Quando Flora riprese i sensi, non ebbe il tempo di accorgersi di essere sdraiata su un letto morbido e non più sul pavimento della sala del trono. Un lancinante dolore le attraversò la testa, una lama incandescente che le perforava il cranio e si divertiva a bruciarle la mente.
Non aprì gli occhi, ma mosse una mano, in cerca di qualcosa o qualcuno che non sapeva se presente o meno. Le pareva di aver udito delle voci sussurrare, e sperò che fossero quelle di Claudio e Stella. Delle dita si strinsero attorno alle sue e riconobbe la stretta rude dell'amico.
«Sei sveglia?» sussurrò invece l'Estate.
«Sì...» rispose lei, a fatica, ringraziando la Luna che quel suono fosse così semplice da pronunciare.
«Il guaritore di corte era a Zichi questa notte» commentò Stella, amareggiata. «Stiamo aspettando che ritorni, non so cosa fare per aiutarti.»
«Ho sete» biascicò Flora, sentendo la gola arsa dallo stesso fuoco che le infiammava il capo.
«Ci penso io.» Claudio le lasciò la mano e si allontanò, ma lei poté seguirne il suono dei passi nel corridoio. Si accorse solo in quel momento che, nonostante il dolore, riusciva a percepire l'ambiente circostante pur senza vederlo. Distingueva le linee geometriche dei mobili, la vetrata spalancata e la tenda che riparava dall'ingresso dei raggi solari, Stella china su di lei, il suo respiro preoccupato, i pensieri affannosi per la magia che nessuna delle due era in grado di spiegare.
Sentì il profumo di lavande provenire dalla sua sacca da viaggio che qualcuno doveva averle tolto dalla spalla per metterla a letto. Si sovvenne delle istruzioni di una guaritrice e la indicò all'altra.
«Un impacco. Mi serve un impacco.»
L'Estate si mosse e comprese subito di dover estrarre alcuni dei fiori essiccati che si erano conservati solo grazie all'arte di chi era più abile di loro. «Quali devo prendere?»
«Lavande.» Un altro lampo di dolore le perforò le tempie. Un grido strozzato le morì in gola e lei si portò le mani al viso, mentre altri passi giungevano ai suoi sensi. Non erano quelli affrettati e impacciati di Claudio, bensì solenni e cadenzati, l'incedere di chi si muove con sicurezza ed è abituato al comando.
«Si è ripresa?» chiese Vittorio, con voce austera.
«Non sta bene. Ho bisogno di acqua calda e di alcune bende.»
«Potevate dirmelo prima!» Claudio si avvicinò al letto di Flora, incerto su cosa fare.
Lei si fece forza e si sollevò poggiandosi contro lo schienale, mentre udì il re sporgersi fuori dalla stanza e dare ordini. Aprì gli occhi mentre lui rientrava e scoprì che aprirli o chiuderli non influiva sul suo dolore. Prese il bicchiere che l'amico le porgeva e beve in un solo sorso, sentendo il liquido scorrerle nella gola con dolcezza, come se spegnesse il fuoco che le ardeva dentro.
«Non capisco» disse. «Finora non aveva mai fatto così male.»
Parlare non fu difficile quanto incontrare lo sguardo di Vittorio che pretendeva spiegazioni. Il re la fissava assorto, ma lei non si sentiva in grado di affrontare quell'aria di superiorità che non gli veniva mai meno. Flora decise di accogliere quel dolore, espandendolo affinché lui potesse comprendere: gli avrebbe abbassato quell'alterigia insopportabile. Chiuse di nuovo gli occhi e si concentrò, lasciando che l'incandescenza invisibile la percorresse. La ricevette, e smise di soffrire. Era stato semplice, molto più di quanto avesse immaginato. Se la magia era parte di lei, non poteva chiudersi e ignorare di esserne impregnata.
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Selenia - Ore oscure
FantasyLIBRO II - IN PAUSA Vittorio si tolse dal naso la sottile montatura d'oro degli occhiali da lettura e infisse gli occhi in quelli chiari dell'ospite. «Ti ascolto.» «Uno o una dei vostri cortigiani pensava a Raissa, voleva che lei sapesse di Claudio...