Uno stridore di freni la riportò al mondo reale.
Si accorse con stupore che le lacrime avevano continuato a scorrerle lungo le guance, senza un singhiozzo che le tradisse.
«Ti devo lasciare, Piper. Sono arrivata alla stazione di servizio.»
«D'accordo. Ma più tardi parliamo, va bene?» sottolineò quel "parliamo" come se fino a quel momento avessero giocato a Burraco.
Non aveva tutti i torti, ma Emery non avrebbe ceduto. Ora che la decisione era stata presa, era presa per sempre.
«Sì, sì, ciao. Va' a riposarti!» avvertì che Piper stava per aggiungere qualcosa, ma chiuse la comunicazione prima che l'amica potesse replicare.
Cercò di asciugare in fretta le lacrime per difendersi dal gelo che l'avrebbe aspettata là fuori, ma la prima folata di aria fredda salì dal portellone aperto e le sferzò il viso come una frustata.
Serrò i denti e drizzò impercettibilmente le spalle: era sempre stata il tipo di persona che guarda dritta negli occhi la vita e le risponde colpo per colpo, senza mai sentirsi in balia degli eventi.
Era meglio non cominciare in quel momento, se non voleva perdere l'ultimo brandello di rispetto che aveva per sé stessa. Dopo tutta la disperazione degli ultimi giorni, la cosa migliore che poteva fare era affidarsi a quello che era certo e si poteva toccare, fino a che la vita che le passava sulla pelle non l'avrebbe restituita a quello che era sempre stata. Decise di iniziare da un caffè bollente.
Scese dal pullman con le gambe malferme e intirizzita, pensando che a Sioux Falls non nevicava così tanto e cercando di infilarsi i guanti più in fretta che poteva, mentre spiava l'edificio piatto del bar al centro dell'area di sosta.
Emery era rimasta in città per otto anni, dal momento in cui aveva ottenuto la borsa di studio per l'università fino a quella mattina stessa. Abituarsi di nuovo a una cittadina di provincia non sarebbe stato facile, soprattutto perché le sue visite ad Aberdeen, da quando se n'era andata, erano state brevi e saltuarie. Ma al momento non c'erano altre opzioni.
Mentre camminava verso la tavola calda, alzò lo sguardo verso le nubi, con un pallido sorriso, e si disse che tutto sommato non era male, tornare ai boschi della sua infanzia con tutto quel bianco attorno.
I merletti ghiacciati degli alberi spogli contrastavano con il verde cupo delle conifere, lasciato in pace dall'inverno.
L'aria era vetro contro la sua pelle, tagliente ma altrettanto limpida. I fiocchi cadevano lenti, ipnotizzati da qualche magia sconosciuta all'uomo.
Andava bene così, c'erano posti peggiori da chiamare casa.
Una folata di vento la riscosse dai suoi pensieri e lei si affrettò a entrare nel bar.
L'ambiente era più o meno quello che ci si sarebbe potuti aspettare da un anonimo punto di sosta lungo una strada interstatale, comprese le ovvie luci al neon che pendevano dal soffitto e sembravano aver portato il riverbero glaciale dell'esterno anche dentro il locale.
Qualche mesta ghirlanda abbandonata sugli scaffali, assieme ai centritavola di plastica a forma di agrifoglio sui tavoli vuoti, ricordava che il Natale stava arrivando. Nonostante questo, ogni angolo del bar trasmetteva una mancanza di entusiasmo così genuina da essere quasi divertente.
Emery si avvicinò al bancone, sfiorando appena il bordo con le dita, con fare assente.
Il barista non si vedeva da nessuna parte, ma vista la fila dei suoi compagni di viaggio di fronte alla porta del bagno poteva permettersi di aspettare. Riusciva a scorgerli fin da lì, se guardava fuori dalle vetrate, imbacuccati e rigidi nei cappotti imbottiti. Le loro parole si condensavano in nuvole di vapore di fronte a bocche quasi immobili.

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Prima che torni l'estate
RomansaEmery Wilson, 26 anni, un lavoro appena perso e un marchio d'infamia che pende sulla sua vita, è costretta a tornare nel suo paesino di origine. Il destino le gioca l'ennesimo tiro mancino e le fa incontrare ancora una volta Charles O'Connor, il suo...