Continuo a ripensare alle sue parole. Mentre le pronunciava sembrava un altro.
Una cosa è certa, qui dentro io non ci resto. Questo è il mio turno di cambiare , di dimenticare il passato e andare avanti , e non ci riusciró se rimango qui. La proposta di Luc mi ha lasciata perplessa... A scuola ci guardavamo a malapena ed ora mi ritrovo nel suo letto. Bah.
Ho una strana sensazione , non provavo quest'emozione da quando avevo dieci anni, e ne è passato di tempo. Mi sento a casa, è una cosa quasi buffa, perché Luc non lo conosco affatto, però guardandomi intorno e vedendolo girare per casa sento che questo posto è mio...Sto dicendo un'assurdità, lo so.
Rispetto a questa mattina sto meglio, la testa pulsa a malapena, peccato che mi faccia ancora male il fianco.
Mi alzo con calma e guardo di nuovo la camera: c'è una finestra aperta avvolta dalle tendine verdi.... È orribile quel colore!
- Ma allora vuoi mangiarla questa brioche o la finisco io?!-
La voce di Luc rimbomba nella stanza ed elimina i miei pensieri.
- Non mi va... Prendila tu.-
Sento dei passi nel corridoio e poi sulla porta compaiono i suoi ricci castani.
- Ma come?! È buonissima!.... Ripiena di nutella, la sfoglia dolce e friabile... Non puoi resisterle!! Hahahaha!-
La risata mi fa sussultare, è da tanto che non ne sentivo una cosí, piena di vita, gioiosa... Io, al massimo, inclinavo le labbra sottili in un sorriso alquanto falso.
- Non ho fame...-
- Come vuoi... Però non sai che ti perdi!-
Le parole escono da sole e non so neanche se hanno un significato, ma non posso fermarle.
- Ho giá perso tutto quello che avevo e che avrei voluto... Un cornetto in meno non cambierá nulla.-
I suoi occhi cambiano colore, da un verde intenso diventano smeraldo; mi guarda, però non dice nulla, continua a cercare le parole piú adatte, ma non le trova.
-Hum....Okay.-
Non c'è nulla da dire, ed è inutile pensar di aver compreso come mi sento, perchè sarebbe uno spreco di tempo.
Abbasso lo sguardo e osservo le mie gambe candide e scheletriche intrecciate. Sento Luc andarsene e decido di alzarmi. Appoggio le mani sul materasso e faccio forza, ma per un secondo sembra che la terra mi giri intorno ed afferro l'angolo del comodino, poi riprendo il controllo ed alzo la testa verso l'armadio: i pezzi di vetro sono ovunque, sparsi sul pavimento, in ognuno vedo riflessa una me diversa, una parte della mia infanzia; stringo i denti e chiudo gli occhi , fa troppo male pensare al periodo in cui era tutto fantastico e non mi accorgevo di quanto fossi fortunata, del periodo in cui credevo fosse tutto normale, quando pensavo che tutto mi fosse dovuto.... Mi sbagliavo.
Una folata di vento mi smuove e sono costretta ad affrontare il presente, d'improvviso ho freddo e vorrei scomparire. Stringo il petto fra le braccia sottili e respiro profondamente, con lo sguardo cerco i miei vestiti : sono infondo alla stanza, ripiegati ordinatamente su una sedia. Ogni passo sembra pesantissimo ed infinito, peggio dell'attraversare a nuoto l'intero oceano, sento le ginocchia che cedono e le gambe che tremano.
Che odio!
Arrivo alla sedia e mi siedo sugli abiti, esausta.La mattina passa velocemante; di Luc nemmeno l'ombra. I pensieri mi consumano, ma infine decido di alzarmi, stando ferma non concludo nulla.
Mi rivesto, raccolgo i pezzi di vetro e vado verso la cucina, suppongo.
- Che fai?-
Stavo quasi per cadergli addosso, ma mi fermo in tempo e lo guardo, mostrandogli i frammenti.
Quasi non ci crede. Bene.
- Ah. Addirittura?! Vieni con me. Muoviti.-
Attraversiamo un piccolo corridoio ed arriviamo in una stanza con la porta aperta.
-Mettili qui, poi esci per buttarli.- Dice porgendomi una busta nera della spazzatura.
- Non puoi andare tu?!-
- Non rompere!-
- Okay.-
Le scale del palazzo sono alte e strette, mi ci vuole una vita per scenderle tutte; finalmente arrivo nell'androne principale: uno spazio completamente vuoto e senza luce, in cui si intravedono solo i contatori appesi al muro in pietra. Per fortuna il portone è vicino e ci metto poco per aprirlo, nonostante sia massiccio.
Mi affaccio su di un piccolo giardino, recintato da almeno tre palazzi di quattro piani. Mi volto in cerca di qualche indizio, ma nulla.
Non c'ero mai stata qui.
Per me è tutto troppo colorato. Straripa di fiori d'ogni genere e piante multiformi: ortensie, rampicanti, rose, ginestre,....Tutti concentrati in uno spazio cosí ristretto, angusto.
Mi rivedo bambina mentre, insieme a mia nonna, persa fra gli odori del suo balcone, innaffiavo il terriccio dei vasi e giorno dopo giorno vedevo crescere nuove creature, sempre piú rigogliose.
Continuo a ripetere che quello è "solo" passato, ma non voglio e non posso crederci. Non mi va di ricordare.
Scuoto la testa ed a grandi falcate mi avvio verso il secondo portone, contornato da un dolce muretto in mattoni chiari. È semiaperto.
Appena lo scosto del tutto mi sembra di ricominciare a respirare. Finalmente.
Si affaccia su di una scalinata che scende sino ad una stradina lastrica, affollata di gente. Non lontana dal centro credo, dato il gran baccano dei clacson che proviene da lontano.
Il cestino è proprio difronte a me. Butto il sacchetto ed inizio a scendere le scale di corsa, come se tutto potesse crollare davanti ai miei occhi, nonostante il dolore al fianco. Il rumore dei miei passi risuona fra le risate dei bambini ed i rimproveri delle madri. Vengo travolta da tutto quel caos e mi perdo fra le stradine intricate. Non so quanto tempo sia passato da quando sono scesa, nè dove stia andando, ma non m'importa. Il sole brilla alto ed illumina un cielo terso, senza ombra di velature. Dal collo e dalla fronte continuano a scendere delle goccioline di sudore gelato, ma non mi fermo, continuo la mia ricerca del nulla. Mi faccio largo fra la folla ed arrivo in una piazzetta con al centro una chiesetta in stile gotico. Le porte decorate minuziosamente stanno per essere chiuse e riesco ad intravedere gli enormi affreschi che ricoprono la parte centrale della struttura... Che meraviglia!
Improvvisamente il suono delle campane si diffonde nel vento e mi precipito spaventata dal lato opposto della strada.
M'incammino sul marciapiede e man mano che proseguo l'aria diviene sempre più afosa, la gente aumenta e sembra quasi di soffocare. La cittá si fa strada dinanzi ai miei occhi increduli e mi colpisce dritta al petto. Da quanto non uscivo di giorno? Un anno forse? Ormai amavo soltanto il buio, in cui era piú facile nascondersi ed evadere dagli sguardi inquisitori delle persone. Le uniche compagne di viaggio quando le luci opprimenti venivano spente e permettevano di immergersi nei pensieri, erano la luna o le stelle.
In quelle notti desideravo solo perdermi del tutto e smarrire la strada del ritorno, per poi restare la mattina seguente senza piú fiato e lacrime da buttar fuori. Avrei voluto rifugiarmi in qualche vicolo stretto e deserto, peccato che qui venivo sopraffatta dalle ondate di ragazzi sprezzanti ed ogni secondo che passava ero impegnata a cercar di reggermi sulle mie gambe.
Non ci capisco nulla; vengo buttata da una parte ad un' altra senza mai fermarmi, finché lascio che i piedi mi portino in qualsiasi altro luogo, il piú lontano possibile da qui e da tutta questa tristezza.
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Tutto cambia
General FictionNella vita niente resta uguale, tutto è in continuo movimento, in trasformazione. Alaska ha imparato dai suoi errori ed ora vorrebbe crearsi un'altra vita : troppe volte le persone che dicevano di essere sue amiche l'hanno delusa. vuole ricominciare...