13. Giocare col fuoco

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Duecentosettantotto giorni prima.








Quella fottuta mattina, quando aprii gli occhi, mi resi subito conto di non essere nel mio maledetto appartamento. Dicembre era alle porte e una brezza gelida mi destò fastidiosa.
In un baleno realizzai tutta la notte appena trascorsa, il fottuto Zombie, l'attacco di panico di Kirishima, io con addosso il suo maledetto pigiama, e lui che dormiva beato al tepore della mia spalla stanca.

Merda.
Che cazzo ci faccio qui?

Poi mi tornarono alla mente anche le promesse fatte, e l'inesorabile fatto che avrei dovuto rimanere con lui.

Forse se la meritava, una stilla di serenità.

Avevo di meglio da fare?
Sì.
Mi interessava di quel cazzo di Rosso?
No.

Eppure rimasi.
Una mattina all'insegna di cornetti alla crema e fotografia potevo anche concedergliela.
Dopotutto, ero in fottuto debito con lui, e con il nascondiglio che mi aveva prestato per una cazzo di sera.

Non si era mai tirato indietro di fronte a me, alle mie richieste improvvise, alle mie rabbie, ai miei sbalzi d'umore.
Ed io ero un mostro maledetto, un fottuto insensibile del cazzo, rompevo tutto ciò che toccavo.
Ma Kirishima no.
Lui forse non volevo che si rompesse.

L'odiavo, per l'affetto incondizionato che mi regalava come un cazzo di Golden Retriever, senza nemmeno conoscermi, senza nemmeno realizzare quanto diamine facessi schifo.

L'avrebbe scoperto, prima o poi.
Ma in cuor mio forse, volevo provare per una volta a dare il meglio di me.

In un mondo che aveva visto soltanto il peggio, Eijiro si meritava il meglio.

Lo squadrai accigliato per qualche secondo.
Non mi ero mai accorto di quanto fosse bello.

Le sue mani grandi e ruvide tradivano il viso giovane e pieno di vita da eterno bambino.
Il naso dritto e gli zigomi alti, i capelli rossi che gli ricadevano disordinati sulla fronte.

Mi concessi il lusso di spostarglieli dietro l'orecchio appuntito, costellato da diversi orecchini che non avevo mai notato.

Chi cazzo ha osato farti del male?

Come diamine si può pensare di fartene?

Nemmeno io c'ero riuscito.
Io che toccavo le cose, e le guardavo compiaciuto mentre sfiorivano, mentre perdevano vita.

Chissà quanto male gli avrei fatto, se avesse scoperto che avevo sfracellato la macchina fotografica al suolo, che ero un fottuto animale cresciuto in cattività e che volevo soltanto vedere l'intero mondo esplodere e saltare in aria davanti ai miei occhi.

Ma io non glielo dissi.

Mi dipingeva come un artista, burbero e un po' sfacciato, Kirishima, ed io per un po' volli rinchiudermi in quello smaccato e vomitevole ritratto.

Per un po' volli credermi anche io qualcuno che evidentemente non ero.

Alcuni rumori esterni mi destarono dai miei pensieri.
Mantenni la calma fino a quando una voce di donna mi fece sobbalzare visivamente dalla cazzo di paura.

"Ehilà, Eiji! Siamo a casa!"

Oh cazzo.

I suoi maledetti genitori.

Il Rosso continuò beato a dormire ma era inesorabile arrivato il preciso momento di interrompere i suoi cazzo di sogni e di svignarsela da quel posto di merda.

Taxi Cab - Kiribaku/BakushimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora