Capitolo 6: Io non lo so quando non sono ubriaco

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Il sito d'incontri in cui avevo conosciuto Oliver mi aveva permesso di conoscere un'altra perla per il mio portagioie. In realtà però, nonostante questo ragazzo potesse vantare di essere il mio primo match, avevamo iniziato a scriverci ogni tanto su un altro social. Chiacchierate corte e spesso interrotte da me, non perché lui mi annoiasse, ma perché avevo il vizio di stufarmi molto facilmente di rispondere. Insomma, non c'è bisogno di dire che senza un colpo di scena, un inizio così non avrebbe portato da nessuna parte.

Continuando il flusso mentale che mi aveva fatta aprire gli occhi dopo Oliver, avevo deciso di andare in un locale con i miei mezzi, con i miei amici e con le mie energie. Senza chiedere favori a nessuno. Avevo preso il mio migliore amico e gli avevo detto:

Sabato conta su di me!

Così, un bel sabato di novembre, ho deciso di passare una notte intera nel locale che avevo frequentato tutta l'estate. La mia prima intera notte fuori a far festa, immaginate l'adrenalina e la felicità. Ero talmente entusiasta che tra una cosa e l'altra, finita in quel locale per la prima volta single, avevo una gran voglia di andare a caccia. Non avevo niente di ché addosso, perché il freddo mi aveva fermato, ma mi sentivo abbastanza sexy da potermi permettere di scegliere. Tra una risata e l'altra con un gruppo di persone con cui stavo appena facendo amicizia, il mio sguardo era stato catturato da un ragazzo. Lui, lì con il suo gruppo di amici, aveva attirato la mia attenzione. Avevo iniziato a guardarlo furtivamente, notando con piacere il suo sguardo incrociarsi con il mio.

"È mio!", ho pensato soltanto. Un altro po' e avrei fatto il primo passo. Comunque, essendo entrambi in gruppo, avrei dovuto attendere il momento giusto. Quindi, tra un drink e l'altro, avevo deciso di non pensarci troppo. Al quarto gintonic ero felice di poter dire di essere perfettamente sobria, ma la mia vescica aveva bisogno di un bagno comunque.

Sapete che c'è quella regola/tradizione secondo cui una ragazza non va mai da sola in bagno? Beh, quella notte non l'avevo potuta seguire: troppa poca confidenza con le ragazze presenti al tavolo che erano in netta minoranza. Frustrata ero andata in bagno da sola, superando anche la sala sulla destra in cui nel frattempo si era spostata la mia preda.

Immaginate per un momento come mi sentivo: nessuno a tenere una porta che rimaneva socchiusa e senza la maniglia, a fare la pipì in squat con il telefono infilato dentro al corsetto e i capelli davanti alla faccia. Sono uscita dal bagno con un nervosismo addosso che se mi avessero dato una spallata per sbaglio li avrei inceneriti soltanto guardandoli.

E cosa fa, l'aitante sconosciuto vedendomi uscire dal bagno? Attacca bottone in quel preciso istante, completamente sbronzo e sotto il vociare degli amici che lo chiamavano.

In meno di un secondo nel mio cervello era passato un flusso di pensieri secondo cui: Non si approccia una ragazza davanti alla porta del bagno; Non ho voglia di dare retta a un ragazzo sbronzo; Vuole solo far vedere agli amici che ha rimorchiato.

Così sono passata dritta. Avete capito bene, sono passata dritta. Cosa avrei dovuto fare? Stringergli la mano mentre mi toglievo il cellulare dal corsetto? Parlargli di come avevo fatto la pipì con una gamba tesa verso la porta nella speranza di tenerla bloccata?

L'ho lasciato lì e ho continuato a far nottata. Ridendo e divertendomi, ma con l'ombra di un rimpianto. Sarà stato pure un idiota (ed effettivamente la faccia da idiota un po' la aveva), ma era dannatamente carino e una vocina dentro di me continuava a dirmi di trovare il modo di non perdere l'occasione.

Ho aspettato io di trovarlo solo, tentando varie volte di intercettarlo quando andava a prendere da bere. Dopo aver rinunciato alla speranza di ritrovarlo al bancone, avevo preso la decisione di andare a prenderlo a prescindere da dove fosse. Provi ad approcciarmi dopo che faccio la pipì? Il karma ha deciso che ti fermerò prima che tu riesca a raggiungere il corridoio del bagno.

La conversazione era andata più o meno così:

Ciao, scusami se prima non mi sono fermata. È che sei un po' sbronzo, però se mi dai il tuo cellulare posso segnarti il mio numero... magari mi scrivi quando non sei ubriaco.

Lui, dall'alto dei suoi 70 euro bevuti sotto forma di alcol mi aveva risposto semplicemente: A parte che io non lo so quando non sono ubriaco. Poi è uguale, idiota da sbronzo e da lucido, neanche ti accorgi della differenza.

Devo dire che la brutale onestà e semplicità di quella risposta, per un attimo mi aveva stesa. Mi ci era voluto qualche secondo prima di rispondergli: Dai, davvero. Io te lo lascio poi magari mi scrivi domani.

Frase apparentemente insistente, ma non volevo mollare l'osso prima di aver provato a tirarlo un po'. La sua risposta, ancora una volta, mi aveva mandata in tilt: Ma cosa ti scrivo a fare, che tanto poi non mi rispondi mai.

In un momento di interdizione, mi ero ritrovata a scrivergli il mio numero spiegandogli che se ero io a volerglielo lasciare, era logico che gli avrei risposto. Aveva ignorato quel mio ragionamento, chiedendomi direttamente con quale nome mi fossi segnata in rubrica.

Irene, gli avevo risposto. Mi chiamo Irene, avevo detto poi presentandomi.

Lo so che ti chiami Irene, mi aveva risposto. Lì il mio pensiero è stato: vabbè, è sbronzo, chissà cosa sta dicendo.

Certo che lo sai, te l'ho appena detto

La mia risposta mi aveva fatto guadagnare per un motivo a me sconosciuto un'occhiata confusa e perplessa. Poco dopo infatti le sue parole erano state: No Ire, noi ci conosciamo già.

Sei parole per seminare il panico dentro di me. Com'era possibile che non avevo idea di cosa stesse dicendo? In quel momento mi prendo un attimo per guardarlo in faccia. Era certo che non fosse un amico del mio ex, ancora più certo che non fosse un collega di università. La mia mente macinava a vuoto, a breve lui avrebbe potuto vedere il fumo uscirmi dalle orecchie.

Chi sei?

Avevo deciso di dire solo questo, aspettando una risposta che non tardò ad arrivare: Sì, beh... ecco, è un po' imbarazzante da dire ma ci siamo conosciuti su quel sito d'incontri.

Nonostante quella frase, vuoto totale. Non collegavo la sua faccia a nessuno, nonostante la mia memoria fotografica mi consentisse di ricordare anche le persone con cui non avevo mai fatto match.

Istintivamente, ignorando le voci dei suoi amici che lo chiamavano dalla porta del bagno per Dio solo sa fare cosa, avevo preso il mio telefono e aperto l'app. Dopo avergli chiesto come si chiamasse, l'avevo sentito pronunciare il nome: Mike.

Digitato il suo nome sulla barra di ricerca era spuntato il suo profilo, con una fotografia di almeno cinque anni prima e una chat vuota.

Ora ho capito! Sei il mio primo match su Tinder!

L'avevo urlato lì, in mezzo al corridoio del locale, nell'entusiasmo più immotivato della serata. Lui aveva risposto: Davvero? Il primo?

Ignorata la sua domanda, avevo iniziato a scusarmi per non averlo riconosciuto, spiegandomi che se l'avevo guardato e se mi ero avvicinata, era stato perché lo avevo trovato molto carino e non perché lo avevo riconosciuto.

Dopo quella conversazione finita decisamente in modo diverso rispetto a come era stato programmato finisse, l'avevo lasciato andare dai suoi amici ed avevo raggiunto i miei. Le nostre serate erano continuate parallelamente, senza interferire fino all'alba.

Alle sei e trenta di mattina, poco prima di uscire dal locale, ero passata a salutarlo con un bacio sulla guancia. Il suo sguardo assente e confuso mi aveva fatto capire quanto ancora fosse sbronzo e fatto sperare che si sarebbe ripreso in meno di una settimana per scrivermi.

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