Capitolo 1

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GEMMA

“-E non lo riterresssti ambiguo curarsi con una dose di veleno?

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“-E non lo riterresssti ambiguo curarsi con una dose di veleno?

-No, non lo sarebbe quanto innamorarsi di uno come te.”

***

Le stelle, comunicavano fra loro con un linguaggio che non apparteneva agli animali, ma possedevano la luce che parlava per loro. Più brillavano e più il pericolo da cui scappare era vicino. E quella notte, tutta l'oscurità sfavillava.

 E quella notte, tutta l'oscurità sfavillava

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Qualche settimana prima...

***

«Dannato Helia e al suo bel faccino. “Ehy Rossa, ti dispiacerebbe recarti da Lene, mi sembrava un po' strana, prima”. No, ma davvero?! È tornata da morte certa; è ovvio che non sia più la stessa e quella di prima...» borbottai ad alta voce, inviperita con l'Alfa. «Era stata rapita e tutti noi la spacciavamo per morta! Hai il cervello pieno di ghiande o cosa?!» sbottai al vuoto.

Certe volte i maschi pargono proprio scemi.

Imprecai mentalmente, stringendomi le braccia al petto per il freddo, macinando lungo il sentiero, con passo mal fermo, verso i confini della villa. Parlare ad alta voce, con me stessa, era sempre stata una mia brutta abitudine; ma con qualcuno avrei pur dovuto sfogare la mia indignazione, no? Detestavo l'inverno, e con esso, il freddo glaciale.

La prossima volta devo ricordarmi di portare anche il giubbotto pesante... E fanculo l'outfit e chi mi obbliga ad uscire senza!

Le feste - ricevimenti altolocati e noiosi allo stremo - organizzate per i pomposi politici del senato erbivoro, non facevano per me. Indossare tacchi scomodi e vestiti fin troppo leggeri - a Gennaio -, mentre tuo padre vaneggia di altri tempi, non era decisamente il mio prototipo ideale di “venerdì sera”.

E nemmeno partire alla ricerca della festeggiata scomparsa, aggiungerei.

Il rapimento di Silene Fawn aveva allarmato la nostra comunità, portando scompiglio e caos nei sobborghi erbivori; ogni giovane preda de la Città di Mezzo l'aveva data per morta - me compresa -, quindi era più che normale festeggiarla con tutti gli onori.

Cosa non si fa per le amiche...

l'orlo dell'abito blu, fin troppo leggero, strusciava sull'erba fresca, accarezzando il manto erboso. «Che freddo...» rabbrividii, avvicinandomi sempre più ai confini della villa, ove un boschetto sempre verde prosperava nella solitudine del giardino, tracciandone il confine.

«Buonasssera.».

Udii alle mie spalle, a pochi millimetri dal lobo, un bisbiglio maschile, serpeggiare nello spazio di un respiro, troppo fugace e lieve per ascoltarlo con chiarezza, e che il vento portò via. Mi voltai di scatto, pronta a colpire con un pugno il possibile aggressore, ma quando mi girai del tutto - ed ebbi una chiara visione del prato -, non vi trovai nessuno.

Che stupida... Senti anche le voci, adesso?

Mi dissi, abbassando la guardia e tornando alla mia ricerca. E fu allora che accade. Nel voltarmi di nuovo, mi scontrai con uno sguardo magnetico e... spaventoso. Non avevo mai visto pupille allungate e iridi d'un verde foglia iridescente; eppure erano esattamente così. Appartenevano ad un maschio alto e snello, pallido quanto la morte, e dai tratti definiti. Il Tristo Mietitore nelle vesti di un militare. La Morte personificata, la stessa raffigurata nei libri antichi. Osservando con più attenzione il misterioso sconosciuto, notai la pelle sfogliata, distinguendo chiaramente delle squame di carne, sottili come carta, e una zazzera di folti capelli neri, legati in dietro la nuca da un codino, a contrastarne il livido pallore.

Predatore.

Ogni fibra del mio corpo mi urlava di fuggire, scappare il più lontano possibile, ma i suoi occhi, i suoi occhi mi inchiodavano lì, dinnanzi a lui. Aveva uno sguardo intenso, capace di calamitare l'attenzione su di sé. All'improvviso egli sorrise appena e la morte mi sussurrò all'orecchio.

TRISTAN

Ero il carnivoro più ambiguo al mondo ed il motivo, per quanto primitivo fosse, era anche il più semplice

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Ero il carnivoro più ambiguo al mondo ed il motivo, per quanto primitivo fosse, era anche il più semplice. Io pregustavo la preda viva. Mi nutrivo con brutalità, perché solo di brutalità avevo vissuto. Davo loro la caccia e mangiavo ancora ansante e febbricitate, membra fresche e con tutte le ossa, mentre si dimenavano nella speranza di salvarsi. Non amavo la carne morta come tutti gli altri... Ma io non ero tutti gli altri.

Il battito cardiaco di quella cosina, pompava tutta la paura che possedeva in corpo, circolando nelle vene. Ne scorgevo la sottile ramificazione pulsante sotto l'incarnato esangue, arrossato sulle gote e la punta del naso. Sembrava...

Squisita.

Mi leccai le labbra con le punte della lingua biforcuta. Profumava di mele dolci e uva nera, una combo che ricordava il freddo abbraccio dell'autunno. Con tutta la galanteria concessami, mi chinai con eleganza e una delicatezza che non mi apparteneva, in modo tale da porle il palmo destro aperto, schiudendo le cinque dita con raffinata lentezza. Non sorridevo quasi mai e quando le ghignai, vivido di interesse e l'acquolina in bocca, percepii i muscoli facciali tirare un poco: «Possso...? È un piacere conoscerti. Mi chiamo Trissstan.» indicai la mancina lungo il suo fianco. Lei, sotto il flusso del mio sguardo - un incantesimo di morte -, pose la mano sulla mia, tremando come una foglia.

«T-Tu s-sei un ret... rettile...!» balbettò, sbiancando per lo shock.

Il mio sorriso si allargò e a quel punto le mormorai in tono suadente e roco: «Sì, mia fulgida creatura, il peggiore.». E senza aggiungere altro, le ruotai il polso e ne addentai la carne burrosa.

Savage // Vol. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora