Capitolo 6.

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Capitolo 6.


Say something, I’m giving up on you
And I’m sorry that I couldn’t get to you
And anywhere, I would’ve followed you

I pazienti entrano ed escono dal mio studio ed io canticchio questa canzone da circa un’ora. Un’anziana signora con una slogatura al polso, sembrava quasi infastidita dal mio fischiettare. Non ne posso fare a meno.
Sarah del reparto ginecologia sostiene che io sia innamorato perso e continua a ripetermi che vorrebbe tanto conoscere la donna che ha rincoglionito il dottore più figo dell’ospedale. Bè, io in realtà avrei preferito non averla mai conosciuta.
Mi sarei risparmiato anni di torture trucide ed insistenti al mio cuore. Per cosa poi? Per nulla.

Io ed Emily continuiamo a parlare. A volte ci vediamo di fretta e spesso l’ho notata mentre passeggiava in centro con il suo caro fidanzato, Noah. Ancora mi fissa come se volesse investirmi con un camion a rimorchio. Io, al contrario, vorrei solo smetterla di lanciargli occhiate omicide confuse. Che cambia? Emily, la sua scelta l’ha già fatta.
Noah Connors ha vinto. Non trovo quale sia il motivo della sua insistente provocazione.

«Ehi, Brady…» Kris spunta in sala e neanche me ne accorgo. Avverto solo la sua voce squillante.
Mi volto disinvolto. «Kris…» sono sovrappensiero ancora.
«La baby-sitter è già a casa, ti prego… appena torni, non ti mettere in mutande.» Si posiziona di fronte la scrivania ed incrocia le braccia al petto. «Hai afferrato?»
Annuisco e sbuffo. Non è difficile notare quanto sia seccato.
«Che hai?» Si mette a sedere nella poltroncina e mi scruta. «Ho esattamente venti minuti, quindi muoviti a parlare» sospira.
«Okay.» Getto sulla scrivania delle cartelle cliniche e poggio le mani su di essa minaccioso. Kris quasi s’intimorisce dal mio movimento svelto. «Emily sposerà Noah. Noah sposerà Emily. Io sposerò un gatto. Okay? Voglio un gatto. Posso avere un gatto da coccolarmi?» Tutto risuona molto buffo ed ironico, ma sto realmente valutando l’idea di possedere un gatto. Un micio potrebbe darmi affetto.
Kris scoppia a ridere, ma in un nano secondo si fa seria. «Che cosa?» Mi guarda di sottecchi. «Okay che Emily e Noah si sposano… ma Brady… stai dando di matto, per caso?» Si mette in piedi e poggia le mani sui fianchi. Già la odio.
«Voglio una micia.» Accenno un sorriso disperato. «Miao!» Esclamo.
Lei continua a fissarmi sbigottita. «Ti hanno dato da bere?» Domanda guardandosi intorno. «Non dirmi che ti sei messo a bere di prima mattina, perché ti schiaffeggio.» Dice severa.
«Non sono ubriaco, ma non meravigliarti se troverai al tuo ritorno una gatta per casa.» Decreto serio.
Alza le mani in segno d’arresa ed indietreggia, «non so cosa dire, riprenditi… bevi acqua e prenditi una boccata d’aria.» Spalanca la porta ed esce senza chiudere. «E’ pazzo! E’ impazzito!» Continua a ripetere nel corridoio.
Rido come un ebete ed avanzo per chiudere la porta.

Pochi minuti dopo un’infermiera piomba in stanza. Non ho un attimo di tregua.
Cristo Santo!


«Dottore, c’è un paziente fuori… ha avuto un incidente… credo abbia una frattura al braccio» dice.
Esco fuori e mi avvio verso la sala d’aspetto.
Quello è Noah. Dentro di me rido come un pazzo. Si tiene il braccio e al suo fianco c’è Emily con un’espressione quasi disperata.
«Devi dire che dovranno aspettare e che sono impegnato per il momento.» Sussurro accennando un risolino.
L’infermiera mi scruta confusa aggrottando la fronte. «Ma dottore.. come?»
Mi volto per tornare in studio, «dì così.» Ordino.

Quando rientro mi posiziono nella mia poltrona e stendo la testa all’indietro. Fisso il soffitto e una voglia matta di ridere mi prende all’improvviso. Mi sento così eccitato.
Il momento, però, viene interrotto, nel momento in cui il cellulare squilla. Mi sporgo e lo acchiappo. E’ Marcus, ovviamente.

«Bro» rispondo.
Lo sento ridere a crepapelle, non riesce a parlare e balbetta, «non puoi neanche immaginare» dice, «ho appena tamponato il quasi marito di Emily. Mi sento una merda, ma non sono stato così soddisfatto in vita mia.» Continua a ridere.
A quel punto lo seguo senza neanche pensarci. Mi sento quasi Dio con il mio consigliere personale.
«Appena mi sono accorto che era lui, volevo morire… non so che cosa si è fatto… ma si è incastrato il braccio da qualche parte. Io non l’ho fatto apposta!» Si calma. «Credo siano da te in ospedale, io sono scappato, Emily mi avrebbe linciato.»
Non riesco proprio a pensare alla scena, quasi mi scoppiano i polmoni dalle risate.
«Sì, sono qui… ma li sto facendo attendere» proprio in quell’istante l’infermiera ritorna.
«Il paziente si sta lamentando, posso farlo entrare?»
«Bro, ti richiamo» riattacco ed annuisco.

Poco dopo Noah fa la sua entrata mitica: passo lento, sguardo assatanato, vendicativo ed estremamente corrucciato. Trattengo la risata per non far brutta figura. Sono un medico, non uno sbruffone, come lui, d’altronde.

«Emily» dico in maniera professionale osservandola. Ha un’espressione scazzata. Non riesco a capire se è infastidita dalla troppa attesa o se ha capito quale fosse il mio intento.
Con un cenno di capo saluto anche l’individuo al suo fianco e lo invito a seguirmi per delle lastre.
 
Noah per tutto il tempo borbotta ed è nervoso. Dentro di me sto ancora gioendo, ma Emily non sembra molto contenta di vedermi.

«Allora?» Il fidanzato si lamenta sulla sedia di fronte alla scrivania. Io scruto le lastre e noto la frattura. Non mi dispiace per niente, anzi sarò felice di dirgli che si è rotto un braccio. E’ tutto ciò che si merita. Almeno la smette di fissarmi come se fossi un diavolo.
Alzo lo sguardo e guardo prima uno e poi l’altro. «Dovrò ingessarlo.» Cerco di non sorridere.
Fanculo, Noah.
«Cosa cazzo dici?» Impreca lui aumentando gradualmente il tono di voce. «Non scherzare, io ho un lavoro… e non posso presentarmi con un ammasso di gesso sul braccio, chiaro?» Continua infervorendosi.
Te lo lascerei marcire in quel modo, quel braccio, ma il faccino preoccupato della Stewart, non me ne da l’opportunità.
«Senti, datti una calmata e siediti nel lettino che avrò un bel da fare e taci.» Faccio il duro. Non ho tempo da perdere con i suoi capricci. E’ pur sempre un uomo e non un poppante.
«Amore» quando Emily pronuncia quella parola mi volto di scatto e lei si accorge del mio sguardo agghiacciante. Mi ritornano in mente quei piccoli e pochi momenti in cui utilizzavo quel nomignolo, quando anche per pochi secondi glielo sentivo dire o quando, distanti, lo leggevo sul display del cellulare. Fa male risentirlo, fa male sapere che non è indirizzato a me, ma alla persona che ama davvero.
Noah ci fissa per pochi secondi, «si?» Rivolge una lunga occhiata alla fidanzata.
«Io devo andare a scuola, ho saltato la prima ora, non posso rischiare ancora…» gli accarezza il volto e gli tiene ancora la mano. Le mie budella si stanno contorcendo dal dolore, ma posso resistere. Basterà non guardarli.
E invece no. Mi volto ed intravedo un bacio passionale. Riesco persino a notare la saliva che si forma su entrambe le lingue. E’ disgustante.
Socchiudo le palpebre e sistemo tutto ciò che mi serve.
Poi Emily mi saluta con un cenno di mano ed un sorriso veloce e scappa fuori.

Adesso siamo io e lui. Due validi nemici, di cui uno è già vincitore. Rifletto ancora sulla frase del piccolo demonio Stewart.
“Faremo cadere dal trono Noah Connors.”
E’ nettamente impossibile. Rido al pensiero e lui s’irrigidisce.
«Adesso che siamo soli…» esordisce, «credi davvero che io non sappia cosa stai facendo?» Domanda nervoso.
«Ti sto ingessando il braccio» rispondo tranquillo. Non c’è un filo di rabbia nella mia voce.
Accenna una risata amara. «Quanto credi che durerà il tuo inutile corteggiamento nei confronti della mia fidanzata?»
«Senti coso, ma che vuoi?» Alzo finalmente lo sguardo. «Cerco di essere più gentile che mai, io sono qui per fare il mio lavoro e tu per esser assistito da un dottore. Potremmo intraprendere i nostri rispettivi ruoli?» Chiedo molto delicatamente.
Lui accenna un risolino che mi fa scoppiare il cervello. Sento le vene sul collo gonfiarsi dal nervosismo. Lo sbatto al muro, fra poco. «Tu non sei solo un semplice dottore, tu sei il dottore del mio coglioni e me li hai decisamente rotti!» Dal suo tono sembra che cerca sul serio di litigare, ma non ne ho voglia. Non riesco a fare scenate, non nel mio luogo di lavoro.
«Mi dispiace. » Rispondo senza provocare.
«Prova solo a toccarla e io ti ammazzo, come è morto tuo fratello, muori anche tu….» pronuncia quelle parole con talmente tanto disprezzo e disinvoltura che mi sento mancare l’aria. Le gambe cedono, vado completamente su di giri. Mollo il suo braccio e lo osservo di sottecchi. Come si è permesso? Chi gliel’ha detto?
«Come ti permetti? Che cazzo ne sai?» Serro la mascella e stringo i pugni. Devo contenermi.
«Emily ha un diario… dei tempi dell’università e c’è scritto lì. Vuoi fare la stessa fine di Thomas Felton?» Sorride divertito e sento il bisogno di deformargli quella faccia di merda che si ritrova.
Mi spingo indietro con la forza. Socchiudo le palpebre, ma non riesco a calmarmi.
Sfilo il camice e corro fuori senza neanche pensarci.

«Dottore, dottore dove va?» Un’infermiera di turno mi urla contro, ma io la evito.
Non posso prenderlo a pugni. Non posso. Ma posso andarmene e fare finta di nulla.
Non appena arrivo fuori prendo un lungo respiro riempiendo i polmoni d’aria più volte.

«Dottore il suo paziente l’aspetta…» nuovamente quell’irritante donna è dietro di me.
«Lo lasci al dottor Stevenson. Lo faccia scomparire dal mio studio.» Scandisco ogni parola e lei, quasi agitata, si reca dentro.

Dopo una manciata di minuti rientro. La stanza è vuota. Ciò che mi colpisce è la foto di Tom sulla scrivania. Strizzo gli occhi cercando di cacciar via le lacrime. Arriccio il naso e mordo le labbra. Tutti  i tentativi se ne vanno a puttane. Sbatto la porta alle mie spalle gettando un urlo e carico con forza un pugno al muro. Non riesco a non piangere. Mi sento una merda. Sto malissimo. Non ci riesco a sopravvivere così. Il mio mondo va a rotoli. Non ho creato nulla in ventisei anni. Sono solo un medico senza una vita propria. Vago per le strade, con una birra in una mano e la sigaretta nell’altra.
Nessuno mi aspetta a casa. A nessuno importa come sto. Nessuno ha mai provato a mettersi nei miei panni.
Non posso sopportare tutto. Non riesco a sopravvivere con la consapevolezza che nessuno riesca a capirmi.
E nessuno può mai toccarmi mio fratello. Almeno in paradiso, devono lasciarlo in pace.
Scarico via la tensione accumulata durante tutti questi giorni. Osservo le nocche della mia mano sanguinare e il dolore è quasi nulla in confronto a ciò che mi affligge internamente.

Quando qualcuno bussa alla porta vorrei urlare di non entrare ma asciugando le lacrime, vado ad aprire. Marcus è lì che mi fissa. Non dice una parola.
Mi avvicina a sé e mi abbraccia. Non ho mai stretto nessuno, oltre Emily, come stavo stringendo il mio migliore amico.
«Non dire nulla, non ce n’è bisogno» sussurra.
Mi lascio andare ad un pianto liberatorio e mi sento quasi uno scemo.
Non riesco neanche a capire per cosa mi stia deplorando.
Sono così tante le situazioni disastrose della mia vita che non saprei da dove cominciare.

Chi l’avrebbe mai detto?

Anche l’animo più potente, cede alle volte.


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