11. 6 dicembre 2039

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6 dicembre 2039

«Sicurezza! C'è un intruso in psichiatria. Riportatelo in oncologia, per piacere.»

Alex lo ha inteso dall'andamento e dalla postura che per Simone è una di quelle giornate buie, che ultimamente diradate, negli anni precedenti si erano protratte costituendo una tormentata quotidianità.

Occupa taciturno la sedia davanti a lui, come a dire armati di scalpello e scomponi con forza quest'ombra solida che è calata su di me. Ancora una volta.

«Okay la battuta non ha funzionato, passiamo alla formalità. Cosa la affligge Dottor Balestra?» ci riprova nonostante l'impassibilità, anche se nello scherzo c'è sostegno «te la ricordi la sera in cui ha impacchettato tutto ed è andato via?» esordisce con una domanda scardinata con difficoltà dalla memoria.

«Mi ricordo la corsa dopo il turno per raggiungerti.» gli aveva mandato un messaggio, un grido d'aiuto celato a cui aveva risposto precipitandosi da lui.

Non perché si fosse schierato da una parte piuttosto che dall'altra.

Voleva bene ad entrambi da quando Simone gli aveva chiesto una mano per il test di medicina e Manuel puntualmente si presentava ai loro incontri per calmare una gelosia infondata che velocemente era svanita, lasciando spazio all'affetto.

Piuttosto aveva deciso di concedere particolare attenzione a chi ne era uscito maggiormente leso dei due.

E Simone ne era uscito dilaniato.

«Pochi giorni prima di quella sera avevamo litigato. Nella casa nuova ci eravamo trasferiti solo da qualche mese ma lui aveva preteso di portarsi dietro tutto da Bologna ed era piena, talmente piena che urtavo in continuazione contro qualcosa. Gli avevo chiesto di sbarazzarsi di quell'orribile pouf che occupava metà salotto e almeno uno spazio vuoto» prende fiato e coraggio «e dopo pochi giorni ero seduto a terra, con la schiena poggiata contro il muro, a guardare il vuoto che aveva lasciato attorno a me, l'unica cosa che volevo, era che quell'orribile pouf ritornasse li dov'era.»

«Perché non gli hai chiesto di riportarlo li dov'era, di ritornare?» anche se lo sa bene osa per farlo sfogare «perché in quella casa vuota, nonostante volessi con tutto me stesso che ritornasse piena, aveva lasciato una voce a rimbalzare tra le pareti spoglie» gesticola per arrestare il crollo «e quella voce mi diceva che lui dopo averli distrutti, stava ricostruendo i nostri sogni con lei.»

«E tu ti senti come quella sera?» scuote la testa «no, lui ieri mi ha baciato e da quel momento io mi sento come quella casa vuota» esplica una metafora contorta «per quanto vorrei che le cose tornassero al loro posto, per quanto vorrei sentirmi di nuovo pieno, c'è sempre quella voce a rimbalzare tra le pareti spoglie. Quella voce mi ricorda il dolore che ho provato quando lui li ha ricostruiti con lei, i nostri sogni. E io quel dolore non lo voglio più provare.»

Alex non gli chiede spiegazioni su bacio, non vuole infierire e non è ciò che gli interessa «Simone, tu questa voce vuoi ascoltarla o zittirla?» un quesito necessario che riassume un lungo discorso «io devo ascoltarla, perché ascoltarla vuol dire prendere le distanze da lui ed è ciò che serve. Devo restare lucido e questa situazione non me lo permette» guarda il soffitto in cerca di conforto, lo trova quando poggia i suoi occhi su quelli dell'amico «Alex, io ho la sua vita tra le mani e non posso sbagliare. È l'unica cosa che conta.»





11 gennaio 2028

Le vacanze natalizie sono finite sancendo l'inizio della sessione invernale. Manuel e Simone sono tornati a casa, a Bologna, ma qualcosa tra loro si è rotto.

Ad accorgersene è Manuel.

Simone parla a stento e quando deve, è per la maggior parte del tempo fuori, non lo accoglie quando rientra da lavoro, non siede accanto a lui mentre cucina, non gli racconta delle sue giornate, lo evita, a fatica ricambia un bacio, neppure ricorda quando hanno fatto l'amore l'ultima volta.

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