Capitolo 13.

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Capitolo 13.


Un mese è volato senza che io me ne rendessi conto. Trascorro la maggior parte del mio tempo con i medici, è un continuo andare e venire dall’ospedale. Fortuna che c’è Brady!
La mia memoria riaffiora giorno per giorno. Già, sembra incredibile.
Nessuno si sarebbe mai aspettato un miglioramento così repentino.
Ovviamente faccio ancora fatica a mettere insieme i vari ricordi, dandogli un nesso logico, ma ho fatto passi da gigante.
Mi sento più sicura di me stessa. Le persone che incontro per strada, non sono più dei perfetti sconosciuti. La mia famiglia non è un incognita per me, come non lo sono Kris, Marcus, Brady… e Noah.
Esatto, proprio lui. Noah stava per diventare mio marito e l’abito da sposa, nascosto dietro un celofan in soffitta me ne da conferma. Negli ultimi tempi sto provando a tornare a casa, quella che era mia e sua, fino a qualche tempo prima. Riesco a dormire al suo fianco, ma la mattina quando apro gli occhi mi sento ancora spaesata ed impaurita. Noah, però, non demorde. Non ha paura. Sa che posso farcela e mi consola giorno dopo giorno, porgendomi una spalla, lasciandomi un sorriso, ha persino lasciato per un po’ il lavoro pur di stare al mio fianco. Apprezzo questa sua vicinanza e avverto ancora quell’affinità che ci legava l’un con l’altro.

Io e Brady ci vediamo solo quando sono di controllo in ospedale. Mi da una mano per orientarmi ed essendo amico del neurologo è presente in ogni visita.
Non finirò mai di ringraziarlo.
Per il resto le nostre vite sembra si siano distanziate nuovamente. Ha ripreso a lavorare regolarmente, ha di nuovo la sua vita e a parte qualche messaggio o chiamata di volta in volta, non si fa più sentire. Probabilmente tutto ciò mi ha gettata nelle braccia aperte di Noah, che mi ha accolto senza indugi.

«Ho preparato delle frittelle … ti piacciono no?»
Sono sveglia da poco e quando metto piede in cucina intravedo Noah con addosso solo il pantalone del pigiama che vaga da una parte all’altra con una padella fra le mani ed un sorriso mozzafiato. Per un attimo la mia mente stravolge tutto ed il suo viso muta in quello di Brady. Rimango basita per una manciata di secondi, poi strizzo gli occhi e ritorna tutto normale. Sarà che ho dormito poco stanotte.
In tutti i casi lui è bello da far paura e non ricordo di averlo mai visto così trasandato prima d’ora. Lo ricordo con la sua solita camicia, con la giacca e la cravatta abbinata.
In un certo senso, mi sembra di rivivere i momenti da ragazzina, quando entrando in casa Felton, Brady era sembra con quell’abbigliamento o alle volte nudo. Tra l’altro per niente spiacevole.

«E’ tutto okay? Sei strana.» Mi fissa lui assottigliando lo sguardo.
Sorrido ed annuisco sedendomi. «Il profumo arriva fin da sopra…» ridacchio.
Accenna una smorfia con le labbra, «menomale, allora hai avuto un buon risveglio» dice ammiccando.

Per un attimo la mia mente vaga da una parte. Materialmente io sono in quella casa, ma con i pensieri esattamente da un’altra parte.

Apro gli occhi. Addosso ho soltanto un lenzuolo, stropicciato e avvolto fra le gambe. Mi guardo intorno e respiro quel profumo di bucato e di pulito che invade la stanza di Brady. Lui, al mio fianco, non c’è, ma la porta è per metà aperta.
Kris non è a casa, già da una settimana ed io e lui trascorriamo la maggior parte del nostro tempo insieme. Vorrei che quest’estate non finisse più.
Accantono i pensieri cattivi e mi metto in piedi, sorreggendo il lenzuolo con entrambe le mani. A piedi scalzi percorro il parquet in legno ed avanzando verso le scale inalo un profumino delizioso. Rimango per un attimo estasiata, ma poi scendo lentamente, cercando di non far rumore ed arrivo nel salone. Avverto una voce maschile canticchiante ed un fischiettare piacevole. Brady si sta divertendo a cucinare, sicuramente. Sogghigno e mi avvicino alla cucina. Appoggio la spalla sullo stipite della porta e lo osservo in tutta la sua bellezza, con soltanto l’asciugamano avvolta in vita. La schiena abbronzata ed un fisico a dir poco perfetto. Lui è mio. Solo mio. E non ci posso ancora credere. Avanzo in silenzio e lui preso dai suoi giochetti con le uova e il latte neanche mi sente. Gli cingo la vita con entrambe le braccia e mi accoccolo sulla sua spalla lasciandogli un bacio. Lui sussulta, ma poi sorride.
Si volta e abbracciandomi mi bacia.
«Hmm..ma cosa stai facendo?»
Lui scoppia a ridere. «Stavo sperimentando, volevo fare qualcosa di buono… ma sono usciti solo un po’ di muffin…» dice.
Mi guardo da una parte all’altra ed il mio occhio cade sul forno, dal quale fuoriesce fumo. Ha bruciato qualcosa!
Mi stacco velocemente e corro ad aprirlo, ritrovandomi in una cappa.
Comincio a tossire e ridere allo stesso tempo, mentre lui impreca sottovoce.
«Vabbè, almeno ci hai provato» sogghigno.
Accenna una smorfia con il naso ed incrocia le braccia al petto. «I primi mi erano riusciti però.»
«Aha» annuisco ammiccante e gli deposito un bacio sul collo. Poi mi alza il capo e mi lascio andare in un bacio passionale che solo lui riesce a dare.

Ritorno alla realtà. Noah ha messo a tavola ciò che ha preparato.
«Assaggia. Devono per forza esser buoni.» Sorride. «Ho frequentato una scuola di cucina da ragazzino, quando ancora andavo al liceo. Trascorrevo i pomeriggi in cucina…» aggiunge.
Esatto contrario di Brady. La sua vita giovanile era solo fumo, alcol, ragazze. Altro che scuola di cucina!
Rido al pensiero della sostanziale differenza che li contraddistingue. Poi assaggio il muffin , che ha un sapore divino. E’ buonissimo, ma non sarà mai buono e saporito quanto quel bacio d’estate che m’illuminò il buongiorno.

Dopo colazione, Noah mi accompagna a casa dei miei, ma lui non entra.
Grace sta studiando letteratura sdraiata sul divano, probabilmente non è voluta andare a scuola. Mia madre, invece, sta pelando le patate.
«Buongiorno» sorrido spogliandomi del giubbotto e lasciando la borsa sul divano.
Lascio un bacio in guancia a mia madre e do un colpetto sul capo a mia sorella che, al suo solito, si lamenta.
«Ti ha accompagnato Noah?»
Annuisco con un suono gutturale mentre la osservo.
«Ha chiamato Brady… dice che i risultati della tac, dicono che è tutto apposto. »
Ha chiamato Brady? Perché non ha chiamato me?
«Ah si? Bene» sospiro. «Ha detto solo questo?» Chiedo incuriosita e forse speranzosa di ricevere altre sue notizie.
Mia madre mi rivolge una lunga occhiata. Mi conosce troppo bene.
«Se ti stai chiedendo se Brady ha chiesto di te e del tuo carissimo e simpaticissimo uomo di merda che hai al tuo fianco… no, non l’ha chiesto.» Grace è in cucina in un lampo e parla così veloce che riesco con fatica a capire cos’abbia detto. Quand’è nervosa sembra una macchinetta.
Aggrotto le sopracciglia, «non intendevo questo» balbetto.
«No, tesoro, non ha detto nient’altro… solo “Salve Charlotte, sono riuscito ad avere notizie sulla tac di Emily ed è tutto apposto, quando volete potete venire a ritirare il referto. Un bacio”» dice mia madre imitandolo. Fa quasi ridere.
«Bè, magari se andassi a ritirare questo dannato referto… potresti saperlo da sola come sta, cosa fa…» continua Grace aggressiva.
«Sì, ci andrò... ma»
«Ma vaffanculo» mi precede lei scomparendo dietro la porta.

Mia madre mi fissa con un sorrisetto.
«Lo sai che tua sorella è fatta così…non lo digerisce proprio Noah…» scrolla le spalle.
«Ma adora Brady» sottolineo.
«Lo conosce da quando era bambina… è anche questo il motivo» mi accarezza il capo. «Se mi dai cinque minuti, ti accompagno io in ospedale.» Sorride lei asciugandosi le mani su una tovaglietta.

Aspetto che lei termini le sue faccende e finalmente montiamo in auto. Mette in moto ed in poco tempo siamo in ospedale. Slaccio la cintura e faccio per aprire la portiera, mentre lei rimane seduta.
«Non scendi?»
Scuote il capo, «riesci anche da sola a prendere quel dannato referto» dice ammiccando.
Annuisco e scendo dall’auto correndo dentro, prima di farmi investire da qualche macchina.

L’ospedale è pieno di gente stamani, così mi rivolgo all’infermiera chiedendo del dottor Felton.
«Sì, vediamo se è libero» dice lei.
Aspetto dieci minuti immobile, in piedi di fronte ad altri pazienti. Poi quando vedo comparire nuovamente l’infermiera che mi fa cenno di seguirla, avanzo verso un lungo corridoio.
«Prego» m’invita ad entrare mentre lei rimane fuori.

Brady è seduto davanti alla scrivania, sta osservando delle lastre. E’ molto attento e serio in viso. Non distoglie subito lo sguardo dalle sue carte. Sembra quasi non importarsene del fatto che ci sia io lì dentro, insieme a lui.
«Un attimo» parla finalmente.
Poi si mette in piedi sospirando e senza dire nient’altro mi fa cenno di seguirlo fuori.
Entra nello studio del neurologo Douglas ed io lo seguo silenziosa.
«Oh signorina Stewart, buongiorno» almeno lui è accogliente!
Gli stringo la mano educatamente e lui sorride. «La tua tac non ha nulla di strano, direi che è tutto regolare e nella norma. Per la riabilitazione ti aspettiamo la prossima settimana… okay?» Mi porge la busta di carta ed io l’afferro.
«Va benissimo, grazie mille» dico. Mi avvicino alla porta, giro il pomello ed esco. Mi guardo indietro e noto Brady che parla scherzosamente con l’amico e poi mi viene dietro.
Cammino svelta e quando ci troviamo di fronte al suo studio, lui apre la porta «Ciao Emily» per poi richiuderla.
Rimango immobile lì di fronte. Non riesco a fare un passo né avanti, né indietro.
Così senza pensarci busso ed entro.
«Hai dimenticato qualcosa?» Domanda togliendosi il camice con aria severa e con modi quasi bruschi, da  non sembrare il Felton che conoscevo prima.
«No… volevo sapere… solo… come stavi» balbetto in preda al panico.
Boccheggia, «ah» indossa il giubbotto e i Ray-Ban neri, «abbastanza bene, perché?» Corruga la fronte mentre si sistema il colletto della camicia di sotto.
«No, così.. visto che…non ti ho più sentito» sono nervosa e le mie mani che si stritolano fra loro ne danno la prova.
Lui se ne accorge e le fissa. «Emily devo andare a pranzare» dice con tono freddo e distaccato. «Ci vediamo… se hai bisogno del dottor Douglas, chiama.» Mi lascia lì, da sola e scompare dietro l’angolo.

Non riesco a capire quale sia il problema. Fino a poco tempo prima aveva detto di amarmi, adesso, invece, si comporta come se tutto ciò che ha fatto non ha alcun significato. Mi fa male pensarlo. Mi sento quasi presa in giro, o forse ci siamo presi in giro a vicenda, fingendo di poter ricostruire qualcosa che è morto e sepolto da tanti anni.
Eppure qualcosa dentro di me mi spingeva a crederci ancora. A credere che quello che ci legava un tempo, fosse ancora vivo. Forse era solo un’illusione, forse era solo l’euforia di provare a ricordare, forse… forse devo smetterla di credere ancora in qualcosa.

Quando esco dall’ospedale, attraverso la strada per raggiungere l’auto di mia madre. Mi ci ficco dentro ammutolita, mentre lei mi fissa interrogativa.
In lontananza scorgo Brady. Sorride ad una donna, ha i capelli rossi corti fino a metà collo, indossa un jeans aderente, dei tacchi a spillo ed una canottierina in pizzo rosso fuoco, le spalle sono coperte da un cardigan nero. Mia madre non mette in moto, mi volto a guardarla e mi accorgo che anche lei sta osservando la stessa cosa che ho appena notato io. Così riposo lo sguardo su di loro senza fiatare.
Lei gli butta le braccia al collo e gli lascia un bacio in guancia, mentre lui si diverte e le stringe la vita con entrambe le braccia. Sono troppo coinvolti per esser soltanto amici.

La risposta a tutte le mie domande è abbastanza chiara.
Brady ha trovato una donna. Una donna che probabilmente, finalmente, riesce a dargli tutto ciò di cui ha bisogno. Una donna che lo rende felice. Una donna che non ha perso la memoria, che non è confusa, che ha la mente libera e può dedicarsi completamente al suo uomo.

Continuo ad osservarli. Sono ancora zitta, ma la mano che sorregge il mio mento è tremante.

«Sono felice per lui» sussurra mia madre, mentre mette in moto.
Annuisco deglutendo rumorosamente.
«So che avresti voluto non vederla questa scena, ma dovevi aspettartelo. Brandon è davvero un uomo meraviglioso, in tutto. Era già abbastanza strano vederlo… in quel modo… solo.» Dice. «Non siamo fatti per stare da soli» conclude e partiamo, passandogli esattamente di fronte. Lui neanche ci fa caso ed io, senza preoccuparmene, continuo a fissarli.
Strizzo gli occhi cercando di cacciare via l’immagine di quei due.

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