A poche ore dal mio compleanno mi ero resa conto che preoccuparmi così presto di come avrei passato il San Valentino era stato insensato, quasi inutile. Una persona disorganizzata come me aveva in disordine perfino le paranoie. A un certo punto mi ero quasi preoccupata per l'ordine delle mie priorità. Possibile che avessi perso di vista il mio compleanno a tal punto da non aver organizzato praticamente niente, aspettandomi di passare la giornata più bella dell'anno? Non avevo mai festeggiato il mio compleanno, escluso due anni prima in cui comunque avevo invitato un sesto dei miei amici in un bar e l'anno prima, in cui ero finita a fare un pigiama party con Liam e una coppia di miei amici. Col senno di poi però, non erano stati brutti compleanni, anzi, avrei dato l'anima per sentirmi così spensierata e felice come negli ultimi due anni. Seppur l'ultimo compleanno fosse tra intimi e consistesse in una partita a jenga e una scatola di caramelle, ricordavo di essere stata davvero bene.
La mia vita però, era cambiata a tal punto da non permettermi di poter invitare le persone a cui volevo bene tutte nella stessa stanza. Ufficialmente, la scusa era che non tutti erano liberi agli stessi orari, ma la verità era che in pochi assecondavano la nuova me all'insegna delle nottate e del divertimento. Così, un po' per questo, un po' per le circostanze, l'unica cosa che avevo deciso era che avrei festeggiato due volte: allo scoccare della mezzanotte e nel pomeriggio, con amici diversi. Chi avevo invitato? Nemmeno io ne ero sicura. Avevo scritto qualche messaggio qua e là, dicendo dove sarei stata e a che ora, facendo sapere ai destinatari che mi sarebbe piaciuto vederli con la scusa del mio compleanno. Non volevo regali (in realtà sì, quelli che non volevo erano i sensi di colpa), non mi potevo permettere di offrire da bere a tutti e non avevo nemmeno voglia di organizzare tutto in grande stile.
Inviando quei messaggi, mi ero resa conto di non avere molti amici stretti, che potevo dire di conoscere abbastanza da sentire indispensabili. C'erano Liam ed Ethan, i miei due migliori amici, e c'erano gli amici di vecchia data con cui, a pensarci davvero, avevo perso i rapporti. La verità era che mi sentivo peggio che durante la Vigilia di Natale. Mi ero resa conto di essere sola, grossomodo. Quel giro introspettivo mi ricordava che avevo invitato per lo più candidati e membri del club delle collane di perle, che era l'unica cosa preziosa ad essere rimasta nella mia vita ormai vuota.
Era forse perché il sesso "sporcava" quasi ogni mio rapporto importante? Era perché non avevo un limite vero e proprio, un'etichetta, che circoscrivesse il mio concetto di amicizia? Era perché di ragazze intorno non ne avevo molte, perché non ci andavo d'accordo o perché anche con loro avevo superato il confine di amicizia almeno una volta, almeno con un bacio?
Avevo invitato due ragazze soltanto, sapendo che sicuramente una di loro non ci sarebbe stata per cause di forza maggiore. Tutti gli altri erano ragazzi e mi faceva ridere pensare che le persone importanti, tra questi, erano solo Shawn e Liam.
La poca organizzazione aveva fatto sì che molte persone non ci sarebbero state. Ethan non sarebbe venuto perché stava male, Oliver era a lavoro, James aveva di meglio da fare, Josh stava male come Ethan, Aaron era a centinaia di chilometri di distanza e Carter... a dirla tutta non ricordavo nemmeno se e quando lo avevo invitato; quindi, avrei semplicemente aspettato di lasciarmi sorprendere vedendolo a una o all'altra "festa".
A meno di ventiquattrore dal mio compleanno (dai primi festeggiamenti), sapevo soltanto che Shawn avrebbe cercato di rimanere il più possibile; che Liam fino a due giorni prima era strafatto e che si sarebbe dovuto riprendere in tempo per presentarsi; che Lucas avrebbe "provato" a venire, frase che mi faceva pensare che non lo avrei visto nemmeno per un saluto; che Jasper sarebbe venuto un po' più tardi ma che non avrebbe rinunciato a farmi gli auguri. Oltre loro avevo invitato un paio di amici, che per fortuna avevano dato risposta sicura.
Ogni volta che qualcuno mi diceva che non sarebbe riuscito a venire, che sarebbe arrivato tardi o andato via presto, il mio cervello si riempiva di paranoie e ansia. Avevo il terrore di arrivare e non trovare nessuno.
Il vostro incubo peggiore alle elementari non era forse quello di dare una festa di compleanno, invitare tutti e passare il pomeriggio a piangere con la casa vuota e la torta salata dalle lacrime? No? Avete avuto un'infanzia felice, i miei più sentiti complimenti... un po' vi invidio. Comunque, io avevo sempre avuto quella paura, solo che negli ultimi anni era stata messa da parte. A vent'anni però, non volevo usare la soluzione che usavo da bambina, che consisteva nel non organizzare nessuna festa, desideravo di passare un bel compleanno in compagnia di persone che mi volevano bene. O almeno una bella serata, come quei sabato sera con Ethan a novembre, in cui ci divertivamo sempre da matti.
L'annuncio dell'assenza di Ethan era stata una botta psicologica non da poco, che mi aveva fatto avvicinare all'orlo di una crisi isterica. Non sarei stata in grado di calmarmi, di contare su di lui che aveva il dono di far andare tutti d'accordo. Iniziavo a pensare che per passare una serata piacevole avrei dovuto farli ubriacare tutti. Era una buona idea? Quali argomenti sarebbero usciti fuori? A occhio e croce la metà degli invitati aveva solo me in comune. Di cosa si sarebbe parlato? Di come si versasse la birra? Di quanto fosse buona l'acqua la domenica mattina?
Una parte di me voleva convincersi che fossero solo paranoie, ma non riuscivo proprio, pensando che proprio quest'ultima preoccupazione era estendibile facilmente anche al secondo momento in cui avrei festeggiato. Un lampo di preoccupazione aveva fatto chiedere a me stessa: "Oddio, ho controllato se quel bar è aperto di domenica?!"
Ovviamente non avevo controllato fino a ché questo pensiero non mi era balzato in testa. Tolto un problema (il bar era aperto), mi chiedevo non solo chi diamine avessi invitato, ma soprattutto come mi sarei trovata. Mi sarei divertita?
La domanda regina però, quella che più di tutte offuscava la mente della proprietaria del club delle collane di perle era una: Con quali outfit avrei reso speciali entrambi i momenti?
Una persona egocentrica e appariscente come me non sarebbe potuta andare a festeggiare con addosso un semplice maglione. Era un'opzione categoricamente da scartare. Qualunque outfit mi venisse in mente però, era o troppo o troppo poco. Volevo distinguermi come si distingueva una sposa dalle invitate il giorno del suo matrimonio, senza mettere una di quelle stupide fasce in cui c'era scritto che ero io la festeggiata.
Volevo una corona. Volevo indossarla per il mio compleanno e il desiderio che me ne regalassero una completamente ricoperta di perle era in continuo aumento. Mi sentivo una stronza materialista, ma pensare alle apparenze era l'unico modo che avevo per mettere da parte le paranoie. Istante dopo istante pensavo solamente che avrei dovuto riporre più aspettative nel regalo di Lucas. Una stanza insieme per una notte, la prova non solo per entrare nel club, ma anche quella che avrei fatto per capire se la terapia d'urto sarebbe servita a ridarmi il sonno in compagnia di un uomo a fine serata. Di quella nottata ero sicura, del mio compleanno non tanto.
Per quanto ritenessi triste la situazione, iniziavo davvero ad attaccarmi sentimentalmente al club, al mio portagioie pieno di collane di perle tutte così simili ma diverse tra loro. Iniziavo a chiedermi come avrei sopportato una vita così vuota e triste come la mia, senza di esso. Il mio attaccamento non mi preoccupava, mi avrebbe permesso di reagire e vivere realmente anziché restare nel letto a lamentarmi di ogni cosa andasse male, almeno finché non fosse andato male anche quello.
Il mio pessimismo cosmico era uscito fuori tutto di colpo, ma speravo davvero che il mio compleanno mi avrebbe portato gioia. Speravo di giocare a beer pong, arrabbiarmi con uno sconosciuto dopo averlo visto bere l'acqua dei bicchieri del gioco, fingere di aver perso perché brilla e non perché priva di mira. Speravo che tutti quelli che avevano detto che sarebbero passati, si sarebbero fatti vedere sul serio. Speravo di ordinare una torre di waffle e il mio gin tonic firmato con la scorza d'arancia al posto del limone. Speravo di vedere i miei amici felici di essere in mia compagnia e speravo anche che le mie mestruazioni sarebbero passate il prima possibile.
L'unico con cui avevo parlato delle mie paranoie era Aaron, che mi aveva stupita dicendo:
Compra un biglietto aereo e vieni a trovarmi. Te l'avrei regalato io, ma ho il conto in rosso.
Avevo sorriso in modo genuino, perché aveva trovato il modo di ricordarmi che qualcuno a volermi bene c'era, ma gli avevo risposto ridendo che il mio conto era più in rosso del suo.
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Il club delle collane di perle.
ספרות נוער"Ogni membro deve possedere e indossare una collana di perle ogni volta che avrà un appuntamento con la proprietaria del club. Poiché è per questa regola che il club porta questo nome, nessun membro può rifiutarsi. Un tale rifiuto sarà considerato i...