La Legge Universale Dei Liquidi

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Un corpo...

Guardo in alto e vedo una cortina evanescente un velo spiegazzato e opaco che mi scorre davanti in un moto continuo al di sotto della forma allungata che brilla dall'altra parte, oltre la trasparenza inondata dalla luce. Da tanta, troppa luce.

È concentrata in una sfera bianca, una palla affusolata piantata nel mio campo visivo e non riesco a fare a meno di guardarla, desiderandola con ogni singola fibra del corpo, mentre cerco di vincere la densità e di afferrarla tra le mani portandomela al petto, per stringerla, come il bene più prezioso che esista; ma proprio non ci riesco nonostante voglia farcela con tutte le mie forze e vado giù a peso morto, vedendola restringersi a poco a poco intanto che il fluido si chiude appena sul fulgore del bianco, in un pasto crudo, dolce quanto il primo respiro.

Aspirarne un poco, di quella luce fantasma che fluttua davanti ai miei occhi senza che riescano a metterla a fuoco, berne giusto il necessario, ecco cosa dovrei fare.
Sarebbe semplice in fondo, basterebbe prenderne una boccata e poi lasciarmi andare, se non fosse per l'illusione che mi pulsa alle tempie pompata dal sangue, sempre la mia solita maledetta illusione che non ammette ragioni, che non vuole smetterla di battermi in testa come un martello che pianta un chiodo fisso nei miei pensieri.

Non saprei dire quando e perché mi sia entrata in circolo, né per quale ragione abbia scelto proprio me e tanto meno quale sia il motivo che mi abbia convinto a prestarle ascolto, ritrovandomi a trascinare i piedi fino ad una spiaggia insieme a quelli degli altri malati terminali, affetti come lo sono io dalla dannata epidemia che si nasconde dietro la speranza, né quale razza di perfido assioma segua nel perseguitarmi anche ora, mentre precipito con la luce aggrappata agli occhi.

... immerso in un liquido...

Affondo dalla luce al buio, e non so fare altro, perché l'acqua non mi sostiene - semplice - non le importa nulla della percentuale di cloruro di sodio dissolta nella vastità immensa del mare, per lei non esistono costrizioni né vincoli che riescano a comprimerla, tanto meno a fermarla, se ne frega dei corpi immersi al suo interno.

Sta tutto qui il mio problema e non è poi cosí complicato in fondo, non quanto lo sia stato cercare di agitare continuamente le braccia e le gambe per stare a galla, con le grida dei bambini che mi entravano nelle orecchie confuse alle preghiere delle madri che giravano lo sguardo attorno nella speranza di vederli un' ultima volta, prima che le onde glieli rubassero.
Urlavano unite nel cordoglio dei padri e degli amanti, dei fratelli e dei figli, al coro delle suppliche degli stupratori e degli assassini, dei furbi e dei vinti.
Le sentivo fare da contrappunto al rumore ovattato dello sciabordio contro il fianco del gommone, mentre ascoltavo il sibilo dell'aria che mi entrava nei polmoni mischiata alla schiuma sapida mossa dal vento, mettendo ogni briciola di energia nello sforzo di tenere la testa fuori dall'acqua, affamato di quelle boccate salate che mi chiudevano lo stomaco lasciandomi senza fiato.

Ho fissato le dune di un deserto d'acqua alzarsi ed abbassarsi per un tempo infinito, ventilare all'orizzonte quasi fossero le pleure di un gigantesco polmone, alla ricerca di un miraggio perso a largo dell'assurdo, nell'impossibile, con il riflesso feroce del sole che batteva sul profilo affusolato delle onde, prima che mi rendessi conto della stanchezza, della battaglia già persa che tentavo di opporre alle sue proporzioni, e finalmente mi arrendevo all'evidenza iniziando a scendere nel blu profondo.

... riceve una spinta uguale e contraria...

Vado sotto, annego nell'oro di quella luce che ormai non posso piú raggiungere e la poca aria che sono riuscito a inspirare mi si comprime subito in petto, quasi si ritraesse timida tentando di occupare il minor spazio possibile, ed io ne misuro le gocce ad una ad una e capisco che mi sarà appena sufficiente per sopprimere l'istinto di prenderne dell'altra, che servirà quel tanto che basta a strangolare la mia condanna, ad uccidere la mia inutile, coriacea speranza.

Sbatto appena le palpebre incrostate dal sale e ne vedo una briciola, la osservo fuggire via staccandosi dalle labbra, trasmutata nella forma eterea di una minuscola bolla che si schiaccia e si rilassa per effetto della pressione, la seguo salire in superficie ad unirsi al suo elemento naturale, al grembo materno dal quale l'ha raccolta la mia trachea spingendola a forza nei polmoni.

Scappa lontana da me con il suo incedere incerto, sbandando gonfia d'ossigeno nel fluido che immediatamente ne prende il posto, insinuandosi nella feritoia della mia bocca secondo la truffa dei vasi comunicanti, a scambiare la vita con il respiro portentoso del liquido che mi vuole per sé, mentre la gravità mi rema contro tenendomi per le caviglie.

Cerco di divincolarmi, di sciogliere l'abbraccio dal quale non usciró e i ricordi mi bisbigliano dentro, rinfacciandomi ogni singola scelta sbagliata, abbaiandomi addosso ogni più piccolo rimpianto cullato dal bisogno che mi sconvolge.
Sento le guance scuotersi per quest' astinenza d'impalpabile che mi urla dentro il suo eco feroce, attraverso la mancanza trascurata ad ogni pulsazione del cuore, presa alla leggera appena una vita fa, alzando le spalle senza quasi pensarci, mentre contraevo la cassa toracica per miliardi di volte ad aspirarne un pezzetto alla volta, con il calore del terreno che mi saliva alle piante dei piedi.

...alla forza che lo comprime.

Finche anche quel rimasuglio stentato, strappato alla luce del sole a furia di morsi, anche quell'ultimo alito cristallino, infine, salta fuori tutto d'un colpo sottoforma di una collana di perle iridescenti, tessute insieme dallo sfiato che prorompe dalla mia gola, come il grido di un cadavere, e l'acqua traborda al mio interno sfondando la diga con cui avevo cercato di tenerla fuori, tràcima oltre le chiuse dei denti riversandosi senza più limiti, riempiendomi fino all'orlo.

Mi porto le mani al collo, cerco di stringerlo più forte che posso per impedirle di entrare, sento gli occhi uscirmi dalle orbite pulsando al ritmo impazzito del cuore che sembra esplodermi in petto, e la paura a cui credevo di essermi abituato mi azzanna ancora l'anima, questa volta con un' intensità mostruosa, ed io non so più resisterle, cedo al panico e le mie gambe scalciano il buio del liquido che mi tiene stretto, comincio a girare su me stesso come una foglia morta che si stacca dal ramo vorticando nel vento, e...

Cos' é?

Devo essermi voltato di nuovo verso la superficie, eppure quelle sembrano montagne, valli coperte di verde, grandi crepacci trapunti di colori sgargianti, ma è tutto fuori quadro, immerso in questo strano blu screziato che converge verso quel punto focale, verso quella scintilla che brilla laggiù in fondo.

Oh, sta zitta tu!

Lasciami guardare in pace, smettila di rompermi l'anima!

Lo so di essere morto, cosa credi.

Ormai non mi fai più paura, e forse non me ne hai mai fatta.

Quando non si ha una casa a cui tornare e nemmeno una destinazione certa verso cui spingersi, è come essere morti dentro da sempre.

Ci sono un mucchio di cose più interessanti di te, Morte, nonostante tutte le grandi arie che ti dai.

Come quella luce là in basso, ad esempio...

Ma che fa?

Si allarga, diventa sempre più grande, mai vista una cosa simile!

Ma che...
Mamma!
Papà!
Samira!
Ma che ci fate qui?

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