6. The crossing

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Mentre guidava sulla Centotrentaquattresima, Charles non faceva che ripensare alle parole di Emery. Sapeva già che il suo percorrerle incessantemente era la sua condanna a ricordarle per sempre, come ogni cosa che si erano mai detti.

Il suo profumo, leggero, con una punta agrumata che in modo così strano lo rendeva adatto alla neve, aleggiava ancora nell'abitacolo nonostante lui avesse aperto i finestrini nel tentativo di schiarirsi le idee.

L'unico risultato era che adesso aveva le dita ghiacciate sul volante.

Sentiva addosso un sentimento molto simile alla paura, un allarme vago e lontano, e sapeva che era solo una questione di tempo prima che il ricordo di Emery – la Emery di un tempo, quella che aveva diciott'anni e lo chiamava amore – si facesse strada oltre la barriera che gli serrava il cuore.

Non era la stessa ragazza, ma che differenza avrebbe fatto?

A quell'ora del primo pomeriggio non c'erano tanti posti dove potesse stare in compagnia di altri esseri umani senza sentirsi fuori posto, ma ne aveva bisogno: restare da soli, forse, significava rendere i fatti più grandi di quanto non fossero.

Ignorò la strada che portava a Greenhaven e proseguì dritto per ancora due miglia: nella casa in cui era cresciuto a quell'ora avrebbe di sicuro trovato qualcuno e suo fratello lo aspettava per cena, ma Nicholas stava divorziando e Charles sentiva di meritarsi una pausa da quell'argomento.

Quando parcheggiò davanti alla sagoma scura del The Crossing, l'unico pub sulle sponde del Parmley, riconobbe subito alcune auto conosciute nel posteggio e sentì nel petto una vaga riconoscenza, la sensazione di essere arrivato in un porto sicuro.

Alle sue spalle, il lago occhieggiava tra i rami spogli della macchia, luminoso lungo le rive già gelate, così torbido al centro da sembrare una porta sul mondo dei morti.

Charles aprì il battente con una spallata. Il legno aveva la vernice scrostata in più punti e in giornate come quelle, in cui ogni cosa ghiacciava subito dopo le ultime piogge, si gonfiava e aveva bisogno di qualche incentivo in più per spostarsi.

Come aveva sospettato, il pub era pieno di gente, quel giorno. Forse perché l'inverno stava arrivando e il cambiamento faceva calare uno stiletto di acciaio dentro alle ossa.

Il suo respiro si condensò in una nuvola di vapore; una pin up dipinta su latta ammiccò dalla parete di fronte, quando la luce la colpì.

«Oi oi, Charlie» fece Timothy Cane, dall'angolo contro la spalliera dell'ultimo separé «Vieni qui! Già tornato dalla città?»

Charles avrebbe raccontato volentieri qualcosa sull'accordo concluso con un fornitore di Sioux Falls, perché tutti lì dentro, in una maniera o nell'altra, beneficiavano degli affari della O'Connor Sports and Wear, e lui ci teneva a far sapere che erano in buone mani, anche dopo la morte di suo padre. Ci teneva terribilmente.

Ma prima che potesse parlare, Jason Gallagher si sporse dal tavolo a fianco.

«Te lo dico io cos'ha fatto in città» si intromise, ostentando per scherzo un tono cospiratorio «Mentre venivo qui l'ho visto tornare con la figlia di Wilson, l'ha accompagnata a casa in macchina.»

Cercò di fare un occhiolino all'indirizzo di Charles, ma non ci riuscì e finì per assomigliare a un vecchio gatto con un tic.

DaShawn, che era suo amico dai tempi del liceo, fece scattare la testa nella sua direzione lanciandogli un'occhiata densa e indagatrice, così all'improvviso che dal fondo della sala gli sembrò di sentire il rumore delle sue articolazioni che protestavano.

«Ciao anche a te, Dash, attento che non ti si sviti il collo» brontolò Charles di rimando.

«Ma di chi parlate, della giornalista?» chiese Doretta, addetta storica alla contabilità che lo aveva conosciuto quando ancora succhiava i cappucci delle penne a sfera e portava il pannolino, mentre tutto intorno si alzava un coro di esclamazioni canzonatorie e bonarie.

Nonostante tutte le attenzioni non richieste, Charles non se la prese: tutti, a loro modo, avevano fatto il tifo per loro, tanti anni fa. E soprattutto, al The Crossing si sentiva a casa ed era facile essere "uno di loro". Qualunque cosa "loro" volesse dire.

Per cui guardò con finta sufficienza tutti i presenti, poi lasciò che la sua faccia scura si aprisse in un sorriso autoironico. Questo mise a tacere i commenti meglio di qualsiasi occhiataccia, provocando un'unica domanda diretta di cui si fece portavoce la piccola Jessica King:

«Ma insomma, alla fine, cos'è successo?»

La ragazzina, al tavolo con due amiche e una cioccolata calda, parlava di rado ad alta voce, specialmente con così tanta gente attorno, figuriamoci per chiedere qualcosa di così impertinente.

«Piacerebbe saperlo anche a me» rincarò Alexander Cole, che teneva ancora stretta la mano di carte di una partita momentaneamente abbandonata «lo sai che la ragazza mi piace, è una con la testa sul collo, ma se ti pianta senza motivo un'altra volta...»

«Senza motivo, ora non esageriamo» lo interruppe Doretta «Che c'è, ora una ragazza non può neanche andare al college? O all'università?»

«Ma che ho detto? Io dico che adesso sarebbe senza motivo...»

«Magari è solo tornata per vedere il padre» Bob del distributore di benzina, che era un amico del signor Wilson, era anche una delle persone più concrete che si potevano trovare nella contea. Charles gli rivolse un ringraziamento silenzioso per essere la voce razionale che serviva anche a lui.

Altrimenti chissà che cosa si sarebbe messo in testa...

«Infatti, io l'ho solo incontrata in una stazione di servizio sulla Route 29, mentre tornavo qui. L'ho accompagnata a casa perché il bus l'ha lasciata a piedi» tagliò corto. A volte la spiegazione più breve era anche la più semplice da dare.

Il vociare gli esplose tutto attorno, ancora più forte di prima, ma di colpo sì sentì distantissimo da tutte quelle parole.

A cosa servivano le congetture sui gesti inconsulti di Emery? Sui suoi occhi rossi?

Non per questo voleva dire che sarebbe rimasta, qualunque cosa le fosse successo. Senza contare che avere a che fare con lui sembrava costarle moltissimo...

Eppure, nonostante i suoi pensieri, si sentì rinfrancato dai commenti che volavano a destra e a manca, dagli incoraggiamenti, dalle battute: tutti lì dentro volevano sapere cosa ne sarebbe stato del cuore di Charles O'Connor, non perché tutelava i loro interessi, ma per una sorta di istinto di protezione.

Lo percepiva intorno a lui e ne era grato, quasi commosso.

«Danny, fammi un irish coffee» disse al barista.

Danny, che serviva lì da dieci anni e soprattutto conosceva bene Charles, lo guardò in tralice, fingendo di dedicare tutta la sua attenzione all'ordine dei boccali allineati dietro al bancone.

«Non liscio? Che novità»

«Ho bisogno di qualcosa che mi scaldi davvero. Un po' di acqua calda non basterà.»

Ripensò al profumo di Emery, ai suoi occhi cerchiati in cui batteva ancora un vento di tempesta.

«Sono tempi strani» aggiunse dopo un lungo silenzio.

Che si faccia male lei, questa volta. Che si faccia male lei prima che mi possa fare male io.

La radio all'angolo continuava a cantare: "Oh, Ophelia, you've been on my mind, girl, since the flood. Oh, Ophelia, heaven help a fool who falls in love".

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 20 ⏰

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