Prologo - Anno sabbatico

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[Disclaimer/trigger warning:
IMPORTANTE

Questa storia è nata in maniera un po' casuale e inaspettata tramite il mio CC, pensavo non potesse mai interessare una trama simile, ma, a quanto pare, mi sbagliavo.
Le tematiche trattate sono delicate. Si parla di:
- malattia
- riflessioni su vita/morte
- riferimenti/pensieri sul su1cidio
Se siete sensibili a questi argomenti, se vi fanno stare male, non andate oltre, per favore.
Una storia deve essere letta se vi fa emozionare, piangere o commuovere, ma non deve farvi stare male.
Se, invece, riuscite a leggere riguardo a queste cose, allora spero vi piaccia quanto ho racchiuso in queste parole e che vi arrivi un briciolo di ciò che ho provato scrivendole.
Ricordo che i personaggi in questione NON sono reali.

La storia è ambientata anni dopo il liceo.
Alcuni particolari sono presi direttamente dalla serie Un Professore, altri adattati per esigenze della storia.

Il messaggio che vuole passare è anche di speranza, di amicizia, di famiglia e, soprattutto, d'amore.

Alcune scene che troverete sono ispirate a When you're gone, storia di altro fandom scritta con un'amica nel 2017/18]



**


La sveglia di Manuel, quella mattina, non suona.

Ed è strano, perché la sera prima l'ha controllata mille volte - come fa sempre - per assicurarsi che il suo trillo lo desti alle 6:45 precise.

Solo che adesso sono le 7:15 e lui ha appena aperto gli occhi. Un briciolo va in panico perché è tardi e poi perché, tastando l'altra parte del letto, la trova vuota.

«Cazzo» esclama, scattando fuori dalle coperte con un balzo. È pure scalzo e il pavimento è gelido sotto i piedi, ma in quel momento non gli importa.

«Cazzo, cazzo, cazzo» borbotta, mentre abbandona la stanza. L'intera casa - la dépendance accanto alla villetta della famiglia Balestra, rimessa a nuovo per essere un appartamento abitabile - è poco illuminata poiché il sole, seppur sorto, è coperto da spesse nuvole, quindi ogni cosa è immersa nella parziale oscurità.

«Simó?» richiama Manuel, giungendo in cucina e accendendo la luce. È forse l'ambiente più grande là dentro, difatti, oltre al piano cottura, lavandino, frigo e tavolo con sedie, hanno ricavato un angolo dove hanno piazzato un divano rosso a tre posti, che fa da salotto.

Nulla, comunque, l'altro ragazzo non è neppure lì.

Mo dove cazzo è andato, pensa Manuel e posa le mani sui fianchi, giusto per riprendere fiato perché si sta agitando, sta dando di matto e non gli conviene molto farsi venire un infarto proprio quella mattina.

Sta per tornare in camera per recuperare il proprio cellulare e chiamarlo, a Simone. Tuttavia, prima che possa effettivamente muoversi, il rumore della porta d'ingresso che viene aperta richiama la propria attenzione e lo fa fermare.

È qualche secondo dopo che vede il compagno fare la sua entrata in cucina; ha addosso un pantalone di tuta nero, una t-shirt bordeaux attillata e la fronte imperlata di sudore.

Manuel sgrana gli occhi. «Ma dove cazzo eri?» esclama, cercando di non usare un tono troppo brusco - anche se è arrabbiato e la propria espressione un po' lo tradisce.

Simone gli lancia un'occhiata distratta e si dirige verso il frigorifero, che è grande, blu e con attaccate almeno venti calamite di posti diversi in giro per il mondo, di quei viaggi che, in parte, hanno fatto negli ultimi anni – davvero pochi, la maggioranza sono sogni nel cassetto di mete future.

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