𝙒𝙤𝙢𝙚𝙣

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Ho quasi quaranta anni, una vita apparentemente magnifica e colma di emozioni. La verità è che la maggior parte del tempo mi sento un perdente, qualcuno che non può essere completamente sé stesso. Con mio fratello Shawn ho messo su un gruppo musicale, partendo dal garage di casa per poi provare a correre il rischio e a presentare il primo album ad una casa discografica. Eravamo dei dilettanti, degli sconosciuti e con alle spalle i soli insegnamenti di nostra madre. Eravamo poveri, perciò non ci siamo mai potuti permettere lezioni di piano o quant'altro. Una mattina, è arrivata quella chiamata. Un produttore voleva incontrarci e a fine giornata ci siamo ritrovati con un contratto tra le mani. Lui ci ha espressamente chiesto un secondo album entro la fine dell'anno seguente. Adesso siamo a metà 2004 e con l'aggiunta di Ivan, il nuovo componente della band e chitarrista, siamo certi di poter raggiungere risultati eccezionali. Di ritorno da un concerto ad Austin, mio fratello e Ivan sembrano non voler intrattenersi da qualche parte. Invece io sento il bisogno di bere, di evadere da questo perenne momento che segue ogni spettacolo a cui prendo parte. Sul palco do tutto me stesso, l'adrenalina è alle stelle e il cuore accelera i battiti quando ascolto gli applausi del pubblico. 

Ciò nonostante, c'è un buco nero dentro di me che non sono ancora riuscito a riempire. Non ho compreso a cosa è dovuta questa spasmodica sensazione e il tutto risale a così tanti anni fa, che ho perso il conto di quante volte ho provato a trovare una soluzione. Raggiungo il primo pub a piedi, cacciandomi un cappuccio in testa per ripararmi dalla pioggia ma soprattutto per non essere riconosciuto dalle fan più scalmanate. Devo ammettere però, che la maggior parte di loro si mostra nel proprio charme eclettico e singolare e così facendo riescono ad attirare la mia attenzione, risvegliando qualcosa o qualcuno. Provo a non andare a letto con le fan, per non seguire il classico cliché della rockstar che non riesce ad avere una relazione stabile e quindi si lascia andare a scopate occasionali. Per qualche tempo ha funzionato. Mi sono tenuto lontano dalle tentazioni, dedicandomi solo alla musica ma spesso mi sembra di percepire un odore. Il profumo di qualcosa che mi fa scattare un allarme nelle tempie, che mi pizzica la lingua come se fosse stata sfiorata da un piacevole gusto metallico a cui è difficile essere indifferenti. Sollevo lo sguardo verso la scritta al neon e dopo spalanco la porta, entrando nel locale che per mia fortuna è poco illuminato e inondato da un rumoroso sottofondo punk. Mi avvicino placido al bancone, accomodandomi sullo sgabello. Il barista immediatamente mi richiama, chiedendomi che cosa prendo. Nascondo metà del volto dal tessuto nero della felpa, sperando che nessuno mi riconosca. Resto solo, avvolto nell'oscurità molto presto e afferro il boccale di birra con la mano, avvicinandolo a me. All'improvviso di nuovo quell'odore e ogni secondo che passa si fa sempre più forte, finché una voce non lo accompagna con una certa intensità.

"A quanto pare non sono l'unica che si è buttata sull'alcool stasera". Sollevo lentamente la nuca, restando nascosto dal lembo del cappuccio. Accanto a me è seduta una donna bruna, sulla trentina e con una scollatura vertiginosa che lascia poco spazio alla fantasia. "Io bevo perché sono stanca. Stanca di tutto e di tutti. In questo pub mi rifugio spesso, tanto che conosco i nomi dei clienti a memoria. Così ho capito di non averti mai visto. Sei in visita?". Chiaramente non mi ha riconosciuto, o più semplicemente non sa chi sono.

Non le rispondo. Sto ancora cercando di capire da dove proviene questo odore intenso che mi sta occludendo le narici. "Scusa. Non volevo essere inopportuna. Magari sei venuto qui per trovare pace ed io non ti sto rendendo le cose semplici. Continuerò ad essere stanca di tutti da quel tavolo laggiù. Se cambiassi idea, puoi raggiungermi". Quando si solleva dallo sgabello, mi volto immediatamente per ammirare le sue curve morbide avvolte dal vestito nero di maglina. Intanto che si allontana, l'odore svanisce sempre di più al che comprendo che proveniva da lei. La osservo da lontano, e per attirare la mia attenzione accavalla le gambe sotto il tavolo per poi poggiare delicatamente il gomito sul legno e portarsi le dita davanti alle labbra. "Vuole qualcos'altro?" il barista mi distrae. Resto girato di tre quarti a guardare la ragazza che ci sta spudoratamente provando con me, facendo un solo cenno con la mano. Il barista se ne va e in pochi secondi la raggiungo al tavolo, mettendomi a braccia conserte. La testa abbassata. "Vedo che hai cambiato idea".

"Ho solo pensato che avremmo potuto bere qualcosa insieme". "Hai pensato bene, ma non sono abituata a parlare con qualcuno che non osa guardarmi negli occhi". Mi schiarisco la gola, sollevando di poco il mento. Lei cerca di scoprire chi si nasconde sotto il cappuccio nero. Ha degli occhi enormi, verdi e intensi. È bella da togliere il fiato e il suo odore mi sta ottenebrando la mente. Quando la vedo strabuzzare lo sguardo, trattengo il respiro. "Aspetta. Ma tu sei...".

"Sssh!" la zittisco, abbassando ancora una volta la testa. "Non posso farmi vedere qui". "Va bene, sì. Lo capisco. Ti posso dire che ti trovo fantastico?" annuisco, provando a non arrossire. Sono ormai abituato a queste dichiarazioni e ai complimenti. "Grazie. Ti offro una birra se mi prometti che non farai il mio nome e che non proverai ad avvicinare altre persone a questo tavolo". Lei ammicca, e le sue labbra rosse formano un sorriso sensuale. "Ti posso promettere che tu sei l'unico con cui ho intenzione di bere stasera..." mi porge la mano, sporgendosi sul tavolo per potermi dire qualcosa sottovoce. "...io mi chiamo Jasmine. Tu non hai bisogno di presentazioni, Joe. Dimmi solo com'è essere famoso". Glielo vorrei davvero raccontare. Le vorrei parlare di me, di quello che faccio, delle parole e della musica che mi occupano la mente ogni giorno ma un movimento sotto la sua giugulare mi distrae. L'arteria carotidea sta pulsando sotto la curva del suo collo e immediatamente le mie pupille si dilatano, bramando di poterglielo sfiorare con le labbra. "Ti posso raccontare una storia, ma tu dovrai portarci la massima attenzione. Non devi perderti alcun dettaglio". Jasmine si drizza sulla sedia, poggiando ancora una volta il gomito sul tavolo.

"Oh, potrei ascoltarti parlare per ore. Sono tutta orecchie". La osservo a lungo, esaminando ogni dettaglio e ogni pulsazione visibile sotto alla sua pelle olivastra. Infine incomincio a raccontarle di quel posto, Crimson Peak. Allerdale Hall, la proprietà malmessa di un vecchio amico, il posto in cui tutto ha avuto inizio. 

𝙁𝙞𝙧𝙚 𝙖𝙣𝙙 𝘽𝙡𝙤𝙤𝙙 | 𝘑𝘢𝘳𝘦𝘥 𝘓𝘦𝘵𝘰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora