9. Wake up

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"Non le abbiamo detto nulla, proprio come volevi" disse Jaina.

"Non credo che dopo quello che mi ha detto abbia chiesto di me, ma grazie comunque ragazze!" dissi mentre richiudevo la valigia.

"In realtà ha chiesto eccome e stamattina le ho detto che ieri sera sono passata da casa tua per sapere come stessi e che ho trovato tutto chiuso come quando parti per l'Italia. La sua faccia non rispecchiava affatto la serenità che dice di aver ritrovato." disse Barrett chiedendo conferma da parte della latina, che non tardò ad arrivare.

"Ragazze, io lo so che voi due, più dei fan delle Marina, vorreste vederci sposate e con figli, ma è stata molto chiara l'ultima volta, quindi..." feci spallucce.

Parlammo un altro po', poi chiusi la chiamata e raggiunsi l'auto per iniziare il viaggio di ritorno verso Los Angeles.
In quei giorni avevo percorso quasi tutta la west coast, arrivando a Seattle, passando per San Francisco, Portland, Sacramento e Tacoma. Ero da sempre innamorata di quel Paese, d'altro canto quasi tutti siamo cresciuti col mito del sogno americano. Al mio arrivo negli US, peró, le mie aspettative furono completamente infrante: scoprii che tutte le storie fantastiche che ci rifilavano sull'America erano, appunto, solo storie, ma conoscere il vero stile di vita statunitense non fece altro che accrescere l'amore che già provavo.
A causa dei mille impegni lavorativi non ero mai stata in grado di visitare il Paese più di tanto, ma durante quella settimana avevo sicuramente visto più cose di quante ne avevo viste da quando mi ero trasferita.
Staccarmi dal resto del mondo era sempre stata una soluzione per me, fin da bambina, quando trascorrevo giornate intere in spiaggia, anche d'inverno, ad osservare come le onde del mare si infrangevano sul bagnasciuga, a farmi accarezzare da quella dolce brezza che pareva portarsi via ogni mio problema; la natura era sempre riuscita a farmi riconnettere alla vita, proprio come quella volta.
Lungo il tragitto verso la città degli angeli avevo deciso di percorrere la strada panoramica, per permettermi ancora un ultimo incontro con quegli splendidi paesaggi, prima di tornare ai soliti palazzoni di cemento. Il viaggio sarebbe durato un bel po', così collegai il mio telefono allo stereo dell'auto e feci partire la mia playlist italiana.
Mancava circa un'ora al mio arrivo e ormai il sole era tramontato da un po'; procedevo a velocità spedita, leggermente superiore al limite consentito, ma avevo fretta di tornare a casa e farmi una bella doccia.

Ero finalmente arrivata in città, mi fermai ad un McDrive per prendere un panino ed una porzione di patatine, visto che si era fatta ora di cena; una volta uscita dall'area del McDonald's mi fermai ad un semaforo rosso e ne approfittai per inviare un messaggio a Jaina dicendole che di lì a poco sarei passata a riprendermi Jeff. Non ebbi nemmeno il tempo di schiacciare sul pulsante per inviarlo che l'auto dietro di me iniziò a suonare il clacson, segno che il verde era ormai scattato.

"Dio mio, perché mi lamentavo degli italiani alla guida?" dissi a voce alta guardando nello specchietto retrovisore.

Avevo appena impiegato l'incrocio, quando sentii un clacson provenire dalla mia sinistra, mi girai d'istinto e vidi due fari avvicinarsi ad alta velocità, poi la macchina fu sbalzata via, ed io con essa.
Di tanto in tanto riuscivo ad aprire gli occhi, ma il forte dolore alla testa mi obbligava a chiuderli pochi secondi dopo. Avrei voluto muovermi, cercare di uscire, ma l'intero corpo mi faceva un male cane; sentivo le urla della gente tutta intorno, poi ci fu il buio.
Quando riuscii a riprendere conoscenza vidi il viso della bionda davanti ai miei occhi, era vestita da vigile del fuoco, ma sembrava così diversa.

"Danielle, che ci fai qui?" chiesi con una voce flebile, cercando di accarezzarle la guancia con una mano.

"Mi hai chiamata Danielle?" mi chiese sconvolta.

Credevo stessimo girando e che l'avessi appena chiamata col suo vero nome, invece di chiamarla Maya; volevo scusarmi, ma la voce non riusciva ad uscirmi, la mia vista stava diventando sempre più opaca, facevo fatica anche a respirare e in un secondo tornò di nuovo il buio.

7 GIORNI DOPO

"Perchè non si è ancora svegliata?" chiesero Jaina e Barrett in coro.

"Ha subito un gravissimo trauma cranico che le ha portato un'emorragia che stiamo cercando di far riassorbire, il corpo ha bisogno di tempo per riprendersi." una voce maschile che non conoscevo aveva risposto.

"E ci sono probabilità che riporti qualche disabilità, qualche danno permanente?" quella voce l'avrei riconosciuta tra mille, era Danielle.

"Signorina Savre, questo potremo accertarlo solo se e quando si dovesse risvegliare e nel caso contrario lei, in quanto contatto di emergenza, deciderà cosa fare...non posso dirle altro. Ora scusatemi, ma devo andare." la stessa voce maschile di prima aveva risposto di nuovo.

Avrei voluto urlare loro di stare zitti, che la testa mi stava per scoppiare, ma non riuscivo ad emettere suoni, nè tantomeno ad aprire gli occhi.

"Non sarò io ad ucciderla." disse la bionda dopo che la porta fu chiusa.

"Il suo contatto d'emergenza era la mamma ed è morta, la seconda persona sulla lista sei tu, ma vedrai che non ce ne sarà bisogno." rispose la latina.

"Ehi, stai tranquilla. Respira autonomamente e già è un buon segno!" aggiunse Barrett.

"La famiglia cosa dice?" chiese Jaina.

"Che Stefania ha sempre amato la libertà e non sopporterebbe di essere attaccata ad una macchina, quindi se dovesse arrivare il momento sono favorevoli a lasciarla andare..." la bionda fece un lungo respiro profondo.
"Ragazze, andate pure a casa, resto io con lei stanotte. Vi avviserò se dovesse cambiare qualcosa." aggiunse.

Dopo che si furono salutate sentii solo silenzio, poi il rumore di un pianto riempí la stanza e sentii qualcuno avvicinarsi.

"Io lo so che puoi sentirmi, l'ho letto su qualche stupida rivista e lo sai che a queste cose non ci ho mai creduto, ma stavolta ci crederò perchè ho bisogno di credere in qualcosa, ho bisogno di credere che andrà tutto bene." era la bionda, aveva stretto la mia mano.
"Devi svegliarti perché ho bisogno di te, non riuscirei mai più a vivere la mia vita normalmente. Tu mi rendi coraggiosa, mi incoraggi sempre a fare meglio, mi rendi una persona migliore." la sua voce era completamente rotta dal pianto.
"L'ultima cosa che ti ho detto è stata che non potevamo più essere amiche e l'ho fatto perché ero troppo spaventata da quello che provavo. Ho trascorso l'ultimo anno ad allontanarti, ma il bisogno di te era troppo grande per riuscire a stare lontane a lungo.
Mi dispiace aver perso così tanto tempo e mi dispiace averti fatta soffrire. Tu non puoi morire, Stefania.  Mi hai sentita? Tu non puoi morire, devi svegliarti!" la sentivo sempre più vicina, fino a quando non mi lasció un bacio sulla fronte, accarezzandomi i capelli per poi stringere di nuovo la mia mano.

Avrei tanto voluto aprire gli occhi e dirle che doveva stare tranquilla, che la perdonavo, perché a lei avrei perdonato tutto, per quanto fosse adorabile.
Avrei voluto voluto abbracciarla ed asciugarle le lacrime, ripetendole che, nonostante tutto, era bellissima.
Avrei voluto sentire ancora una volta quel suo profumo così delicato, baciarla ancora una volta, perdermi nei suoi occhi e dormire strette per poi svegliarmi con il braccio in cancrena per avere ignoranto completamente l'idea di lasciarla andare.
Avrei voluto stringergliela quella mano, per farle capire che io c'ero, che stavo lottando per lei, per tornare da lei, ma mi sentivo così stanca e non riuscivo ad avere il controllo su nessuna parte del mio corpo.

Stefanielle - The first time ever I saw your faceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora