Capitolo 6.

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"Possibile che siamo sempre in ritardo?"
Urlò Cesare mentre, insieme agli altri quattro, correvano nei corridoi dell'aeroporto Marconi di Bologna.

Avrebbero chiuso il gate in un quarto d'ora ed era colpa di Nelson quel ritardo; ci aveva messo una vita a passare a prenderli e altrettanto per trovare parcheggio.

Arrivarono al Gate con il fiatone ed il cuore in gola.

Cesare aveva un nodo alla gola: odiava vedere Federico partire.
Perché Fede era parte essenziale del gruppo e, ad ogni sua partenza, la sua assenza si sentiva.
Perché, così schietto, gli faceva aprire gli occhi più di chiunque altro e in quel momento sentiva come la necessità di vedere oltre la nebbia.

La sera prima, dopo il famoso ballo con Clara, dopo che ballò anche con l'amico, lui gli chiese, guardando prima Clara da lontano e poi lui:
"Sicuro che vada tutto bene?"

E Cesare, per la prima volta, non seppe che dire.
Era abituato al fatto che i suoi amici cercassero sempre di estorcergli in qualche modo che amasse Clara e lui era sempre pronto  a rispondere che non fosse vero.

Ma li, sotto l'effetto dell'alcol, come poteva dimenticare la voglia di baciarla?

"No, non sono sicuro" Disse guardando l'amico negli occhi, come una supplica.
Non sapeva se voleva essere aiutato a vederci chiaro o essere lasciato stare.

Federico lo guardò a lungo e infine sospirò.
"Neanche io lo sono" Disse solo, dandogli una pacca sulla schiena.

"Solo, ti prego, non farla star male più di quanto già non lo stia, ok?" Disse, prima di prendere un altro bicchiere dal tavolo e bere, senza guardare cosa ci fosse dentro.

Cesare annuì, ancora più confuso.
Anche il giorno dopo, da sobrio, non seppe darsi una spiegazione.
Sapeva solo che probabilmente da lì a poco avrebbe avuto bisogno di Federico; gli sembrava di camminare su un filo sospeso nel vuoto.

Federico abbracciò Nelson, dandogli una pacca sulla spalla.
Poi fece lo stesso con Tonno, sussurrandogli qualcosa all'orecchio che Cesare non capí: era concentrato su Clara al suo fianco che si stringeva forte le braccia tra loro, come ad abbracciarsi da sola.
Lo faceva sempre alle partenze del Chicchino; odiava più di tutti vederlo andare via.

Il biondo fece cenno di sì con la testa e disse: "Puoi contar su di me vecchio".

Poi fu il turno di Cesare.
Federico lo abbracciò stretto, impegnando più tempo che con gli altri.

E Cesare sentì tutte le parole non dette.

Sentì, in quell'abbraccio, che Fede avrebbe sempre e solo voluto il meglio per lui, se solo lui fosse stato lucido abbastanza da scorgerlo.

"Piantala di fare cazzate, mi raccomando"
Cesare annuì soltanto, stringendolo di più nell'abbraccio.

Ed infine fu il turno di Clara.

Non fece caso a cosa si dissero, troppo concentrato sulle parole di Federico, come sempre scelte con cura.
Cosa avrebbe dovuto fare?

Poi Fede presa la sua valigia in mano e li guardò uno ad uno, con grande gioia.

Infine disse, sorridendo: "Abbraccio di gruppo?"

Ti terrò per mano // Cesare CantelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora