12. 5 dicembre 2039

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5 dicembre 2039

Simone per sei anni ha percorso il giardino della sua vecchia casa tentando di mantenere la mente occupata, con gli occhi bassi, senza dirigere mai lo sguardo altrove, per non perdersi nel passato e lasciarsi inghiottire da una paralizzante malinconia.

Ha evitato la piscina abbandonata spettatrice dei primi scambi intimi delle loro anime, il prato disordinato e calpestato per le lunghe corse affannose alla ricerca di un abbraccio, i tronchi di alberi sempreverdi pronti a nascondere i loro baci rubati, i residui di coriandoli delle feste a sorpresa in cui la sorpresa era solo il loro rincontro, quei ti amo intrappolati nell'essenza di ogni cosa.

Oggi lo percorre in maniera diversa, non ha bisogno di distrarre la mente, il suo pensiero fisso è costituito da un bambino che porta lo stesso nome di suo fratello e crede che lui sia un supereroe.

«Buongiorno figlio, non dovresti essere in ospedale?» Dante è assorto nel giardinaggio, lo ha riconosciuto dal rumore dei suoi passi «Oggi giorno libero, poi non è che passo tutta la mia vita in ospedale.»

Simone usa un tono di cinismo, non riesce a mascherare il rancore che prova nei confronti del padre. Non ha mai sopportato la sua propensione al non farsi gli affari propri perché ha condotto puntualmente ad effetti contrari, come nel caso di Manuel a cui ha arrecato un dolore in più da digerire.

Ed è per questo che si trova lì, per aggiustare il danno, ha trovato il modo, o almeno spera.
La sera precedente gli aveva promesso che lo avrebbero fatto insieme, ma non vuole sovraccaricarlo, vuole alleggerirlo.

Vuole riuscirci e vedere un pizzico di felicità insinuarsi nuovamente in lui.

«Jacopo è sveglio?» Dante è folgorato da questa domanda, fino a cinque giorni prima avrebbe dovuto avvisarlo della loro presenza in casa per non causare un incontro indesiderato mentre adesso chiede di lui.

È lì esclusivamente per lui.
«Sta facendo colazione in salotto, ma ti avviso, ha passato la notte a piangere e non vuole parlare con nessuno.»

A Simone scappa un sorriso involontario, gli ricorda lui «Papà, è figlio di Manuel, quando si chiudono a riccio è difficile avvicinarsi.» ma io so esattamente come fare, l'ho imparato tutti i giorni per dieci anni.
Ecco come vorrebbe proseguire però preferisce trattenere le parole in gola, lo precede Dante «Allora chi meglio di te può provare a farlo parlare un po'.»

Jacopo è seduto da solo in un grande tavolo familiare, è accovacciato su una ciotola di latte e cacao da cui fanno capolino i ricci spettinati e il muso sporco di cioccolato. Simone si avvicina lentamente, come se dal corpo di quel bambino potessero drizzarsi aghi pungenti se soltanto muovesse uno scatto leggermente più rapido.

Non perché tema di ferirsi ma perché teme invece di ferirlo.

Gli appare come l'essere più fragile che esista al mondo e al tempo stesso il più prezioso, da maneggiare con estrema delicatezza per quanto bello.

«È occupata questa?» Simone trascina la sedia di fianco a lui, inizia con l'ironia spicciola per riuscire a strappargli quantomeno un flebile sì ma Jacopo annuisce e basta.

Intanto però distoglie l'attenzione dalla tazza e la canalizza su di lui, lo lascia entrare in quelle pagine di emozioni stropicciate che solo suo padre riesce a decriptare.

«Fette biscottate con la nutella? Hai buon gusto.» Jacopo riprende ad inzuppare la sua fetta nel latte, vorrebbe rimanere indifferente, ma gli ritorna galla, seppur voglia scacciarla, la voce del padre a spiegargli che bisogna essere sempre gentili ed offrire ciò che si ha «Ne vuoi una?»

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