Eliminazione.

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Era finito.
Era finito tutto.

Era finito lì il mio percorso ad amici, a causa di un infortunio che mi aveva tolto la possibilitá di continuare a ballare.

Non provavo abbia, non provavo rancore: doveva andare così e in parte era anche giusto: ero fermo da un mese e sentivo di star togliendo la possibilitá a chi invece avrebbe potuto realizzare, quest'anno, il proprio sogno.

Occupavo un posto in più, occupavo un letto in più, consumavo un piatto in più, ma la sala da ballo non la sfruttav, così come non sfruttavo i minuti che mi sarebbero spettati all'interno del programma e così come non sfruttavo la visibilitá che avrei potuto avere.

La caviglia faceva ancora male, ma ormai quello era passato in secondo piano.

Mi faceva male il petto, e sentivo come se il mio cuore si fosse spezzato appena mi erano state dette quelle parole.

Dovevo tornare a casa, e lo avrei fatto.

Ma avevo paura.

Non avevo paura del ballo, perché sarei guarito e io sapevo di poterlo fare; sapevo di poter dare tanto al mondo della danza e sapevo di avere quelle capacitá che in primis Raimondo aveva visto in me.

Sapevo che avrei potuto ricominciare, fra due mesi o tre.

Sapevo che avrei potuto.

Molti mi avevano detto di non demordere, senza capire.

Molti mi avevano detto che sarebbe andato tutto bene, ma non capivano.

Molti mi avevano detto che sarei potuto tornare a settembre, ma non avevano capito.

Non l'avevano mai fatto, a dir la verità.

Avevo vissuto tutta la mia vita a sentirmi poco capito dalle persone intorno a me. Mi ero sempre chiesto se fosse per il mio modo di parlare, per il mio modo di esprimermi, per il fatto che quando dovrei parlare preferisco stare in silenzio perché preferisco il mio silenzio alle mie parole, e non ho mai trovato risposte.

Mi ero chiesto se gli altri non mi capissero perché penso cento volte alle cose prime di dirle, e forse così facendo non mi rendo conto di quanto il tempo passi e di quanto la cosa che volevo dire, diventi così fuoriluogo.

Fuoriluogo.

Mi sentivo costantemente fuoriluogo.

Come se stessi in un posto in cui non sarei dovuto stare, circondato da persone che non mi vedevano né mi parlavano perchè anche quando lo facevano, non lo facevano mai per davvero.

Mi sentivo costantemente come se non dovessi essere dove ero, e a volte mi sembrava che la realtá che stavo vivendo fosse fatta di plastica, o che peggio ancora, io la vedessi da una copertura in plastica.

Mi sentivo distante, sconnesso, mi sentivo sbagliato e piccolo davanti alle mille cose che sarebbero potute accadere e a quelle che già erano successe, perché sentivo il cuore pesarmi e le ginocchia mi tremavano.

Volevo scappare via e andarmene da questo posto, perché sentivo le guance rosse dall'imbarazzo di essere in un posto che non mi voleva e avevo paura di cosa sarebbe successo fuori.

Volevo scappare perché non sapevo se sarei riuscito a reggere i commenti di chi avrebbe parlato, di chi mi avrebbe puntato il dito contro e non sapevo nemmeno se avrei saputo reggere quelli che invece mi avrebbero dato una pacca sulla spalla e mi avrebbero detto che sono stato bravo.

Avevo voglia di piangere al solo pensiero, ma non mi rendevo conto che lo stavo già facendo.

Non riescivo a reggere la situazione.

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