Non ricordavo così lungo il viaggio verso casa. Forse perché andarmene è stato più facile che farci ritorno. Ho passato gli ultimi dieci anni in Europa, spostandomi da una città all'altra grazie a borse di studio e programmi rivolti agli studenti stranieri, per inseguire il mio sogno di studiare arte. Era sempre stata la mia disciplina preferita a scuola e, alle superiori, la storia dell'arte occidentale mi aveva incredibilmente affascinata, al punto da volermi specializzare in quell'ambito.
I miei genitori, allora, non erano allettati dalla prospettiva di sapermi a ore di distanza da loro, ma alla fine ero riuscita a convincerli dell'importanza di questa esperienza per me. Ero giovane, una diciottenne come tante altre che aveva bisogno di trovare la sua strada e che sentiva che la città di Tokyo le stava troppo stretta per realizzare i suoi sogni.
Fino alla fine degli studi superiori, ho vissuto nel quartiere di Shibuya con la mia famiglia e, sempre lì, ho ricevuto la mia istruzione e la mia formazione. Devo ammettere che non mi è mai stato fatto mancare niente: i miei genitori lavorano come impiegati in banca, la mia scuola godeva di una buona reputazione, sono sempre stata una studentessa diligente e ho sempre avuto la fortuna di circondarmi di persone affidabili. Quasi sempre.Non ho neanche mai avuto grosse pretese, sono sempre stata più interessata agli eventi e alle attività culturali che non alla vita mondana e non ho mai dato modo a mia madre e mio padre di preoccuparsi per me. L'unica richiesta particolare mai fatta loro fu solo e soltanto quella inerente alla possibilità di proseguire i miei studi universitari all'estero. Certo, ero una ragazza come tante fatto salvo queste passioni: andavo in sala giochi dopo la scuola quando ero alle medie, prendevo parte alle attività sportive e dei club della scuola e, quando mi veniva permesso, i miei genitori mi permettevano di uscire a ballare con le amiche.
Roppongi era uno dei quartieri migliori per quanto riguardava l'intrattenimento dei giovani: nonostante molte discoteche chiusero i battenti a causa della recessione che colpì il settore nel 1989, dal 2002 vi fu una forte crescita, quindi ebbi la fortuna di spendere la mia adolescenza nel pieno del fervore e dello spirito di rinascita di quel distretto.Roppongi. Era lì che, per molto tempo, lui aveva regnato indiscusso, padrone insieme a suo fratello Rindou.
Istintivamente porto la mia mano alla base del collo, senza accorgermi degli altri passeggeri che stavano prendendo i bagagli a mano, pronti a scendere dall'aereo.
Chissà se lui è ancora lì, se ha cambiato vita o è ancora lo stesso di sempre. Dopotutto, dieci anni sono tanti, siamo entrambi cresciuti, è impossibile che il passato mi si ripresenti davanti portando il conto per la mia fuga. O forse no?*
Nonostante il lungo periodo all'estero, non ho avuto problemi ad orientarmi e a tornare a casa dall'aeroporto con i mezzi pubblici. Ogni tanto guardavo dietro alle mie spalle, temendo che qualcuno mi stesse osservando o, peggio, che lui fosse lì. Non sapevo cosa fosse successo in questi anni, se la giovane criminalità organizzata nel periodo della mia adolescenza si fosse evoluta o se quel gioco tra ragazzi fosse finito.
Anche se, a dire il vero, non era mai stato un gioco: ci sono stati scontri, incidenti, spargimenti di sangue, stupri e morti. All'epoca si pensava che le bande di teppisti delle medie e delle superiori fossero solo una delle tante mode passeggere degli anni duemila: essere un delinquente, rubare nei negozi e prendersi a pugni con gang rivali faceva figo, era un modo per garantirsi il successo con le ragazzine che subito sarebbero cadute ai piedi del bulletto di turno.
In realtà non era un semplice status-symbol. Ciò che all'apparenza poteva sembrare un non troppo innocente modo per crearsi un fanclub nella propria classe, era in realtà un vero e proprio sistema criminale organizzato, con gruppi distinti in continua lotta tra loro per la conquista del prossimo distretto.
Certamente, nessuno avrebbe mai potuto capire quale fosse la posta in gioco se non fosse mai stato coinvolto più o meno direttamente in ciò che stava accadendo. E io purtroppo ne feci esperienza a mie spese.Dopo una quarantina di minuti arrivai a Shibuya. Tutto sommato, mi sentivo al sicuro lì, perché è un posto che conosco come le mie tasche e, almeno fino a dieci anni fa, questo distretto non faceva parte delle sue mire espansionistiche. La mia casa dista pochi isolati dalla stazione e, sempre rimanendo sull'attenti e prestando attenzione all'ambiente circostante, in poco tempo arrivai di fronte al cancello. Presi le chiavi dalla borsa e, tutta trafelata, entrai in casa, chiudendo istantaneamente la porta.
Forse avrei dovuto evitare di farmi prendere dalla fretta e, prima di varcare la soglia, dare un'occhiata più attenta alla via fuori dal perimetro del mio giardino. Ormai era buio, ma sforzando appena la vista mi sarei accorta della figura che, all'ombra sul lato opposto della strada, si era fermata a fissarmi mentre entravo dalla porta d'ingresso.*
A circa mezz'ora di distanza da quella via residenziale di Shibuya, nel quartiere di Roppongi la vita notturna era appena iniziata. I night club e le discoteche si stavano riempiendo in un batter d'occhio e tutti i più prestigiosi e famosi uomini d'affari, dopo una lunga giornata di lavoro, vi si stavano recando alla ricerca di qualche piacere che potesse alleggerire lo stress accumulato nelle ore precedenti.
Roppongi, va ricordato, è stata anche per molto tempo una zona controllata dalla Yakuza e dai più importanti gruppi criminali organizzati, i cui membri, allo stesso modo, erano avvezzi a questi passatempi notturni in locali che erano di loro proprietà nella maggior parte dei casi.Nel privé di uno di questi ambienti, seduto su un divanetto di pelle ormai consunto, uno di questi malavitosi stava già bevendo il secondo drink della serata.
Nonostante la fama e la reputazione che si era costruito fin dall'adolescenza, gli abiti eleganti davano quasi l'impressione di aver davanti uno dei tanti pezzi da novanta che lavorano nelle più importanti banche del distretto e tanto bastava perché le ragazze che stavano riempiendo il locale gli lanciassero occhiate piene di lussuria e malizia.
Sarebbe forse suonato strano sentirlo, ma questi piaceri della carne non erano mai rientrati nei suoi interessi. Aveva soldi, potere, poteva decidere della vita o della morte di chiunque gli mettesse i bastoni tra le ruote e, se avesse schioccato le dita, avrebbe avuto ai suoi piedi tutte le donne del mondo; ma quella sera aveva in testa ben altro che fatturare e le gattine che cercavano di abbordarlo gli davano più noia del solito.
-Barista, un altro.- disse con tono svogliato l'uomo al passaggio del cameriere che stava raccogliendo i bicchieri precedentemente svuotati.La vibrazione del cellulare sembrò improvvisamente toglierlo da quello stato di trance e la voce dall'altra parte della cornetta, insieme alla notizia riferitagli, risvegliò il suo entusiasmo.
-Il passerotto è tornato al nido.-
Un sorriso soddisfatto, a tratti inquietante, si stampò sul volto dell'uomo appena udì la notizia riferitagli. Dopo aver riattaccato, si rivolse al cameriere che gli stava portando un nuovo bicchiere, chiedendogli di portare la migliore bottiglia di champagne che avesse nella sua cantina.Mentre il ragazzo si allontanava per accontentare al più presto il suo cliente, quest'ultimo iniziò a sghignazzare e a dire tra sé e sé con un tono troppo smielato per la sua persona: -Dieci anni sono tanti, ma alla fine il richiamo era diventato troppo forte e sei tornata, vero Reiko-chan?-
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Snuff (Ran Haitani FF)
Fanfiction«Roppongi. Era lì che, per molto tempo, lui aveva "regnato" indiscusso, padrone insieme a suo fratello Rindou. Chissà se lui è ancora lì, se ha cambiato vita o è ancora lo stesso di sempre. Dopotutto, dieci anni sono tanti, siamo entrambi cresciuti...