Nel riflesso di quel cervo che, distrattamente, aveva incontrato i miei occhi, rividi tutto quello che fino ad allora avevo perso, senza neanche accorgermene.
Il suo sguardo nobile, la sua postura fiera, non avevano la benché minima idea di piegarsi al destino che l'uomo aveva in mente di segnare. Nei suoi occhi c'era l'atteggiamento di chi sa che da un istante all'altro può essere privato della vita, ma allo stesso tempo è grato per ciò che la vita stessa gli ha dato fino a quel momento: la libertà.
Libertà di scegliere come vivere, libertà di non provare terrore, o anche provarlo. Libertà di essere ciò che la sua natura voleva che fosse.
Furono attimi brevissimi, forse millesimi di secondo, ma non abbastanza corti da evitarmi di provare una sensazione di inferiorità, di invidia.
Bisognava essere davvero disperati per sentirsi invidiosi di un animale che stava per diventare il trofeo di un qualsiasi cacciatore,pensai, poco prima di essere richiamata alla realtà da un tonfo, che, per la fortuna di quel cervo, servì anche a deviare quella mira perfetta, che ormai avrebbe dovuto segnare l'ultima pagina del suo destino.Probabilmente, quel cervo aveva ancora storia da aggiungere alla sua esistenza. Anni, mesi, giorni o attimi, non era rilevante quanto, perché aveva persino avuto il dono di salvarsi ancora una volta e dallo scatto che fece per allontanarsi, mi sembrò esserne pienamente cosciente.
-"Ma si rende conto di ciò che ha fatto? L'ha distratta!" urlò furioso mio padre, rivolgendosi a Rodolf, che non solo aveva osato avvicinarsi troppo alla collinetta su cui eravamo appostati, ma aveva anche lasciato cadere a terra il fodero con le frecce da caccia, quelle che papà di volta in volta sceglieva di usare in base all'occasione che gli si presentava davanti.
-"Sei un inetto. Un essere inutile per il quale ho avuto fin troppa compassione"- aggiunse con disprezzo, guardando negli occhi quell'uomo che non ebbe neanche il coraggio di proferire parola.
Quelle frasi mi sfioravano ed irritavano i timpani, come sempre. Avevo un'allergia per i toni bruschi, specialmente quelli di mio padre.
Gli volevo bene, sapevo che anche lui era vittima di un sistema di cui era prigioniero tanto quanto me.
A volte ero persino d'accordo con lui, ma non ne condividevo mai i modi. Tutto qui.Mio padre continuò a sbraitare per un bel po', ma la sua voce diventò sempre più ovattata per me che ero ancora lì, distesa tra i cespugli, a guardare il vuoto lasciato da quel cervo che mi aveva insegnato molto.
Per quanto odiassi la caccia, l'avevo risparmiato per puro caso.
Nonostante fosse per me disgustoso porre fine ad una vita, l'avrei fatto senza dubbio.
E il perché, stava nel fatto che ero esausta.-" Sono ormai due anni che ci provi e se continui così non ci riuscirai mai. Ogni volta è la stessa storia " sbottò rivolgendosi verso di me questa volta, dopo aver dato un calcio al sasso che sfortunatamente gli era capitato davanti.
Sentivo il suo disprezzo pervadermi. Ed era un disprezzo molto più sottile ed affilato, rispetto a quello che poco prima aveva esternato verso Rodolf. Un disprezzo penetrante, perché se Rodolf era uno dei tanti uomini qualsiasi di cui poteva servirsi e disfarsi a piacimento, io ero sua figlia.
La sua unica figlia. La sua punta di diamante.Mi tirò su per un braccio, facendomi capire che ormai avevo perso un'altra occasione e che era ora di tornare a casa.
Scossi i pantaloni a livello delle ginocchia, così da spolverarli un po', ed in silenzio, come avevo deciso di fare ultimamente, mi misi a camminare seguendo loro due che procedevano l'uno a passo spedito e nervoso e l'altro a passo rapido, ma timoroso.
Osservavo mio padre da dietro e mi sembrava di leggerne i pensieri. Era come se fossi certa di ciò che gli stava passando per la testa. Chissà quante volte fino ad allora si era chiesto il perché di una figlia come me. Come aveva fatto lui a mettere al mondo una figlia così?!
Non ero stata una figlia facile e sicuramente non ero la figlia che desiderava.