14. 3 dicembre 2039

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3 dicembre 2039

Il primo risveglio in ospedale è un pugno nello stomaco. Manuel cerca tra le pareti bianche qualcosa di lontanamente familiare al beige che colora camera sua, nelle tende quasi trasparenti non trova nessun richiamo alle fantasie stravaganti comprate al mercatino dell'usato, tra il vocio in corridoio non riconosce la felicità del figlio nel vedere una tazza di latte e cacao.

Uno schiaffo dalla realtà in pieno viso, un urlo soffocato ad affermargli che lui è lì.

«Buongiorno Ferro, come si sente stamattina?» e nemmeno in quella voce c'è più un senso di casa, un amore sussurrato, un riccio tra le risate, un briciolo di conforto. C'è invece l'austerità di un camice, una domanda consuetudinaria, niente che appartenga più a loro.

A spingerlo nell'angoscia forse è stato il ritorno di una sudorazione ingestibile, la stanchezza prepotente e il fiato corto, ma Manuel si sente un palazzo in crollo tra una folla di cechi. Quando arriverà Jacopo ricostruirà tutti i mattoni con estrema fatica, affinché non si accorga di nulla. Davanti a lui non esistono concessioni al male.

«Non ho chiuso occhio, adesso mi sento meglio.» non riesce a ricambiare il buongiorno, non per mancanza di volontà ma perché non ne ha le forze. Simone invece non riconosce in Manuel lo stesso Manuel, sembra invecchiato di dieci anni in una sola notte.

«Che hai...che ha avuto?» si chiede se riuscirà mai a rendere spontanea questa forzatura, se il cervello smetterà di subire interferenze nel lucido intento di trasformare i limiti in normalità «non hai bisogno di correggerti, in questa stanza ci siamo solo io e te.» a quell'errore di distrazione Manuel ci si è aggrappato anche se sa che è profondamente sbagliato, ma Simone non contraccambia, aspetta silente la risposta alla prima domanda.

«Ho sudato tanto ed è come dovessi faticare per respirà, forse è perché  sono stanco.» Simone lo visita, tasta le parti del suo corpo da due giorni con la speranza che da esso non fuoriesca altro che pelle «questo lo lasci capire a me, sono io il dottore.» controlla tutto, non lascia niente al caso come fa con tutti e un po' di più «non è solo stanchezza, è anche febbre, a trentotto e mezzo ma la facciamo scendere.» sono questi sintomi che gli ha spiegato sono comparsi più di un mese fa e persistono che confermano, anche se non vorrebbe, quell'ipotesi di diagnosi che da tre giorni non gli lascia pace.

«La biopsia è stata fissata per domani, vuole che le rispieghi il procedimento?» Simone in parte ci spera, vorrebbe inchiodarsi in quella stanza, Manuel invece non vuol più sentirne parlare «no, ho capito tutto Sim...dottore.»

«Tranquillo, riposa un po' prima che arrivi Jacopo.» 

                                                                                                                                                                         10 agosto 2025

È la notte in cui cadono le stelle, Manuel ha portato Simone al mare per non perdersi neppure un desiderio da esprimere. A proteggersi dai sassolini pungenti i loro corpi come cuscini, tra mani insaziabili di carezze e una coperta troppo striminzita per due.

I desideri li esprimono ad alta voce, che tanto loro sono due parti mancanti in un intero, Manuel ne ammira una volare e sussurra più una richiesta nascosta che un desiderio «non partire più.» Simone incastra il viso nel suo collo, come ad accogliere la vulnerabilità di entrambi e nasconderla al mondo «se solo potessi non partirei mai.»

«Allora partiamo insieme.» i loro occhi si perdono nel blu e tra i loro «e dove andiamo?» un po' si perdono nella fantasia «in un posto dove fa sempre caldo.» ed è come se la condividessero, come se le immagini di quel futuro idealizzato le stessero guardando insieme proiettate in cielo «per passare tutte le notti al mare.» fermi in eterno lì ma ovunque «e le mattine e i pomeriggi?»

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