Due anni prima

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I giorni passavano, ma continuavo a non ricordare nulla. Mi sentivo un foglio bianco, vuoto, nessuno riusciva a scriverci, le parole sbiadivano alla luce del sole. I giorni passavano e non sapevo il mio nome o se fossi viva o morta: cosa sarebbe cambiato?
Nulla.
Le ore passavano ed ero sempre piú sola; le persone avevano paura della mia pazzia o forse della mia apatia, ma non m'importava, cercavo la solitudine. Il dolore al petto, al cuore, non smetteva di crescere e tormentarmi, una martellata dopo l'altra mi distruggeva dentro, anche se fuori si vedeva poco e niente, ma non ero mai stata brava a nascondere le cose: il mio carattere rispecchiava la battaglia interiore che dovevo affrontare ogni secondo della mia fottuta esistenza e che mi faceva perdere il controllo delle azioni e del tempo.
L'inverno mi abbracció con il suo tocco agghiacciante, ma lo accolsi come una coperta calda: finalmente il freddo avrebbe nascosto le mie lacrime dietro le sciarpe, ed i tagli, piú profondi della voragine all'interno del mio stomaco, sotto i felponi neri e spessi. La situazione peggiorava ad ogni sguardo storto o inquisitore che i miei compagni di classe mi lanciavano. Quanto avrei desiderato morire davanti ai loro occhi e farli soffrire quanto me, ma forse non se ne sarebbero nemmeno accorti; in realtá io cos'ero per loro? Le restanti briciole della ragazza che sorrideva troppo e che rideva poco tenute insieme da chissá cosa, chissà quale forza misteriosa. Forse ero quella che passava i compiti a tutte le ore o magari la ragazza da prendere in giro, tanto non ci avrebbe fatto caso, non avrebbe detto nulla. Si sbagliavano. Ma almeno di questo si ricordavano? Per una volta soltanto avrebbero potuto guardare oltre la maschera e vedere che c'ero semplicemente IO?! Piccola, accartocciata e piegata su me stessa dal senso di colpa e dalla paura di non farcela e lasciarsi andare troppo in fretta? Perchè si, prima o poi mi sarei lasciata andare e l'avrei raggiunto, l'avrei rivisto e forse Lui mi avrebbe riconosciuta, nonostante tutto, nonostante il mio aspetto, nonostante il buio da cui ero avvolta.
Gli incubi si susseguivano cosí come le pugnalate che ricevevo alle spalle e le grida che mi squarciavano la pelle svegliandomi in piena notte, sudata, persa, irriconoscibile.
Non ne sarei piú uscita. Non volevo uscirne. Dovevo soffrire per quello che gli avevo fatto. Nel mentre le onde nere dei miei sogni mi scalfivano ripetutamente finchè non sanguinavo e cercavo il Suo perdono. Ma nulla. La Sua voce non c'era, inesistente, magari troppo lontana per sentirmi o per rispondermi, magari troppo deluso per perdonarmi.
Ogni respiro era l'agonia senza di Lui.
Piú cambiavo io e piú cambiavano le opinioni dei miei cosiddetti "amici" ma soprattutto dei miei genitori; vedevano in me il demone che aveva distrutto la LORO famiglia perfetta...e la MIA famiglia che fine aveva fatto?
A stento riuscivano a sopportare il dolore e li vedevo crollare davanti agli occhi indiscreti della gente, davanti ai miei occhi increduli. Cercavo solamente un po' di coraggio o magari forza per affrontare tutto questo, ma nessuno sembrava averne. I miei genitori che da sempre avevano sostenuto Claude in ogni sua decisione adesso abbandonavano me, che non ne avevo colpa. La loro vista ed i loro pensieri erano offuscati dalla rabbia e dai sogni repressi per accorgersi della mia straziante richiesta di aiuto.
Le domande sulla mia vita si sovrapponevano disordinate, ma fra tutte l'unica che riemergeva sempre a fine giornata era una: perchè Lui e non io? Ecco cos'ero, una stupida ed ingrata. Queste parole riecheggiavano una volta al minuto nella mia testa, mentre la me del presente vagava nei ricordi di un passato felice. Sarei stata di nuovo felice un giorno? Non lo meritavo. Per quanti esiste una seconda occassione? Il senso di colpa si prendeva gioco dei miei timori e affogavo nei mille perchè che, ormai, costituivano il mio "quotidiano".

UN ANNO PRIMA

Ben presto venni a sapere cose sul mio conto che nemmeno io conoscevo. Impossibile. Prima della catastrofe nessuno ci avrebbe creduto, ma ora? Tutto era possibile e da me ci si poteva aspettare qualsiasi cosa.
Le bugie correvano in fretta, piú veloci della veritá. Le menzogne combattevano per il primo posto, per conquistare più persone possibile. La veritá spesso si lasciava sopraffare ed essere dimenticata.
E se fossi riuscita a spezzare il circolo vizioso che la gente decideva di costruire per ferirmi, infangarmi o farmi soffrire?
Per prima sarei dovuta cambiare io, dovevo tornare indietro nel tempo a quella me che sembrava umana, adesso irriconoscibile ai miei occhi vuoti. Però pensandoci nessuno mi avrebbe presa sul serio, pensando che fosse soltanto il miraggio di una vita lontana, troppo lontana. Non sarei più tornata quella che ero, chi volevo prendere in giro!?
Le strane notizie sul mio conto arrivarono anche ai miei genitori che decisero di trasferirsi: una figlia pazza che infangava il buon nome della loro famiglia non era il massimo.
Impacchettammo le nostre cose, poca roba, e ce ne andammo. Quella sera tutto il vicinato sentì le urla fra mio padre e mia madre. Claude era morto e lei si ostinava a voler portare con noi i suoi vestiti, i libri, le lenzuola, i giochi di quand'era bambino. Lui era morto. Non riusciva a capirlo e noi dovevamo sopportare ancora la vista dei suoi oggeti in giro. Questa volta sarebbe andata in modo diverso, papá non lo avrebbe permesso. Ma come si poteva lasciare questa casa? Ogni stanza racchiudeva un miliardo di ricordi, in ogni foto Lui sorrideva come sempre e sembrava quasi reale; forse proprio per questo avremmo dovuto abbandonare questa casa molto prima, raderla al suolo, distruggerla e con essa tutto ciò che ci ricordava. Dopo solamente un anno, di mio fratello restava ben poco nelle memorie della gente, divenne uno dei tanti fantasmi che popolavano la cittadina e di cui, in realtà, nessuno conosceva la vera storia, tutti pensavano di saperla, ma si sbagliavano, e di grosso.

La nuova vita che i miei si aspettavano in seguito al trasferimento non arrivó mai. Il dolore camminava con noi immutabile nel tempo, forse più forte. Il cambiamento non ci sfioró affatto: restammo la stessa famiglia distrutta, semplicemente all'altro capo del mondo. Così decisero di cambiare nuovamente casa, pensando di aver sbagliato cittá. Fu tutto inutile: quelli sbagliati eravamo noi.
Sia papà che mamma restavano a lavoro tutto il giorno, non si parlavano più ed io mi abituai all'idea di vivere da sola, l'unica prova della loro presenza in questo posto era la porta che sbatteva al mattino quando uscivano e la notte, quando tornavano ad orari completamente diversi. Ecco tutto.
In città non c'era molto da fare, ma per quanto mi riguardava in nessun luogo c'era molto da fare. In poco tempo capii come filare fuori scuola senza farmi scoprire e scelsi le peggiori compagnie. In realtà non volevo nessuno, ma quei ragazzi di qualche anno più grandi mi seguivano ovunque e mi reputavano una "persona" interessante, quindi decisi che ne valeva la pena.
Fu cosí che conobbi Conrad ed il suo gruppo. Erano la corrente opposta ai ragazzi che frequentavo e spesso davano inizio a vere e proprie guerre per il territorio. L'ultima a cui assistei fu quella in cui uno della mia fazione venne mandando in coma dopo dieci coltellate. Io ero lì. Lo vidi chiudere gli occhi e appassire sotto il mio sguardo. Ripensai a mio fratello ed iniziai a piangere, proprio in quel momento, davanti a quegli stronzi che mi fissavano inebetiti. Cercai di chiamare l'ambulanza ma venni trascinata via e picchiata. Promisi a Conrad che non ne avrei fatto parola con nessuno. Quella fu l'ultima volta che uscii con loro, infatti cambiarono zona e persii completamente i contatti. Per un mese restai segregata in casa. Avevo paura di uscire, rivedevo il volto di mio fratello in ogni vetrina, ricordavo i suoi gesti nei minimi particolari senza peró riuscirli mai ad imitare, neanche i più semplici. Ero tornata a rivivere il mio incubo. Ero mai stata in grado di lasciarlo?
No.
L'ultimo giorno della mia astensione dalla realtá sentii la porta della camera aprirsi ed un uomo che non vedevo da settimane farsi strada verso il mio letto, sedersi ed accarezzarmi gentilmente la fronte ed i capelli neri. Entrambi non ci riconoscemmo sotto l'influsso della rabbia e dell'angoscia, ma la voce che pronunciò quelle parole non la dimenticheró mai: bassa, calma, precisa. Quello era mio padre.
La mattina seguente andai a scuola e cominciai ad impegnarmi. Capii che mi piaceva. L'antica Grecia con i suoi misteri e gli scritti di vecchi poeti maledetti occupavano le mie giornate migliori; le peggiori le passavo a rimpiangere il tichettio dei tacchi di mia madre, che adesso non tornava neanche più a casa.
Le gocce di pioggia frequenti mi ricordavano il passare dei minuti e le giornate di sole riaccendevano in me il senso di colpa, mostrandomi la mia carnagione sempre più candida, quasi trasparente. Non chiedevo altro.
In qualche modo riuscii a recuperare i giorni di assenza ed i voti al di sotto del cinque e superai il secondo anno.
L'estate passó placida, interrotta soltanto dai miei istinti suicidi, portandosi via anche la salute di mio padre. Nelle notti insonni lo sentivo tossire senza sosta e così mi raggomitolavo in una pallina inesistente che cercava di combattere tutta questa oscurità.
Agosto fu il mese in cui mia madre tornó da noi e pensò di aver sbagliato casa vedendo i due estranei che l'abitavano. Corse in camera e pianse; i suoi singhiozzi invasero la quiete per così tanto tempo che quando smise, il silenzio fu assordante.

Settembre non si fece attendere e spezzò le poche speranze che riservavo per il futuro. Questa volta i miei invece di lavorare fino allo sfinimento, passavano le giornate in ospedale. Che cambiamento.
Di me non chiedeva mai nessuno. Ero inesistente così come la mia vita al di fuori di questa casa. L'unico interesse era lo studio, ma forse neanche quello; volevo soltanto qualcosa per occupare quelle ore inutili che costituivano la mia esistenza, nota solo a pochi.
I prof continuavano a farmi domande sulla mia famiglia e su di me, ma la maggior parte delle volte non sapevo che dire o li ignoravo: non me ne fregava nulla se pensavano fossi una povera bastarda abbandonata: era così, non c'era bisogno di mentire per coprire l'assenza dei miei genitori che non ricordavano neanche il mio nome.

Tutto cambió quando arrivó Luc.

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