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Sin da quando ne ho ricordo, ho sempre odiato gli spazi sovraffollati.

C'è un qualcosa che mi irrita nel profondo, nel stare in mezzo a troppe persone: l'odore di ascelle sudate e non lavate da settimane, la mancanza di educazione. Gli esseri umani in generale. C'è un qualcosa che mi fa sentire estremamente a disagio, scuotendomi da dentro, stringendomi con una morsa lo stomaco. 

Potete facilmente dedurre che non sono mai stata il tipo da concerto o grandi fiere. Trovarmi schiacciata tra degli adolescenti in balia dei loro ormoni mi portava genuinamente ai limiti della mia umana sopportazione. 

Sentivo l'assurda voglia di mordermi le unghie fino alla carne fino a farle sanguinare. Insopportabile.

"TOUCHDOWN!"

Lo strillo acuto di Tay mi perforò un timpano, forse due, mentre cercavo di scostarmi il più possibile da un tipo accanto a me che si dimenava come se fosse in preda ad un attacco di epilessia, rischiando di rovesciarmi tutta la sua cola addosso. 

Barcollai all'indietro, le mani ficcate nelle tasche e una gran voglia di darmela a gambe. Via dagli spalti gremiti in cui era scoppiato il delirio, via dalle ragazze e dai ragazzi che urlavano e strillavano a squarciagola. A qualche panca di distanza c'era persino qualcuno che aveva persino lanciato dei popcorn in aria, in preda all'euforia. 

L'aria fredda mi fece rabbrividire per l'ennesima volta quella serata e mi affettai a tirare su la zip del giubbotto fino sotto il mento, cercando di non fare troppo caso alle mie gambe scoperte e morsicate dal freddo. Mi chiesi perché non mi fossi data per malata prima dell'inizio della partitaOdiavo la mia divisa da cheerleader.

Non avrei nemmeno voluto esserci lì, ma ovviamente Tay doveva assistere alla prima partita della stagione, e ovviamente toccava a me accompagnarla lì in macchina. Ovviamente. 

Scrutai annoiata la nostra squadra, che al momento stava festeggiando la vittoria in campo. Tutti si erano radunati attorno al quarterback dandogli pacche sulle spalle e ridendo, mentre lui si sfilava il casco dalla testa e scrutava avidamente gli spalti. Svettava tra i suoi compagni come una specie di eroe, lanciando sorrisetti da cascamorto alle ragazze. Imbarazzante.

Le mie compagne di cheerleading mezze nude agitavano i pon pon con un'energia e un entusiasmo tale da farmi pensare che si trovassero da qualche parte ai Caraibi nel mese di luglio, e non in una serata di fine settembre nel Michigan, e io mi ritrovai a irrigidire la mascella stringendomi ancora di più nel giubbotto. 

Atticus aveva trovato i miei occhi in quella miriade di persone e in quel movimento mi stava rivolgendo uno dei suoi ghigni più falsi, facendomi l'occhiolino. Storsi le labbra in un moto di disgusto. 

Non mi sforzai a ricambiare lo sguardo del ragazzo. Sapevo perfettamente che lo faceva apposta, per provocarmi, cosa a dir poco ridicola e priva di significato. Probabilmente si sentiva una qualche celebrità.

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