𝙍𝙚𝙣𝙛𝙞𝙚𝙡𝙙

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Senza averne fatto parola con nessuno, mi dirigo al mio appuntamento con la dottoressa il mattino seguente. Rasento un'altra paziente, e ogni volta che vedo una persona nuova non posso far altro che domandarmi qual è il suo disturbo. Che cosa l'ha portata qui? Soffre della mia stessa malattia?

"Signor Cooper!" tuona lei, sorridendomi. "È puntuale! Non vede l'ora di scoprire che cosa la affligge. Non dovrei fare favoritismi nella mia posizione, però penso che lei potrà essere il mio paziente più condiscendente". Faccio per sedermi alla scrivania ma lei mi invita ad accomodarmi sul divano. "Si sentirà più a suo agio a parlare con me". Mi si siede difronte con un taccuino tra le mani. "Ha già chiesto degli aiuti prima di trovare me?".

"No, ho seguito l'istinto e mi sono ritrovato in questo ospedale". "Molto bene" sogghigna, soddisfatta. "Allora, quando ha iniziato a sentirsi diverso dal suo solito?". "Due settimane fa, prima di partire per il tour. C'è stato un episodio in particolare che ha risvegliato...". Scelgo di saltare questo passaggio e di non parlarle di Jasmine, di quello che penso di averle fatto. "Penso sia tutto collegato ad un evento della mia infanzia".

"Me ne parli". Inizio ad innervosirmi. Ho promesso a Thomas e sua sorella che non ne avrei mai fatto parola, che avrei dimenticato ogni cosa di quello che è successo ad Allerdale Hall. "Non posso parlarne". "Joseph, non dovrebbe avere segreti con il suo medico. C'è una clausola tra di noi, adesso. Non trapelerò nulla di quello che mi dirà. Resterà tutto tra di noi, in questa stanza".

"Diciamo che... ho assistito ad una scena spaventosa, e non l'ho trovata così orribile. Insomma, sto cercando di dire che...". Lei richiude il taccuino e mi guarda con fare protettivo. "La vedo turbato. Si rilassi, non c'è fretta. Purtroppo la terapia può durare un po'. Nessuno guarisce così velocemente, anche se si è condiscendenti come lei". È rassicurante pensare che lei potrebbe essere dalla mia parte.

"Quando avevo dodici anni, una persona è stata uccisa davanti ai miei occhi e il suo sangue mi ha procurato un certo... scompenso? Non saprei come definirlo". La dottoressa non sembra avere paura, anzi annuisce. "Ho capito cosa le sta succedendo, e voglio rassicurarla dicendole che non è l'unico".

"Davvero?" fa di sì con la testa, riprendendo il taccuino tra le mani. "Questo genere di disturbo viene definito sindrome di Renfield o più comunemente vampirismo clinico" soffoco una risata derisoria. "I vampiri non esistono". "E lei non lo è. Si figuri. Solo Bram Stoker poteva parlarne nei suoi libri e sembrare affascinante". Sgrano gli occhi. "Ha letto Dracula?".

"Ed ho visto anche il film con Gary Oldman, ma non è questo il punto. Stavamo parlando di ciò che la affligge". "Giusto" tiro un grosso respiro, determinato ad arrivare infondo a questa faccenda. "Mi dica che c'è una cura". "Alcuni psichiatri la stanno ancora studiando, perciò non saprei dirle come curare questo disturbo".

"Allora perché sono qui?". "La sindrome di Renfield è una malattia mentale, signor Cooper. Dovrà prendere le giuste precauzioni, le prescriverò dei farmaci che terranno momentaneamente a bada i suoi impulsi e insieme le descriverò che cosa fare, per evitare che quella parte di lei prenda il sopravvento".

Aspetto che mi esponga altri dettagli sulla sua geniale idea di tenermi a bada, come se fossi un lupo mannaro che deve evitare la luna piena per trasformarsi. "È assai probabile che la sua precoce esperienza con il sangue, abbia attivato questo disturbo ma lo ha tenuto latente fino ad un certo punto. Vorrei capire che cosa ha fatto scattare l'interruttore quelle due famose settimane fa. Ricorda che cosa è successo?". Provo a focalizzare quel momento ma non mi riesce di ricordare che cosa è accaduto prima di Jasmine. Averla conosciuta quella sera, mi ha portato persino davanti ad un detective con l'accusa di omicidio colposo. Lei che diavolo di fine ha fatto, comunque? Questa è una delle tante domande che mi pongo appena apro gli occhi al mattino. "Vorrei saperlo" spiego, abbassando lo sguardo per lo sconforto.

"Ha bisogno di una pausa, signor Cooper. Si rifugi da qualche parte e si concentri su sé stesso. Ha un hobby? C'è qualcosa che la appassiona?". "La musica. Suono la chitarra".

"Perfetto. Potrebbe provare a comporre qualche pezzo. Usi questo disturbo come espediente e in futuro assocerà la musica ai momenti migliori della sua vita. Questo è solo un palliativo, ma è necessario..." scuoto il capo, contrariato. "Non posso permettermi di rifugiarmi da qualche parte. Io e la mia band dobbiamo incidere un disco. Abbiamo delle scadenze".

"Allora prenda la sua band e vada via. So di un posto, a Toronto. È sempre desolato, tranquillo. Avrà modo di svuotare il cervello e pensare solo alle cose belle della sua vita". La dottoressa mi sembra un tantino pedante con questa storia de i momenti migliori della mia vita, le cose belle della mia vita. Non ho mai avuto modo di pensarci. Mi sembra tutta una corsa contro il tempo, come se non ci fosse rimedio. Adesso non sono più condiscendente ma diffidente. "Non lo so, doc. Perdoni il linguaggio, ma mi sembra tutta una stronzata". "Mette in dubbio le mie capacità mediche?".

"Per niente. Dubito solo di me, di quello che non riuscirò a sistemare". "Lei prenda solo i suoi amici e vada in questo hotel. Le assicuro che dopo avrà le risposte che cerca. È il posto perfetto per conoscere il suo vero io. Si fidi di me. Sono una donna ma sono anche piuttosto sveglia. Non la metterei mai in pericolo. Questo è il mio lavoro". Mi faccio dire dov'è questo fantomatico posto a Toronto, e dopo una lunga seduta lascio il suo studio. Dovrò parlare a Shawn e Ivan di questo The Carlu Hotel. Su internet non si trova quasi nulla al riguardo, solo numero di telefono e qualche foto delle stanze. Ho paura che la dottoressa mi stia mandando in qualche posto sperduto, per potersi liberare di me dopo quello che le ho confessato. Non mi è sembrata così impaurita, o forse sa solo recitare bene la sua parte.

𝙁𝙞𝙧𝙚 𝙖𝙣𝙙 𝘽𝙡𝙤𝙤𝙙 | 𝘑𝘢𝘳𝘦𝘥 𝘓𝘦𝘵𝘰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora