9. Profumo d'Autunno

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Trecentoventuno giorni prima



Quando mi alzai, quella merdosissima mattina, mi dimenticai per un attimo della fottuta presenza di Kirishima in quello che era il mio appartamento striminzito.

Non mi capacitai del motivo per il quale gli avessi concesso un simile lusso.

Forse perché mi serviva in forma, quella testa di merda, in vista della gara.

Certo era però che il mio cazzo di cervello aveva già deciso di fargli rimettere le chiappe sulla moto, in un modo o nell'altro, vivo o morto che fosse.

Quando uscii a passo spedito dalla mia camera, lo vidi.
Era lì, sul mio divano, rannicchiato come un bambino, ed immerso in un sonno profondo.
La sua sveglia stava suonando, a pochi metri da lui, ma parve non sentirla.

Era rimasto per tre giorni di fila completamente insonne.
Più andavo avanti e più mi rendevo conto che quel ragazzo ci si sarebbe pulito il culo, con la propria salute.
Aveva riguardo nei confronti di tutti, e mai di sé stesso.

E proprio in quel momento mi resi conto che ci eravamo già spinti troppo oltre, e che forse la compagnia di quella testa calda non mi disgustava poi così tanto.

Così solare, così fastidioso.
Eppure sapeva rimanere al suo posto, sapeva quanto spazio occupare, e non domandava in più nemmeno un maledetto centimetro.

A me andava bene così.

E forse non mi era mai andato a genio nessuno in quel preciso modo, quasi geometrico, matematico, impossibile da contestare.

"Capelli di Merda." ringhiai acido, spegnendo la sveglia del suo smartphone ed avvicinandomi al divano.
Soltanto in quel momento mi accorsi del suo display.
Un numero non salvato in rubrica gli aveva lasciato ben 53 messaggi, che non osai sbirciare nemmeno dall'anteprima.

Forse era proprio quel numero, il motivo della sua insonnia.
A me però non fregava un emerito cazzo.

"Oi, Capelli di merda".

Niente.

"Kirishima, se mi fai arrivare in ritardo ti spacco la faccia, te lo giuro sulla mia fottutissima moto".

Ancora niente.

"PORCA TROIA, CAPELLI DI MERDA, TI ALZI SÌ O SÌ?"

Silenzio totale.

L'istinto iniziale fu quello di strattonarlo giù dal mio divano nel modo più doloroso e violento possibile.
Mentirei se dicessi di non aver provato a farlo.

A un fottuto millimetro dalla maglia del suo pigiama, in realtà mio pure quello, mi bloccai titubante, proprio come un perfetto coglione codardo.

Tre giorni, Katsuki.

Non ha dormito per tre giorni.

Osservai con attenzione la cicatrice che gli attraversava la palpebra, mentre mi sedetti leggero accanto al suo corpo rannicchiato, immerso nel sonno più profondo.

Respirava lentamente ed io non riuscii in nessun cazzo di modo a fargli del male.
Nemmeno se ero in ritardo.
Nemmeno se avremmo corso per raggiungere la fottuta Università.

Tra tutte le persone al mondo, forse soltanto lui, quella maledetta testa rossa, non meritava dolore.

Pulito, intonso, rivestito di viscida e quasi patetica innocenza. Avrebbe mai saputo ferire qualcuno?

"Dai, razza di idiota, non farmi incazzare." sussurrai lasciando cadere le mie dita sulla sua spalla e serrando la presa con delicatezza.

Non è che è morto?

Taxi Cab - Kiribaku/BakushimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora