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"Non lo farei se fossi in te"

Una folata di vento frizzante mi cinse la caviglia nuda, quando lasciai che la mia gamba sinistra finisse per dondolare oltre il il parapetto di cemento. L'altro piede era ancora saldo dall'altra parte, con la punta delle converse vecchie che a malapena toccava il pavimento del tetto. 

Era un'afosa notte di fine agosto, l'aria talmente impregnata di umidità che facevo fatica a respirare. L'odore dell'asfalto fresco mi pizzicava il naso e sentivo il tessuto leggero della maglietta appiccicarsi alla mia schiena come una seconda pelle. Era una di quelle serate in cui hai l'impressione di nuotare in della melassa, il caldo che ti avvolge completamente arrivandoti fin dentro le ossa e hai solo voglia di ficcare la testa nel freezer.

Mi voltai pigramente. Un ragazzo se ne stava a un paio di metri da me, con i pollici ficcati nei passanti dei jeans larghi e sformati e un sorrisetto che cominciava a nascere lentamente, incurvandogli verso l'alto le labbra. Mi parve ridicolo.

"E perché mai?", domandai con tono piatto, come se fosse la cosa più naturale del mondo stare con le gambe che ballavano nel vuoto, dall'alto di un edificio abbandonato. Un paio di macchine solitarie sfrecciarono attraverso la strada deserta. Il ragazzo scrollò le spalle, facendo un paio di passi verso di me.

"Sono solo tre piani. Probabilmente finiresti solo in coma o qualcosa del genere."

Alzai un sopracciglio. "Penso che questa altezza sia abbastanza per uccidermi"

Guardai per un attimo in basso, il marciapiede vuoto e i dieci metri di nulla che mi separavano da esso. Quando alzai di nuovo lo sguardo, mi ritrovai quel strano individuo al mio fianco, che si sporgeva pericolosamente verso il basso, scrutando chissà cosa.

Per un attimo pensai che mi avrebbe spinta di sotto, fino a che senza alcun preavviso si tirò su a sedere sul muretto, mettendosi a cavalcioni come me. La sua scarpa colpì la grondaia con un tonfo sordo quando si sistemò per mettersi comodo, facendoci sobbalzare entrambi. Per poco non finii sotto sul serio.

Eravamo l'uno di fronte all'altra. Distolsi lo sguardo.

"Davvero non hai idee migliori? Tipo non so...ingerire pasticche?", pronunciò, inclinando la testa di lato. Sembrava che stesse parlando del tempo. "Facile e indolore...beh, questo è se non ti beccano prima e finisci all'ospedale con la lavanda gastrica..."

"Mi è venuto in mente questo. Ha un che di poetico." Alzai le spalle con nonchalance. "E poi questa è solo la prova generale. Stavo valutando"

"Quindi sei salita sul tetto di un edificio abbandonato solo per...studiare l'ambiente prima del gran finale?", nel suo tono non c'era nemmeno la più pallida venatura di shock, anzi, sembrava genuinamente interessato. Come ho già detto prima, mi parve ridicolo. 

"Abbiamo una concezione di poetico molto diversa." Concluse finalmente. Sospirò e guardó di nuovo in basso, le gambe che dondolavano nell'aria viziata di Hollow Falls. Sembrava un bambino annoiato. Forse lo era.

Poi i suoi occhi trovarono i miei. Eravamo abbastanza vicini perché riuscissi a contargli tutte le lentiggini spruzzate qua e là sul naso. "Quest'altezza continua comunque a non convincermi"

"Okay", dissi solamente, "buon per te."

Il suo sorrisetto impercettibile si trasformò in un ghigno divertito. Divertito da cosa, poi? Certe volte me lo chiedo ancora oggi.

"Che ne dici di fare una scommessa?", domandó a un certo punto. Si sporse verso di me, così tanto che sentivo il suo fiato caldo sulla mia faccia. Repressi l'istinto di spingerlo e fargli fare un viaggetto verso l'aldilà.

"No", sibilai. Mi stava sul cazzo. 

Eravamo letteralmente due sconosciuti che se ne stavano con le gambe oltre il bordo di un tetto pericolante, ma lui continuava a parlarmi come se fosse la cosa più normale al mondo, nemmeno stesse raccontando la trama dell'ultimo film che aveva visto a una sua amica. 

Quella situazione era ai limiti dell'assurdo.

"Sei sempre così simpatica?"

"Sei sempre così logorroico?"

Alzò gli occhi al cielo.

"Sul serio, facciamolo" 

"Ma se ti ho detto di no", sbottai. Ne avevo abbastanza di lui e di qualunque cosa volesse da me, quindi saltai giù dal bordo del parapetto, tornando con entrambi i piedi saldi sulla superficie dello spiazzo. Sentivo che mi stava ancora fissando. "Lasciami in pace", sibilai a denti stretti.

Mi voltai di schiena ficcando le mani nelle tasche dei pantaloncini e cominciai a camminare verso la porta che conduceva alle scale all'interno dell'edificio. Dietro di me sentii un tonfo sordo, seguito da dei passi.

Non mi ascoltò, ovviamente.

"E se io ti dicessi che scommetto la mia vita che questa altezza non è abbastanza?"

Frenai di colpo, incespicando nei lacci sciolti delle mie converse. Era come se avesse fatto scattare un interruttore nel mio cervello.

"Vuoi scommettere la vita?", quando finalmente mi girai di nuovo verso quel ragazzo sconosciuto, lo ritrovai a guardare un punto imprecisato davanti a lui. Non stava più sorridendo. Guardandolo con più attenzione potevo constatare che avesse più o meno la mia età.

La mia voce dovette riscuoterlo dai suoi pensieri, perché un secondo dopo stava scrollando le spalle con quel ghigno amaro stampato sulle labbra. "Perché no?"

Perché no? Quella domanda, quelle due singole parole mi graffiarono, quando mi entrarono dentro. Tra di noi cadde un silenzio tombale ed ebbi l'impressione che tutta Hollow Falls tacque, in attesa. 

C'erano molte cose che avrei potuto fare in quel momento, da persona sana di mente: andarmene senza emettere alcun suono, dirgli che non ero affatto interessata o lanciarmi nel vuoto. Tutte e tre le opzioni mi sembrarono fattibili. 

Invece lo guardai e basta, dritto negli occhi, con una sicurezza che non avevo mai avuto nella mia breve vita, e allungai il braccio verso di lui, con il palmo aperto. 

"Ci sto."

Perché no?



N.A. Katherine come avrete capito è una persona piuttosto...particolare, e nemmeno il nostro altro amico è da meno. Scommettere sulle proprie vite? Erano annoiati, lasciamoli fare dai.

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti e non dimenticate di stellinare:)







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