Ci vediamo dopo

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Manuel è sempre stato affascinato dall'effetto farfalla, sebbene si tratti di una teoria prettamente fisica – almeno sulla carta: è quel principio secondo il quale ogni piccola, minuscola ed apparentemente insignificante azione può produrre un grande, gigantesco, colossale cambiamento nel breve e lungo periodo; il che sta a significare che il presente non è altro che il risultato di tanti piccoli gesti avvenuti in passato.

È lo stesso principio che lo porta molte volte a valutare quei se ai quali ha promesso di non pensare.

Per esempio, ha ragionato sul fatto che se non fosse mai stato bocciato per cattiva condotta in terza superiore, non avrebbe mai conosciuto Simone.

Se non avesse mai conosciuto Simone, non avrebbe mai scoperto che gli piacciono anche i ragazzi.

Se non avesse mai scoperto che gli piacciono i ragazzi, non si sarebbe mai innamorato.

Se non si fosse mai innamorato...

In quel preciso istante non sarebbe lì seduto su una panchina di pietra delimitante il parcheggio di un ospedale, col terrore addosso di perderlo, l'amore.

È buffa come concezione: che gli sia capitato qualcosa di così bello, ma al contempo terrificante ad un'età giovane.

È immobile da un tempo che non ha quantificato. Il proprio corpo si è arreso alla forza di gravità: risulta pesante, stanco, vuoto e perso.

Pensa che, nonostante tutti quei se, è probabile che le loro due strade si sarebbero incrociate lo stesso, per opera del...

Okay, il concetto di destino lo ha sempre ritenuto strano - legato a quei se, certo, ma più alle decisioni prese man mano, prese da un singolo individuo che si rende primario e unico artefice del proprio fato.

Ecco, quindi, crede che, in un modo o nell'altro, a discapito dei se, a discapito del destino, lui Simone lo avrebbe incontrato, se ne sarebbe innamorato.

In qualunque circostanza, vita o universo.

Due destini che, ad un certo punto, si sarebbero incrociati in quale modo.

Lo sa che è forse una teoria troppo smielata, troppo ottimista, ma per il momento vuole esserlo, almeno sotto tale aspetto.

Per spazzare via quel pensiero che quella potrebbe essere l'ultima notte.

Manuel scatta in piedi all'improvviso. Ha il fiato corto.

Rientra nel grande edificio dalle pareti bianche, anonime e asettiche, sale le scale, due gradini per volta, per tre piani.

Che poi lui ha sempre odiato gli ospedali.

Rischia di cadere per almeno quattro volte. Si ferma soltanto quando è davanti alla porta socchiusa di quella stanza che ha occupato per giorni. Esita, prima di appoggiare la mano sull'anta e spingerla leggermente.

Sono le 23:56 di sera quando Manuel rientra nella camera dov'è Simone: lo trova adagiato sul letto, con due cuscini dietro alla schiena a sostenergli il busto, le cannule nel naso e gli occhi che faticano a rimanere aperti. Accanto a lui, c'è Floriana, seduta su una sedia di metallo, che sorride apertamente al ragazzo ancora sulla soglia.

Un brivido scorre lungo la schiena di Manuel. Cerca lo sguardo del compagno. Vorrebbe scusarsi per essere rimasto lontano per tutto quel tempo.

Troppo.

Ha respirato per tutto quel tempo? Forse no.

Ma dall'altra parte, a Simone non importa quanto sia passato – perché tanto lo sa che Manuel torna sempre.

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