Capitolo settimo

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     (21; 22 — arco; fuga)

Se ti piace ancora Adrien... questa volta dovresti dirglielo.

 Solo che Marinette gliel'aveva già detto. O meglio, gli aveva detto che un tempo le piaceva, sorvolando su come sentisse la pancia tremare come acqua in ebollizione e le gambe diventare liquirizia quando respiravano la stessa aria.

 La coscienza le ricordò la vera domanda – le piaceva ancora?

 La solita vocina fastidiosa gliene pose una ancora più difficile – e Chat Noir?

 Sentiva che quel giorno aveva inciso su di lei mille tagli e l'aveva fatto sottopelle, lì dove facevano ancora più male perché nessuno poteva vederli – si era illusa che il tempo sarebbe stato il suo alleato più prezioso e fidato, l'unico che avrebbe potuto curarli, ma si chiedeva ora se quei tagli fossero effettivamente guariti. Se era fortunata rimanevano solo le cicatrici.

 Adrien, però, lui non l'aveva mai ferita, almeno non intenzionalmente. Quando, da ragazzi, gli capitava di menzionare la ragazza che gli piaceva, non sapeva che Marinette per lui nutriva sentimenti altrettanto forti, altrimenti era sicura che non l'avrebbe mai fatto. L'unica certezza che aveva sempre avuto era che lui l'avrebbe rifiutata – eppure.

 Eppure Adrien aveva ammesso l'eventualità che fossero più che amici e di questo Marinette aveva ancora più paura, perché a ripensarci quelle cicatrici a volte ancora facevano male e non ne voleva di nuove.

*


Cinque anni e otto mesi prima

     Un cane abbaiò, l'allarme di un'automobile scattò, il pianto di un neonato costrinse i genitori ad accendere la luce per correre a calmarlo – i rumori della città le arrivavano in un miscuglio disordinato, eppure riusciva a sentire il respiro di Chat Noir al suo fianco.

 Non lo guardava. Continuava a scrutare il profilo di Parigi che si stagliava contro il nero del cielo come se non esistesse nient'altro, nemmeno lui – lui che si era presentato lassù in piena notte perché certo di trovarla lì, lui che vedeva le lacrime pizzicarle gli occhi ma non gliele faceva pesare.

 «Quanto ancora riuscirà a sfuggirci?»
 Non aggiunse altro, sapeva che Chat Noir avrebbe capito.

 «Oggi c'eravamo molto vicini.»

 Ladybug tirò su col naso. «È la stessa cosa che abbiamo detto l'altra volta. E l'altra prima ancora. Andrà a finire che a trent'anni saremo ancora qui a dargli la caccia.»

 «Per allora avrà problemi più grandi a cui pensare. Tipo, i reumatismi.»

 Ladybug rise e gli diede un buffetto sul braccio. «Sono seria.»

 Con la coda dell'occhio vide Chat Noir sorridere quando abbandonò il capo contro la sua spalla e lo ringraziò silenziosamente perché la lasciava fare.

 «Anch'io lo sono», ribatté lui, «prima o poi Papillon cederà. Anzi, dovremmo già iniziare a pensare a come festeggiare, hai idee?»

 Ladybug stette ad ascoltare mentre Chat Noir elencava una lista delle sue – ignorava dove avrebbero trovato il budget per un gonfiabile gigante di Papillon che esplodeva in mille coriandoli mentre la folla applaudiva – e si sentì come se il mondo si fosse ridotto a una pallina di golf e non pesasse più.

Duetto spaccatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora