Capitolo Tre - Tutto cambia

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📍San Francisco, California

«A rivederci, Ryan».

Fu con quel saluto che conclusi l'ennesima delle mie giornate estenuanti. Sentivo un peso talmente enorme nella testa che neppure mi impegnai di controinsultare il mio collega preferito, come eravamo soliti fare ogni qualvolta ci incontravamo o ci lasciavamo.

Feci l'ultimo sforzo guidando verso casa. Una qualche forza divina aveva deciso di graziarmi quella sera, facendomi trovare la strada libera da ingorghi e transito.

Giunta sull'attico, fu un istante che aprì la porta, fiondandomi verso il piano di sopra. Perlustrai la camera da letto, dove il letto era ancora fatto. Dimostrazione che Stan non fosse a casa. Mi ero lasciata convincere dai suoi bei modi che fosse cambiato. Invece, avrei dovuto ricordare che il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Perché sì, nel corso degli anni si era rivelato una persona diversa dallo Stan liceale che avevo conosciuto per caso a lezione di inglese.

Midfielder della squadra di lacrosse, faceva parte della gang dei fighi stratosferici dietro ai quali sbavavano tutte le ragazze della scuola. Lui era - ed è sempre stato - la mia prima storia, mentre io ero solo l'ennesima della fila.

Tuttavia, riuscii a innescare qualcosa in lui; tanto che al college ci ritrovammo. E fu lì che iniziammo a frequentarci come una coppia vera e propria. Lui era maturato in una maniera sbalorditiva, in tutti i sensi. Era diventato un bel ragazzo con la R maiuscola ma, soprattutto, aveva cambiato mentalità. Aveva definitivamente capito che tutte le ragazze con cui trascorreva una notte sì e l'altra pure erano solo dei passatempi, e si era reso conto che io ero più di una semplice scappatella adolescenziale. E fu tale maturità che innescò qualcosa in me, facendomi crollare per la milionesima volta ai suoi piedi.

Eravamo iscritti in due college diversi, entrambi a Santa Monica. Lui studiava legge per divenire avvocato, io frequentavo la scuola di aviazione. Vivevamo entrambi da soli, quindi iniziammo a trascorrere sempre più tempo insieme fin quando, a licenza di volo in vista, decisi di dirlo ai miei genitori. Con la loro felice approvazione, lasciammo le nostre case in affitto e andammo a convivere nella periferia di San Francisco.

Stan era un ragazzo serio ma, se lo desiderava, riusciva a diventare più dolce di un vasetto di miele. Infatti, non passò molto che la sua amabilità rapì il mio cuore. Aveva imparato a conoscermi sin dall'adolescenza, e sapeva a memoria tutto il mio corredo di punti deboli.

Il giorno in cui acquisii la mia licenza di volo mi portò sulla Stars Beach, una strepitosa spiaggia bianca costellata di piccole stelle marine e conchiglie. E fu sotto una palma, con il tramonto di mille colori a dipingere il cielo che lui si inginocchiò, chiedendomi di trascorrere la vita con lui. Sì, mi chiese di sposarlo quando entrambi avevamo la bellezza di ventiquattro anni.

E fu così che mi ero trovata nella nostra camera da letto, a tastare con malinconia la nostra foto sull'altare. Perché era questo quello che facevo la gran parte delle volte: osservavo foto. Avevano il potere di trasportarmi indietro nel tempo, facendomi rivivere l'attimo. Le annusavo, le guardavo, le toccavo. Riuscivo a sentire le voci delle persone in esse presenti.

Perché ogni fotografia racconta una storia, un luogo, uno stato d'animo. Una fotografia non cambia mai, anche quando le persone in essa lo fanno.

E fu quello il momento in cui realizzai che anche mio marito fosse cambiato.

Sollevai il polso, dove lo schermo del mio orologio segnava le undici inoltrate. Mi tuffai nella vasca da bagno, non prima di riempire per metà un grosso tumbler da whiskey.

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