.12.
GEMMA
Fu tutto inutile. Abbandonai l'ultimo rimasuglio di determinazione quando compresi che non sarei mai riuscita a scassinare la serratura in ferro battuto. La ruggine non aveva intaccato la toppa, tantomeno il marciume e l'umidità avevano allentato le assi di legno massiccio della porta. Non possedevo abbastanza forza bruta, e quel che peggio, mi mancavano energie per un ulteriore sforzo. Esausta, crollai al suolo, accasciandomi contro la parete granulosa, tremate e affaticata dagli sforzi compiuti. Inspirai avide boccate d'aria stantia, pregna di polvere e fuliggine. Spasmi involontari scuotevano le martoriate membra. Sembravano trascorse ore dalla prigionia forzata, e temetti che sarei stata rinchiusa in uno sgabuzzino fino alla fine dei miei giorni.
Il cuore galoppava. La gola si serrava. E il panico mi accecava. Mi abbandoneranno qui dentro, lo so. Nulla ti terrorizzava quanto il terrore stesso. Ed era lo stesso di tutte volte.
Proprio come voleva lei.
Fin da piccola, la mia sorellastra, Fiamma, mi rinchiudeva spesso e volentieri dentro l'armadio delle scope – un piccolo ripostiglio – solo per sentirmi gridare. Sapere che aveva un tale controllo su di me, la inebriava. Si divertiva in questo modo, lei. Era più grande e più forte, e le fu sempre facile soggiogarmi. Era subdola, spietata, e non sapeva mai quando fermarsi... Crescere non mitigò l'ansia e l'inquietudine indotta; la peggiorarono. Ed era per questo che volevo uscire disperatamente.
Esalai un respiro tremulo, tentando di calmarmi. Dovevo reagire, escogitare qualsiasi prodezza potesse aiutarmi a evadere, e formulare un piano di fuga a prova di carnivoro. L'oscurità mi bloccava quanto la claustrofobia, impedendomi l'uscita quanto la serratura bloccata. Mi umettai le labbra secche, screpolatesi a causa dalla mancanza d'acqua: «Fingi d'essere altrove, che sei libera, e stai bene...», pigolai con voce strozzata, «Sei al sicuro. Non hai cinque anni, nessuno non può farti del male, qui», ripresi incerta. Dovevo suggestionarmi per lenire il panico e riflettere sulle decisioni da prendere. «Andrà tutto per il meglio», singhiozzai infine.
Mi sentivo una vera idiota, impaurita dall'ombra e dai fantasmi. Quasi potevo udire la derisione di mia sorella: "Quanto sei patetica, Gemie".
«Castorina, sei tu?», udii una voce femminile assai familiare. Attutita dal legno, ne distinsi il tono ovattato: «Come hai fatto a chiuderti qui dentro?», domandò contro la porta. C'era dell'ironia nel suo quesito, ma non mi importava.
Scattai come una molla: «Hana?! Hana! Sì, ti prego, liberami! Ti prego liberami», gridai con tutto il fiato di cui fui capace, battendo sulla soglia come una forsennata. Se fossi stata scagionata, sarei stata ben felice d'essere chiamata castoro piuttosto che scoiattolo. O Gemie.
Il tintinnio di chiavi, e lo scatto metallico, furono musica per le mie orecchie. Il tenue spiraglio di luce mi accecò quanto un'esplosione abbagliante, inondando l'oscurità che mi avvolgeva. Strizzai le palpebre, proteggendo il volto con la mancina libera. «Wow, eri davvero disperata per chiedere aiuto a me», mi accolse la serpe. Intuii dell'ironia nel tono di voce.
«Grazie...», sussurrai, avanzando mal ferma sulle gambe. Occorsero diversi minuti prima che lo sguardo si abituasse al chiarore del giorno. Raccogliere le restanti energie fu quasi miracoloso.
«Aspetta a farlo», mi redarguì lei.
«Perché?», le rivolsi incerta.
La vista mi restituii un'immagine ombrosa e sfocata, che scuoteva il capo sdoppiato: «Fidati, non ti piacerà la risposta».
***
Silene c'era riuscita infine. Aveva trovato e salvato il suo Seth, l'alfa carnivoro. Io avevo perso il mio. L'unico protettore che potesse salvarmi dalle spire mortali del cobra.
La fioca luce del giorno confondeva la sera per la mattina, filtrando fra pesanti e minacciose nubi grigie. Presto avrebbe piovuto, allagando la foresta di lacrime celesti.
Sorvolai su ognuno con minuziosa attenzione, soffermandomi sul loro aspetto dismesso. Erano riuniti nella sala in decadenza, ridotti tutti male, ma con nessuna ferita a vista. «Dov'è Helia?», chiesi ai notturni radunati attorno al tavolo sgangherato del salotto, «Perché nessuno di voi mi risponde?!», ripresi urgentemente, zigzagando con lo sguardo sui volti stravolti, in cerca di risposte. Solo Laila, la pantera nera, se ne stava rannicchiata in un angolo. La testa incassata fra le ginocchia, e i lunghi capelli d'ebano a proteggerne la figura scarna. «È morto?», domandai al mio aguzzino; l'unico che avesse ricambiato senza rimorso.
«È probabile», annuì Tristan, «Ma non è sicuro», aggiunse pensieroso, rifugiandosi dietro alle lenti scure. «Dovrai infiltrarti fra la tua gente e rubare informazioni per me, scoprire se è vivo e quale sarà la loro prossima mossa», decise ad alta voce, informando anche gli altri della sua iniziativa.
Quasi stentavo a crederci. Avevo inteso bene? Gli afferrai l'avambraccio sinistro, nel panico: «Sei impazzito di colpo?», la mia bocca agì prima dell'istinto di sopravvivenza.
Tristan mi studiò per un tempo che parve infinito prima di dedicarmi un sorriso ricolmo di inquietudine: «Mia cara, non sono mai stato tanto serio».
Rabbrividii di timore, irritata da lui: «E cosa ti fa credere che io ti ubbidirò?».
Il predatore allungò una mano, scostandomi un lungo ricciolo dalla guancia destra. Il gesto cadenzato fu lento e gentile, ma sapevo bene che nascondeva una minaccia: «Il fatto che tu tenga alla tua vita, scoiattolina».
E la morte mi sussurrò all'orecchio.
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Savage // Vol. 3
RomanceVOL. 3 ⚠ ATTENZIONE ⚠ Prima di leggere le vicende contenute all'interno è consigliabile iniziare dal primo e dal secondo volume. "La rivolta dei ribelli" La trama la trovate all'interno. *** Beginning: 11/01/22 Non aspettatevi sanità mentale o app...