Proposta Indecente

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"Si vede che sono due settimane che Panettone Bauli ti battezza a dovere, guarda che faccia rilassata che hai!", starnazza Giulia, avvicinandosi alla fotocamera.

Nicole e Alice, in videochiamata di gruppo, ridono a crepapelle, mentre io ringrazio il cielo che James non sia qui.

Arrossisco, non tanto per la battuta di Giulia, ma perché per una volta tanto dice il vero e il solo ripensare alle notti passate tra le sue braccia mi fa avvampare.

Questi quindici giorni con lui sono stati indimenticabili, non solo perché mi ha battezzato, come dice la mia pazza amica, in ogni attimo libero e in ogni stanza di casa sua e pure della mia, ma anche perché poterlo vivere giorno dopo giorno è stato bellissimo.

"Passacelo che lo salutiamo e gli facciamo i complimenti", rincara Alice.

"Non c'è, è venuto in città per sbrigare le ultime cose." Mi sento patetica, se n'è andato due ore fa e già mi manca.

"Cosa vuol dire 'è venuto in città'? Non siete a Buckinghamshire?" chiede Nicole.

Scuoto la testa. "Siamo a Penn, nella baita della sua famiglia."

Caminetto in pietra, terrazza panoramica che dà sulla vallata, soffitti con travi a vista, più che una baita questo posto è una reggia delle favole e James il principe azzurro che mi ha rapita e portata qui, per trascorrere i nostri ultimi due giorni in un luogo incantato.

Sfioro il ripiano del tavolo di legno grezzo su cui ho poggiato il cellulare, ripenso a cosa ci abbiamo fatto su questo tavolo, giusto stamattina, e un sorriso malizioso mi incurva le labbra.

"Reb?" mi chiama Alice.

Le mani di James addosso, avide, insaziabili, che premono sulle mie cosce nude, che mi tengono ferma, che mi impediscono di spostarmi dal suo corpo anche di un solo millimetro.

"Tesoro?" le fa eco Nicole.

Gli occhi di James che si fanno liquidi, che diventano un mare in tempesta quando si spinge dentro di me e trattiene il respiro annientato dal desiderio, dal piacere.

"Amo! Ti sta prendendo fuoco la cucina!" grida Giulia, strappandomi definitivamente dal mio sogno ad occhi aperti.

Schizzo in piedi, alle mie spalle c'è davvero qualcosa che brucia. Spalanco l'anta del forno, la carta antiaderente con cui ho foderato la placca è in fiamme; ci soffio sopra, ma non faccio altro che alimentare l'incendio, mentre in sottofondo le mie amiche mi gridano indicazioni, sovrapponendosi l'una all'altra.

Questa casa è fatta all'ottanta per cento di legno, se non faccio qualcosa subito rischio di dare il via a un enorme falò, penso catastrofica.

Afferro la teglia a mani nude e caccio un urlo, ovviamente è ustionante, allora prendo il canovaccio abbandonato sul tavolo e lo uso come presina. Sfilo la placca infuocata dal forno, rovescio a terra la carta che brucia imperterrita e i biscotti ormai abbrustoliti e comincio a calpestare tutto coi piedi.

L'incendio è sedato, peccato che i biscotti che avevo fatto per James siano ridotti in poltiglia e la suola di plastica delle mie pantofole si sia squagliata.

Per qualche istante regna il silenzio assoluto, nessuna delle mie amiche ha il coraggio di dire nulla.

Con la tachicardia ancora a mille, mi lascio andare sulla sedia del tavolo e mi prendo la testa tra le mani. "Di un pompiere, non di un attore, dovevo innamorarmi, qualcuno che ha sempre un estintore in mano."

Le ragazze scoppiano a ridere e alla fine, anche se ho combinato l'ennesimo disastro, non posso fare a meno di ridere con loro.

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora