Simone è parzialmente sdraiato sul divano, con davanti la piccola televisione a venticinque pollici posizionata sopra un mobile di legno chiaro, anch'esso recuperato al mercatino dell'usato.
Non sta davvero prestando attenzione alle immagini che scorrono sullo schermo: c'è un film d'azione che neppure gli interessa, quelli che passano la mattina giusto per riempire buchi di programmazione.
Si sente stanco. Di nuovo. È diventata la normalità essere spossati per la maggior parte del tempo. Solo che a dormire non ci riesce bene, a causa di un costante mal di testa che non lo lascia mai in pace e dolori muscolari un po' ovunque.
Non è nemmeno riuscito ad andare a correre, sebbene lo volesse. Ha persino puntato la sveglia presto quella mattina, ma è finito per spegnerla dopo qualche secondo, senza muoversi da sotto le coperte.
«Oh, io sto andando». La voce di Manuel gli giunge alle orecchie in leggero ritardo.
Simone sbatte rapidamente le palpebre. Lo vede in piedi, accanto alla tv, frattanto che si infila una giacca a vento blu e gialla, decisamente troppo leggera per quella stagione.
Considerando il suo abbigliamento – una tuta unica grigia con le cuciture rosse – immagina sia diretto all'officina di Fabio, un conoscente di Anita che, di tanto in tanto, lo chiama per qualche lavoretto su macchine e moto, così da metter via qualche soldo; non è qualcosa di costante, però per il momento è sufficiente, visto che l'affitto non lo pagano.
«Mh-m» biascica soltanto, non prestandogli davvero attenzione.
Di questo, Manuel se ne accorge subito, per cui muove qualche passo distratto, unicamente per avvicinarsi al divano. Dopo si piega sulle ginocchia per essere all'incirca alla stessa altezza del suo volto. «Me lo dai un bacio?» sussurra, inclinando il capo su di un lato.
Simone ci impiega qualche secondo per distogliere lo sguardo dallo schermo e portarlo su di lui. Lo fa solamente per un istante e poi «Perché? Non pensi più che sono stupido?» borbotta.
Manuel alza gli occhi al cielo. «A parte che ho detto solo che te comporti da stupido, non che lo sei» puntualizza «E poi t'ho chiesto un bacio, che c'entra che fai lo stupido?».
Simone gli rivolge un'occhiata rapida e truce. Non ha intenzione di assecondare quella richiesta, per cui rimane immobile, non fa assolutamente nulla. Manuel esita per qualche secondo, prima di sospirare e «Vabbé» conclude, cercando di non far notare il fatto di esserci rimasto male – ancora una volta.
Si rimette in piedi, lento. «Tuo padre è a scuola stamattina, ma mia madre è a casa» annuncia «Dopo passa de qua, m'ha detto».
«Mandi qualcuno a farmi da balia quando non ci sei?» si lamenta Simone «Carino». Ha un tono scontroso, altamente sarcastico e ironico – quel meccanismo di difesa che nell'ultimo mese ha adottato per la maggior parte del tempo.
Manuel deve mordersi la lingua per non scattare – perché lo sa che poi finiscono per discutere e non gli pare il caso. «Passa a salutarti e vedere come stai» tenta di spiegare.
«È la stessa cosa».
«La smetti, per favore?».
No, Simone non ha proprio l'intenzione di smetterla. Piuttosto raccatta il telecomando e, premendo un tasto, spegne la tv. Sbuffa e si alza dal divano, forse in maniera troppo brusca, troppo veloce, poiché non appena assume una posizione eretta, la vista gli si appanna, gli gira la testa e rischia di cadere.
Per sua fortuna, Manuel è rimasto abbastanza vicino da poterlo reggere: lo tiene per un avambraccio, mentre una mano si posa sul suo fianco e «Oh – oh, Simò?» si allarma.

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Armor
Fanfiction«Ma la felicità è un concetto relativo, Manuel. Non sono io la tua. Prima di incontrarmi lo sei stato e dopo avermi perso, lo sarai di nuovo. Funziona così. Per quanto ci aggrappiamo all'idea che possa dipendere unicamente da una sola persona, la re...