10 - L'Ultimo

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“Ci arrivai quasi per caso, per un capriccio.
"Aprii gli occhi e l’aria stantia di una desolata landa di terra e sabbia mi colpì alla gola”
Si allentò la cravatta mentre parlava
“Ero all’alba della fine, mancava veramente poco e lui era li, che se la godeva su di una sdraio conservata perfettamente”
Rise
“Che cosa strana la Fine”

***

L’orologio segnava un conto alla rovescia  ormai prossimo allo zero.
Era crepato e si faceva un po’ fatica a leggere i decimali dei minuti.
L’uomo che lo teneva al polso lo pulì, si bagnò il dito e lo pulì al meglio che poteva.
Tirò un calcio alla porta del negozio, ne tirò un secondo e subito dopo un terzo, era resistente ma cedette.
Si alzò la polvere, mosse la mano per scacciarla via e si mise a cercare: cibo in scatola, una bevanda energetica e una sdraio ancora inscatolata.
Rise, rise di gioia, rise mentre metteva il tonno nella borsa logora, rise subito dopo aver bevuto un sorso della bevanda, rise al ritorno, quando insieme alla scatola con la sdraio si portò dietro anche un ombrello, preso in prestito ad un bar in centro.

Si sistemò fuori alla casupola che aveva preso in prestito, aprì con molta cura la scatola, come se fosse fatta di vetro, sfilò la sdraio, la spoglio della plastica e la stese sul prato ormai secco.
Legò l’ombrello alla sdraio con dello spago, lo legò stretto, per non farlo scivolare via, e si coccolò sotto la sua ombra.
Indossò gli occhiali da sole e si addormentò.

Lo portò alla realtà la sveglia, mancavano otto minuti, e il bip insistente lo fece saltare dalla sdraio.
Si asciugò la fronte, era sudato e molto.
Poi notò qualcosa, qualcosa di veramente strano.
Si sentì un brivido sulla gamba, i peli del polpaccio si rizzarono dalla strana sensazione, scomparve lasciando solo un ricordo sinistro, e una macchia nera, ora sui pantaloni dell’uomo.
La catturò e la mise in un bicchiere, quella macchia nera non fece resistenza, non si mosse, lo scarafaggio si costituì all’uomo senza obbiettare.
Lo mise sul tavolino accanto alla sdraio, incredulo che qualcosa potesse essere sopravvissuta.
Ma un lampo, un ricordo gli tornò in mente, di quando da piccolo, seduto al suo banco, la maestra fece passare sugli schermi di tutti gli alunni un’immagine, era piccolo e tozzo, le ragazze urlarono, tutte tranne una, lo scarafaggio le spaventò
“Questi esserini, come altri animali, sono in grado di sopravvivere anche ad una bomba atomica”
Era affascinato, era vero, era proprio vero, ed erano lì, lui e lo scarafaggio.
Si guardavano, l’uno studiava l’altro, l’uomo alzò il bicchiere e lo lasciò libero
“Vai, goditi questi ultimi minuti di vita” gli disse
L’essere si accartocciò come per fare un inchino e si avviò verso il bordo del tavolino.
L’uomo sospirò, e si riportò sdraiato a guardare le nuvole rosse.
L’aria era arida, attorno a lui pochi alberi ancora sani, forse nel terreno c’era ancora acqua, era tutto secco, le case abbandonate, la polvere, e il silenzio.
Quella Fine aveva portato silenzio e a lui non piaceva, canticchiava per farlo scomparire, si ricordava di una cantilena che sua zia gli aveva insegnato, si ricordava solo la melodia, la intonava proprio quando si sentiva distrutto, quando quell’assenza di rumori lo mangiava così tanto da farlo impazzire.
Cantava sulla sdraio la cantilena che sua zia gli aveva insegnato e gli venne da piangere, come se la sicurezza che aveva fino a quel momento se ne fosse scomparsa tutta insieme.
Lo notò con la coda dell’occhio, quella macchia nera se ne era tornata sul foglio, lo osservava in quella scena patetica, si voltò, aspettò e poi si asciugò le lacrime.
“Sono un po’ ridicolo, non è così?”
Contro ogni sua aspettativa lo scarafaggio si mosse, si spostò verso un punto del tavolino, si spostò verso sinistra, scendendo lentamente, voltò a destra sempre scendendo ed infine voltò a sinistra proseguendo dritto.
L’uomo si stupì, lo scarafaggio ora tornava su, in linea retta, aveva appena scritto “Si” muovendosi sul tavolo.
“Mi capisci?”
Stessi movimenti, solo un po’ più veloci.
“E’ un allucinazione non è così?”
Lo scarafaggio incominciò a muoversi, prima una M poi una O, seguiva una L ma l’uomo aveva già capito doveva voleva andare a parare
“Molto probabilmente” disse “Già, hai ragione”
Lo scarafaggio si fermò
L’uomo si soffermò a notare una nuvola che si deformava velocemente, come se si cambiasse abito.
Continuò a canticchiare quella cantilena che sua zia gli aveva insegnato, era al ritornello quando notò che lo scarafaggio dondolava sul tavolino, si muoveva da una parta all’altra in modo rilassato, a tempo con la canzoncina.
“Ti piace eh” gli disse
“Si” di tutta risposta
“Me la cantava mia zia” disse l’uomo “E io la cantavo a mia figlia”
L’uomo buttò lo sguardo all’orologio, mancavano meno di due minuti
“Quando era ora di andare a letto, dovevamo cantargliela, si addormentava subito, con quella faccia da angioletto, mia moglie le faceva le trecce, correva per tutta la casa con i capelli che le ballavano sulle spalle.
E rideva, eccome se rideva, non ha mai pianto, era sempre felice, anche quando le cascò il primo dentino, rideva e la sua risata mi scaldava ogni volta”
L’uomo tornò ad osservare le nuvole
“Scappammo e la notte in auto gliela cantavo, ci rintanammo in questa casa, era vuota, libera, era anche carina, ed era lontana dai tumulti”
L’uomo fece una pausa, si voltò verso il tavolino in cerca della macchiolina nera, era lì, non si era mai mossa, ascoltava parola per parola.
“Che sto facendo?” chiese lui
“Non Lo So” scrisse velocemente l’insetto
“Perché parlo con te?” chiese “Tu capace non sei nemmeno reale”
Si tirò su dalla sdraio, l’orologio che aveva al polso indicava che mancavano tre secondi allo zero.
“Ecco” disse ridendo “Siamo tutti morti che camminano”
Fece cascare le braccia, come se non avesse più la forza
“Sono un morto che cammina”
Poi prese un sasso, lo esaminò bene e dopo aver digrignato i denti lo scagliò lontano, veramente lontano.
“Perché io no?” chiese “Perché non subito come tutti?”
Si avvicinò al tavolino d’impeto, lo fece barcollare, lo scarafaggio però non si mosse dalla sua posizione, mostrò impassibilità
“Non Lo So” ripeté con gli stessi movimenti
“Certo che tu non lo sai, sei una mia fantasia, se io non lo so, è ovvio che tu non lo sappia”
Prese altri sassi, ne prese una manciata, e li incominciò a tirare sempre più lontano, ma l’aria incominciò a mancargli.
Si avvicinò al tavolino e vide lo scarafaggio muoversi velocemente
“Ma” scrisse “Ormai è finita no?”
L’uomo rise, rise di una risata isterica, l’aria ora era rarefatta, faceva veramente fatica a respirare, si mise a sedere sempre osservando il tavolino, ma lo scarafaggio si era fermato, al posto di scrivere ora parlava, sentiva una voce davanti a lui, era grave, gli ricordava quella di un attore che tanto gli piaceva, ma in quel momento proprio non gli veniva in mente il nome
“Ormai sei giunto al termino no? Sei l’Ultimo” disse l’essere davanti a lui “Ed ora chiudi gli occhi, rilassati e ricorda tua figlia”
Lui si sentì sollevato al sentire quel suono, si accomodò sulla sdraio conservata perfettamente, respirava male ma non ci fece caso, chiuse gli occhi, cercava di fare respiri profondi e ricordò.
Pensò alla figlia, alla moglie e le vide, entrava dalla porta di casa sua, posava la giacca sulla spalliera del divano, si abbassava per prendere al volo la figlia
“Sei arrivato” diceva lei correndogli in contro
La moglie si affacciò dalla cucina, si asciugò le mani, e si avvicinò all’Ultimo, lo baciò e sorrise alla figlia
“Ben tornato a casa” gli disse
“Ben tornato papà” disse la figlia
L’Ultimo si sentì soffocare lentamente, il sole era scomparso, ogni cosa attorno a lui era scomparsa, sentiva solo la voce nella sua testa, di quell’allucinazione che era lo scarafaggio
“Non ti affaticare a respirare, resta calmo, fra poco sarà tutto finito”
Voleva rispondere, voleva chiedere, ma non ne aveva le forze
“Dormi”
E l’Ultimo chiuse gli occhi alla fine del mondo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 11, 2021 ⏰

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