«Manuel? Puoi venire se vuoi».
La voce dell' infermiera gli giunge alle orecchie con leggero ritardo. Non che non stia ascoltando, anzi, è fin troppo attento. Il punto è che ha trattenuto talmente tanta ansia e angoscia per giorni che adesso ne é paralizzato.
È cominciato dalla mattina in cui i medici hanno annunciato venerdì proviamo a metterlo in piedi.
Ovviamente, il soggetto della frase era Simone.
Manuel ha opposto una leggera resistenza, sostenendo che forse era troppo presto - sono passate a malapena due settimane dall'intervento - e che, forse, il compagno aveva bisogno di ulteriore riposo prima di alzarsi dal letto.
Col senno di poi, ha dovuto arrendersi - che tanto la sua parola non conta molto.
Quindi, adesso è letteralmente immobile con le mani che vanno a stringere la spalliera della sedia così forte da farsi sbiancare le dita. Nervoso, osserva due infermiere che stanno reggendo Simone da entrambe le braccia e lo aiutano a sostenersi su una struttura di metallo con delle rotelle sotto.
«Manuel?». La donna che ha parlato si chiama Vincenza. Ha all'incirca cinquant'anni, porta i capelli corti e color prugna. Ormai la conoscono, considerando il tempo trascorso in ospedale.
Manuel strizza le palpebre e «Sì, arrivo» bofonchia. Si avvicina in maniera lenta al bordo del letto. È goffo perché non sa cosa fare, dove mettere le mani e ha paura di compiere qualche gesto errato e di fare qualche danno.
Vincenza se ne accorge e allora «Vieni qui, al mio posto» lo intima.
Il suo posto è accanto a Simone, sul lato sinistro.
Il ragazzo tenta di obbedire, ancora muovendosi con estrema cautela, facendo attenzione a non toccare nulla tra tutti quei tubicini che ancora sono collegati all'altro - l'ago della flebo sulla mano, il drenaggio.
«Una mano sul fianco, okay?» spiega l'infermiera «Poi vedi, si regge da solo, mh?».
Manuel non ne è molto certo, che si regga effettivamente da solo. Lo vede piuttosto instabile: sulla testa gli è rimasto un grande cerotto che ricopre soprattutto il lato destro, ma Simone ha voluto indossare nuovamente la bandana e ora ne ha una blu con sopra disegnate delle stelle bianche. Il camice gli sta molto largo, anche a causa dell'eccessiva perdita di peso che ha subito, specie nell'ultimo periodo, però ha ricominciato ad alimentarsi da solo - con qualche difficoltà a reggere la forchetta - il che è già un piccolo passo in avanti.
Manuel è ben consapevole del fatto che quei tempi siano necessari e controllati, che sono i dottori a scandirli e quindi, seppur a lui paiono affrettati da un lato e rallentati dall'altro, sono, invece, giusti.
Ciò nonostante, l'angoscia non è in grado di controllarla e allora finisce per essere all'erta in ogni momento.
Anche in quel momento in cui, a fatica, la gamba destra di Simone si muove in avanti e gli fa compie un passo minuscolo, seguita dalla sinistra che deve un po' più trascinare.
«Fa' piano, mh?» si ritrova a sussurrare, mentre osserva e analizza scrupolosamente ogni impercettibile movimento e si trattiene dal desiderio di dire che può bastare, che ha fatto troppo, che deve tornare a letto.
Non se lo perdonerebbe mai e il compagno non glielo perdonerebbe mai.
Difatti, l'ombra di sorriso appare sul volto di Simone quando quel passo riesce a compierlo. Non ha mai pensato a come sia bello camminare: è una di quelle cose che si danno per scontate, del resto, qualcosa di naturale, eppure, per lui, quel gesto quotidiano mancava da parecchio. Certo, lo sta facendo sostenuto da un girello, da un'infermiera e da Manuel, però è già qualcosa.

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Armor
Fanfiction«Ma la felicità è un concetto relativo, Manuel. Non sono io la tua. Prima di incontrarmi lo sei stato e dopo avermi perso, lo sarai di nuovo. Funziona così. Per quanto ci aggrappiamo all'idea che possa dipendere unicamente da una sola persona, la re...