi in fila a succhiare gli uccelli dei berretti verdi.
Ricordo la gente per bene in giacca e cravatta, la gente che conta, quella che non paga mai i suoi debiti, consumarsi le mani a forza di dare pacche sulle spalline dei graduati, con il sorriso della domenica stampato in faccia mentre facevano a gara a far andare la lingua, fino a seccarsela, sulle lodi e gli incoraggiamenti che andavano blaterando.
Cosí decisi di arruolarmi, per averne una fetta anche io di quella torta, per vedere gli occhi dei miei vecchi accendersi d'orgoglio davanti alla divisa da parata, per essere uno dei giusti, uno della "generazione migliore".
Volli battere il mio home run, e misi tutto il meglio nel colpo, inseguendo il sogno di una nazione intera.
Partii nell'autunno del 67, insieme al 23° aviotrasportati, per andare nel verde a combattere una guerra che non era la mia, marciando sotto il rosso, il bianco e il blu e laggiú mi insegnarono ad essere un assassino; volevo che non mi dessero del vigliacco, ed accettai di fare la mia parte, portando avanti la loro farsa, ma la ricompensa che ebbi in cambio, non fu nient'altro che il tarlo di questa vergogna fottuta a rodermi dentro in ogni singolo istante di questa mia vita del cazzo, che diventa sempre più vuota e ipocrita ad ogni giro d'orologio.
Mi regalarono un biglietto in prima classe sul treno che varcó la soglia di questo inferno fatto di commiserazione e rabbia, dal quale non riesco più ad uscire.
Credo che anche per mio fratello Charlie valga lo stesso discorso; forse le sue motivazioni erano diverse dalle mie, le sue ragioni più profonde e nobili, ma immagino che porti la stessa firma il conto da saldare, che il timbro stampato in calce al contratto stilato con l'inchiostro delle nostre illusioni, in fondo, non sia poi cosí diverso dal mio.
Quando hanno spento le luminarie della festa, lo Zio Ho l'ha preso da parte e gliel'ha messo in culo, come fecero con me suo cugino Sam e Lindon Johnson.
Lo sappiamo bene, ora, ad otto anni di distanza, e cominciammo a capirlo nel verde, giorno dopo giorno, quando ci rintanavamo dentro le buche scavate nel fango, intrise dalla nostra merda e dal nostro piscio, odiandoci a vicenda mentre ce la facevamo sotto, cercando di nascondere la paura agli sguardi dei nostri commilitoni e dei nostri superiori.
Perché la verità che non riesco ad affrontare è che Charlie mi ha lasciato da un pezzo, insieme ad una parte della mia anima che ha preteso di rubare per sé, laggiú a Da Nang, nella primavera del '68.
Certe volte mentre mastico amaro dietro al volante, in coda sulla S54, mi sembra che il sole abbia la stessa lucentezza abbagliante delle lame accecanti che filtravano nelle ombre del verde, e il borbottio delle macchine incolonnate, mi porta alla mente il rumore dei gruppi elettrogeni che la notte alimentavano i riflettori montati in cima ai pali perimetrali del campo base.
È difficile cancellare il passato, non puoi lavarlo via con un colpo di spugna, i suoi colori si impastano fra loro, persistendo sulla superficie dello specchio, e la lerciano con l'alone dei ricordi che rimangono lí a rinfacciarti le tue colpe, delineati in un dipinto che non riesci a fare a meno di fissare, per quanto tu non lo voglia.
Ti stanno sul collo anche quando sei alla scrivania, con il naso abbassato sulle fatture della concessionaria, e Marty entra in ufficio senza bussare, in pieno attacco di diarrea verbale, facendo un commento qualsiasi, magari parlando del F-Progect Garage di Gregson :
" Ehi Sammy, non ci crederai ma quel gran paraculo di Big Charlie G. è riuscito a piazzare quella Buick del '67 a un prezzo da rapina. Te la ricordi, no? L'ha data dentro per ventinovemila dollari, un catorcio verde pisello che a malapena si accendeva. Ti rendi conto? Il bifolco che l'ha comprata dovrebbe fargli causa per circuizione d'incapace...."
Allora la vista all'improvviso si annerisce, i contorni delle cifre sulla carta millimetrata ondeggiano davanti tuoi occhi, e sbottoni il colletto della camicia cercando una stronzata qualunque da buttare lí, facendo finta di nulla, domandando a te stesso, se anche Marty sente l'umidità entrargli sotto i vestiti coprendolo di sudore, mentre Bob Richardson gli parla dell'ultima Mamasan che si è sbattuto a Saigon, in cambio di una razione K e di una dose di eroina; ti chiedi se anche questo finocchio imboscato senta la risata sincopata dei traccianti che si abbatte sui sacchi di sabbia adagiati sul bordo della trincea, cercando di ignorare la voce della morte che lo sta chiamando per nome, in mezzo al fragore delle detonazioni.
Ormai è da qualche mese che il verde si è fatto più furbo.
Appare quando meno me l'aspetto, e in un attimo sfugge lontano scappando in sordina sulla pista del passato, sparendo in un lampo oltre quota 604, rifiutandosi di concedere alla mia coscienza l'occasione di soffermarsi a studiarlo.
Il Dottor Frisk dice che è un buon segno.
Sto facendo progressi, a dar retta a lui.
Di solito durante le sedute pagate dall' associazione dei reduci, non fa altro che dimostrarmi come i miei sforzi quotidiani rappresentino la mia stessa volontà di guarire, la volontà di reinserirmi attivamente nella società.
Mi ha spiegato che prendere in mano l'attività del mio vecchio, sposarmi con Anne Mary e sfornare marmocchi insieme a lei, equivalgono a delle tappe fissate lungo l'itinerario del viaggio che il mio inconscio sta intraprendendo di sua iniziativa, per riacquistare la propria dimensione naturale.
La prima volta che produsse in presa diretta quest'idiozia, quasi scoppiai a ridergli in faccia.
Stava seduto in poltrona a fianco del lettino sul quale ero sdraiato, sputando sentenze su un argomento che non riusciva ad inquadrare e nemmeno a chiamare per nome.
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Scusa, Che Hai Detto?
Short StoryUsare una domanda come titolo ad una raccolta di racconti brevi non è sicuramente una prassi usuale. A mia discolpa posso avanzare l'innesco che ha dato vita alle storie nascoste dietro allo smile giallo che ai tempi scelsi come copertina. "Scusa...