Rumore

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Quella porta grigia è l'ultima immagine che Manuel ricorda di aver visto.

Poi tutto, all'improvviso, si è offuscato: le gambe hanno ceduto, ogni fibra del proprio corpo lo ha spinto ad arrendersi. Probabilmente è rimasto incosciente delle ore, ma è ancora stanco.

Terribilmente stanco.

Si trova in un letto, quello lo riconosce, però non a casa, nella loro dependance.

No, quella l'avrebbe riconosciuta.

Sarebbe stato un buon risveglio, fingendo di aver vissuto in un incubo. Invece Manuel si ritrova a fissare un soffitto bianco e asettico, con il freddo dentro alle ossa nonostante la coperta che lo avvolge.

Rimane immobile in un primo istante, prendendo una serie di respiri profondi. In seguito, volta il capo, soltanto di pochi centimetri. Vede Anita al proprio fianco, accomodata su una delle solite sedie di metallo che conosce fin troppo bene, e un sorriso stanco stampato sul volto.

«Ehi» sussurra la donna, a voce bassa.

Manuel socchiude le palpebre. «Simone?» è la prima parola che gli esce di bocca.

Ovviamente è la prima parola.

Anita sospira e allunga una mano, a raggiungere la sua. «È ancora dentro» spiega.

Il ragazzo cerca di restare calmo: è ancora dentro implica che sia ancora vivo – che Simone è vivo – quindi va bene. «Ho dormito tanto?».

«Tre ore» la donna rivela e cerca di allargare il sorriso, che stona con tutto il resto: stona con gli occhi arrossati, con i cerchi neri intorno, con l'aria sciupata e i capelli in disordine.

Sono particolari che Manuel nota, eppure non dice nulla poiché immagina che, se si guardasse allo specchio, vedrebbe il medesimo riflesso.

Cerca di esaminare ciò che c'è in quella stanza: è un ambiente piccolo, con una sola finestra che ha le tende tirate ed evita alla luce del sole di trasparire dai vetri; l'unica fonte luminosa è una lampada posta su un comodino accanto al letto.

Lui ha persino un ago conficcato nel braccio, da cui risale un tubicino collegato ad una sacca di plastica con liquido trasparente dentro. Presume gli abbiano fatto una flebo ricostituente – sempre che si dica così – dal momento che non consuma un pasto decente da giorni, non dorme da altrettanti giorni ed è andato avanti a caffè del distributore.

Di certo tre ore di sonno non sono sufficienti a farlo riprendere, non del tutto.

«Non v'hanno detto niente?» sussurra. Lascia perdere sé stesso, ancora una volta. «Se sta andando tutto bene, se...».

«Non hanno detto niente» lo frena Anita. «Se succede qualcosa, c'avverte Dante, mh?».

«Ma...».

«Te devi riposà, tu, Manuel» insiste. «Quando Simone esce dalla sala operatoria, vuole vedere er fidanzato suo fresco come 'na rosa, non un fantasma o uno che non se regge in piedi, okay?».

Quelle parole colpiscono Manuel con leggera violenza. Perché a quello c'ha pensato poco: al fatto che Simone possa vederlo in uno stato del genere, che possa vederlo consumato fino a tal punto, addossandosi tutte le colpe.

Lo sa che va sempre a finire così: Simone si incolpa di ogni cosa e lui non vuole opprimerlo anche con un peso del genere. Per cui, si ritrova ad annuire a stento, mentre la madre gli accarezza una guancia con la punta delle dita.

Così, cullato da quel tocco lieve, chiude gli occhi.

Cerca di sprofondare di nuovo nel sonno, sapendo che, al proprio risveglio, potrà rivedere il volto di Simone.

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