Partenze per il fronte

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San Felice Circeo, 2 settembre 1940

La notizia della partenza di Cesare fu accolta con gioia dall'intera famiglia Belmonte: tutti gli adulti della famiglia erano al fronte, sapere il figlio di Pietro e Livia in un luogo più protetto, sotto la guida di una brava persona come il commissario Valerio Durantini sollevava la madre, le zie e le cugine di un grosso peso sui rispettivi cuori; anche Elsa non nascose le sue preoccupazioni, ma era comunque fiera dell'uomo che sarebbe diventato suo marito.
Dalla sua partenza passò un mese e mezzo, ma presto un nuovo argomento occupò le giornate dei sanfeliciani; una mattina infatti il postino Daniele Visentin arrivò con la borsa piena di lettere che avrebbero cambiato le vite dei freschi ventunenni del paese: quelle delle chiamate alle armi.
Uno degli interessati fu Mario Filomusi, e non appena lesse il contenuto della lettera fu al settimo cielo.
<< Tu sei pazzo... Come puoi essere contento di andare a combattere una guerra inutile? >> berciò suo fratello Maurizio, quella sera a cena.
<< Sei tu il pazzo a fare certe affermazioni... Andare al fronte, combattere per il Duce è un onore! >> esclamò contrariato il secondogenito dei Filomusi.
<< Capirai che contentezza, prendersi freddo, fame e malattie nelle trincee per volere di quello scucchione... >> ribatté il fratello minore, riferendosi alle dimensioni del mento di Mussolini.
<< Come ti permetti? >> saltò su Mario, impugnando il coltello a tavola.
<< Basta, smettetela! >> li fermò Elsa, scattando anche lei in piedi per evitare il peggio.
<< Scusa, Elsa. È che mi fa incazzare, questo qui... >> commentò amareggiato Maurizio.
<< No, è lui che mi fa incazzare. Da quando è diventato comunista sragiona... >> replicò l'aspirante gerarca.
<< Per favore, basta. Mario, sei stato chiamato al fronte. Va bene, vai a fare il tuo dovere. Maurizio, cerca di cambiare atteggiamento perché tanto verrai chiamato anche tu, se continua la guerra. Ma siete fratelli, e se la guerra o la politica vi dividono definitivamente, questa famiglia sarà davvero distrutta. E pensavo che la morte della mamma bastasse... >> li rimproverò la sorella. Era la più piccola dei figli di Oreste e Caterina Filomusi, ma aveva più saggezza di tutti i suoi familiari messi insieme.
La stessa tensione aveva accolto la chiamata di Rinaldo, in casa Marini: la signora Gisella, non appena aveva appreso la notizia, aveva cominciato a piangere disperatamente; già suo marito Francesco pativa al fronte, ci mancava anche che lo raggiungesse il loro unico figlio: adesso aveva una preoccupazione in più, ma Rinaldo cercò di consolarla, di dirle che avrebbe cercato di non morire come stava tentando di fare suo padre.
Dopodiché prese la bicicletta fino a Villa Spinelli per comunicare a Giada la notizia; non appena Anita annunciò la sua presenza alla ragazza, questa lo accolse in modo piuttosto singolare.
<< Vieni, dai... >> disse prendendolo per mano e guidandolo nel salotto delle feste. Marini si lasciò guidare, mentre la Spinelli si avvicinava al grammofono e metteva su "Over the rainbow" di Judy Garland.
Le note della canzone cominciarono a diffondersi nella stanza, e lei lo trascinò per ballare.
<< No... >> si scostò però lui, contrariato.
<< Perché no? >> protestò lei, sbigottita.
<< Parto per il fronte. Tra due settimane >> disse l'uno, secco.
<< Lo so. Me l'ha detto Enrico >> commentò l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
<< Anche lui è stato chiamato? >> domandò il primo.
<< No. Suo padre ha detto che serve a San Felice Circeo. Per i cantieri navali >> spiegò la seconda, insistendo nel fargli fare qualche passo.
Rinaldo lo immaginava: Enrico era il primogenito, l'erede dei Cantieri Navali Belmonte. Bastava che volesse qualcosa e l'otteneva, che si trattasse dell'esenzione dalle armi o della conquista di una ragazza di città.
<< E perché mi vuoi qui, oggi? Che vuoi farmi fare, tipo l'ultimo ballo? Chissà quanto avrete riso di me... >> la respinse, sarcastico.
Giada si rabbuiò e cominciò a dargli dei colpetti addosso come a volerlo picchiare.
<< Ma va', vattene a morire al fronte! Sei un tronco, un tronco senza appello! >> protestò, andandosi a sedere.
Marini pensò di essere stato sgarbato e si avvicinò a lei.
La Spinelli sollevò lo sguardo verso di lui.
<< È che mi dispiace, che te ne vai. Proprio mentre avevamo cominciato le lezioni d'inglese... Nessuno lo sa spiegare meglio di te. E spesso vieni qui, a sederti accanto a me, e parlami un po'. Mi sono stufata di ballare con i ragazzi che non mi parlano... >> si giustificò. Rinaldo fece come gli aveva detto.
<< Promettimi che mi scriverai! >> aggiunse poi, puntandogli il dito cercando di essere minacciosa.
<< Certo che ti scriverò. Ti scriverò una letta con un incipit ogni volta diverso >> decise il sanfeliciano.
<< E come comincerai? >> chiese la romana.
<< Comincerò con "Giada splendore" >> rivelò lui.
Lei sorrise: questa idea rendeva la partenza del giovane meno dura da digerire. E comunque c'era pur sempre Enrico a farle compagnia.
Il giorno della partenza, tutti i giovani si incontrarono nella piazza principale ad aspettare l'arrivo di Aurelio Romano, fratello dell'operaio dei cantieri navali Calogero e camionista che li avrebbe tutti caricati sul suo mezzo per portarli fino alla Stazione di Terracina.
Prima di salire, Rinaldo vide Enrico con la bicicletta andare particolarmente di corsa: cercò di non pensare all'infida ipotesi che approfittasse della sua assenza per farsi avanti con Giada.

Storia d'amore e di guerra - L'inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora