Capitolo 3

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.3.

TRISTAN

Che rottura

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Che rottura. La cosina preferiva immolarsi alla tomba piuttosto che donarmi il contentino e supplicarmi. Bastarda.

Accovacciato su di lei, con le braccia penzolanti e una smorfia irritata a sfregiarmi la faccia, indagavo sul pallore della piccola erbivora mentre la morte la derubava degli ultimi rimasugli di vita rimastele. Le guance persero colorito in fretta e la respirazione, già ansante, incespicò più volte... Artigliato da un moto di stizza, imprecai nell'idioma carnivoro e irritato dalla sua cocciutaggine, affondai i canini nella pelle, fino a sfaldare il polso sanguinolento e lasciar gocciolare il plasma scarlatto all'interno della bocca della giovane rossa, stesa inerme sul pavimento. L'antidoto che le avrebbe salvato la vita.

In teoria.

Non avevo mai lasciato che qualcuno guarisse dal mio veleno, ma Seth, il mio Alfa, era stato chiaro a riguardo. Stanotte, mietere vittime fra i nostri nemici non era contemplato.

Peccato.

Fu allora che accadde qualcosa di strano. Qualcosa d'imprevedibile. La fanciulla spalancò gli occhi, di cui le iridi si confondevano con le pupille, senza neanche sbattere le palpebre. Occhi neri quanto l'ossidiana, voragini senza fondo in cui vi potevo solo precipitare dentro, mi puntarono, spiritati. Anche lei, in un certo senso, era ipnotica.

Carina per essere un misero roditore.

Prima che potessi trarre il braccio sinistro, ella lo afferrò con entrambe le mani, portandolo alla bocca e succhiandone avidamente la linfa vitale. Persi l'equilibrio, provando a strattonarlo via dalle sue grinfie, quando finalmente vi riuscii, ebbi modo di scontrarmi con un altro problema. «Hai un sapore delizioso...» blaterò appena, con voce melliflua e venata di lussuria. Nel suo sguardo scintille di bramosia e cupidigia riflessero un bisogno oscuro.

Ma non stava morendo?!

Le gote ripresero vitalità e la udii sospirare di goduria. Mi accigliai, alternando lo sguardo dalla mia ferita a lei, con scetticismo. Da quando il sangue possedeva un effetto afrodisiaco?! Ne assaggiai un poco con le punte della lingua biforcuta e ne degustai il sapore ferroso. Il mio sangue, alterato da diverse sperimentazioni genetiche, doveva essere anche un tonico assai particolare, supposi.

Alla faccia dell'antidoto...

La fanciulla aveva acquistato vigore in pochi minuti, sorprendendo persino me. La chioma fulva, dai riflessi accesi e vaporosa lungo le spalle, mi distrasse il tempo sufficiente per darle libertà di manovra. Prima che potessi allontanarmi, mi saltò addosso e affondò il viso nell'incavo del mio collo, strofinandoci il naso come se volesse dissetarsi del mio profumo. Faticavo a muovermi - il ché era tutto dire -, provando a scollarla di dosso e puntellarmi coi gomiti sul pavimento. «Persino il tuo odore è buono...» mugugnò, in trans, vittima delle controindicazioni al veleno.

Buono?! Ero io che volevo mangiarla!

Basito e a dir poco sconvolto, e non mi capitava mai, rimasi a bocca aperta. Le femmine, quelle della mia razza, non erano... coccolose ed espansive, e ancora meno lo dimostravano con me, visto i miei precedenti; ma lei... Lei lo divenne eccome. Soprattutto col mio corpo. Percepivo le sue piccole e bianche mani, ovunque: sul torace, nei capelli, e persino lungo gli addominali. Lottavo contro le sue dita, svelte e furbe, che minacciavano di sbottonarmi i pantaloni della divisa militare, per intrufolarvisi dentro: «Spogliati...» piagnucolò in seguito, riprendendo ad assaggiare il mio incarnato. Pregustava torturarmi nel più dolce dei modi. La situazione stava sfuggendo di mano ad entrambi... e persino l'odore del mio stesso plasma cominciava a far effetto su di me. L'avevo assaggiato credendo di esserne immune.

Che stupido.

Ad un tratto, mi ritrovai la lingua di quella cosina, in bocca. Altro che bacio da fiaba moderna... Era sesso. Puro atto carnale, concentrato in un impeto di brama proibita e desiderio represso. Bel modo di violare la sacra Legge Naturale e condannarci a morte. Sapeva di lussuria... e di mele dolci. I nostri battiti cardiaci si fusero in un unico suono tumultuoso. Chiusi gli occhi, perché la mia vista non era il massimo, e mi godetti il contatto - avrei avuto altre occasioni per divorarne la carne bianca -. Lasciai che mi accarezzasse dove più agognasse mentre sperimentavo qualcosa di nuovo. I baci, per i predatori non possedevano alcun linguaggio sentito, ma nessun contatto creava elettricità statica sottocutanea. Anche questo effetto doveva essere un'altra controindicazione, dovuta al mio sangue.

La mia preda affogava nel nostro bacio, beandosi di tutto quello che le concedevo, imbevendosi del mio respiro. In una manciata di minuti, allentai la presa sui suoi polsi e mi montò sopra. La lunga ed ampia veste blu, coprì in parte il mio busto mentre lei strusciava il pube sul mio. Non avrebbe dovuto eccitarmi al punto di abbandonare la testa all'indietro, esporre il pomo d'Adamo e lasciarla fare, lasciare che mi scopasse per il suo piacere. Il corpo, scosso da brividi e sussulti, divenne il suo strumento di godimento, stringendomi i fianchi con le ginocchia e risucchiando il membro esposto con la vulva viscida e viscosa. Curioso, non mi ero mai lasciato scopare da una femmina - una femmina erbivora, per giunta -... e non conoscevo nemmeno il suo nome.

***

Quando la frenesia cessò, la penombra ci avvolse come spire soffocanti. Affannata e sfatta, aggrappata alle mie spalle, la scoiattolina rossa, provava invano a ricomporsi: «Tu... Tu, cosa mi hai fatto?» chiese, allucinata e completamente fuori di sé, improvvisamente fin troppo lucida e conscia di ciò che avevamo fatto.

«Quello che tu hai fatto a me.» risposi, provando invano a regolarizzare il fiato. Anch'io non ero esattamente tranquillo.

Schifata dalle mie parole, si allontanò bruscamente da me. L'espressione scioccata e lacrimosa, impaurita mentre si stringeva le braccia al corpo e indietreggiava nell'angolo più oscuro del piccolo studio. «Sei un mostro...» gracchiò con voce strozzata e il tono rotto dal pianto. Mostro. Questa definizione ormai ce l'avevo appiccicata addosso. «Griderò tanto forte da svegliare tutta la villa...» strillò. E stavolta fui io a saltarle addosso, fulmineo, tappandole la bocca con la mancina e schiacciandola sul pavimento con tutto il mio peso, esercitando l'attrazione dei miei occhi. Terrorizzata, non poteva fare a meno di fissarmi.

«Osa a tal punto e potrei farti strisssciare come un verme, Cosina. Ti ho concesso la grazia perché tu mi hai servito le tue. Non dimenticarlo.» sinilai crudele, snudando i denti affilati, bianchi e perfetti. Lame taglienti che avrebbero potuto bucare la sua carnagione di burro.

E adesso come la mettiamo, Cosina?

E adesso come la mettiamo, Cosina?

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*Angolino dell'Autrice*

ERFRCOPMGREAAZZZCBNN!!!

RAGA... IO SCIOCCOBASITA. Ma che diavolo!!!

Savage // Vol. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora