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Non credo che esista un posto più tranquillo nello stato del Michigan che non sia la placida cittadina di Hollow Falls

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Non credo che esista un posto più tranquillo nello stato del Michigan che non sia la placida cittadina di Hollow Falls. 

Con poco più di diecimila abitanti, sembra uno di quei posti da serie tv inizio anni duemila tipo Gilmore Girls con piccole villette monofamiliari tutte uguali dai graziosi giardini fioriti e i prati verdissimi, alberi allineati lungo i marciapiedi e bambini strillanti che corrono nel parco-giochi. Questa è Hollow Falls, e contando che è circondata completamente da foreste verdeggianti di conifere e laghi, e si è quindi un po' immersi nel nulla cosmico, a qualcosa come un'ora di macchina dal prossimo centro abitato, le cose emozionanti che succedono sono poche. 

Meno di zero se dobbiamo essere proprio sinceri. 

A Hollow Falls tutti conoscono tutti, almeno di vista, ed è abbastanza soffocante. Comunque rimane tutto sommato un posto suggestivo, se hai ottant'anni e cinque pronipoti che vedi solo per Natale.

"Katherine, tesoro, hai fatto colazione?"

Alzai pigramente lo sguardo dal cellulare e trovai la donna sorridermi con quella che doveva essere dolcezza. 

 "Non ho fame", risposi seccamente. Marlene aggrottò le sopracciglia sottili, storcendo leggermente la bocca. Se ne stava seduta rigidamente su uno degli sgabelli attorno all'isola della cucina e mi guardava con quella solita vena di preoccupazione, senza però avvicinarsi, quasi come se si trovasse davanti un animale selvatico ferito.

Mi osservò con attenzione, e i suoi occhi caddero sulle cicatrici traslucide all'interno del mio gomito. Si morse l'interno della guancia e distolse velocemente lo sguardo.

Abbassai le maniche della camicia sugli avambracci.

"Dovresti mangiare almeno qualcosa a scuola", continuò incalzante, imburrando un toast mezzo bruciacchiato. Era buffo vedere come provasse comunque ad approcciarmi. Marlene in fondo ci sperava ancora di starmi simpatica.

Reprimetti l'istinto di alzare gli occhi al cielo, limitandomi ad annuire. La conversazione cadde lì. Marlene ci provava sempre, ma fino a un certo punto. Non potevo darle torto. 

Lanciai un'occhiata all'orologio. Tay era in ritardo, di nuovo.

"Buongiornoo"

Quando parli del diavolo, spuntano sul serio le corna.

Lanciai un'occhiata scettica alla ragazza che correva a passi pesanti giù per le scale, cercando di raccogliere la sua massa di ricci dorati in una coda con scarsissimi risultati, con la bretella dello zaino che scivolava dalle spalle. Sembrava una bambina impacciata.

Saltò l'ultimo gradino, atterrando con grazia sul parquet del salotto e non appena mi vide la sua espressione festosa cadde, lasciando spazio a una smorfia scocciata, quasi come si fosse ricordata della mia esistenza.

"Sbrigati o ti lascio a piedi", fu l'unica cosa che dissi, monocorde, quando quella mi si appese al braccio per stamparmi un bacetto schifato sulla guancia. Marlene teneva anche a questo, a me e Tay che andavamo d'accordo. Cercavamo di accontentarla.

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