Scudo

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Scudo

Tre giorni di marcia dietro le spalle, un'altra giornata e mezza davanti, poi dovevano riposare e pianificare l'assalto sul posto.

Mentre marciava a fianco dei suoi uomini Cato era sempre più pensieroso. Direz gli aveva affidato una missione quasi impossibile da compiere, lui e Torjo avrebbero dovuto conquistare le tre città portuali in una settimana e dopo fortificarle e resistere ad eventuali assalti nemici in attesa del suo arrivo.

Si fermò un istante e fece passare avanti la fila di soldati.

Settecento uomini, tutti a piedi, nessuna macchina d'assedio. Un misto di fanteria leggera e arcieri, pochi lanceri. La loro forza non stava nel numero quanto nella conoscenza del territorio e l'esperienza. Erano tutti veterani della guerra ormai, tutti nati e cresciuti in quella zona. Molte avevano famiglia proprio nelle città costretti ad abbandonarli e con la segreta speranza che non fossero stati uccisi o deportati. Gli Ardiani una volta conquistata una città attuano una scelta, distruggerla del tutto e uccidere la popolazione o usarli come forza lavoro e sostituire gli abitanti piano piano, man mano che muoiono di fatica o semplicemente perché un soldato annoiato voleva esercitarsi con la spada. In più per loro ogni scusa era buona per organizzare qualche impiccagione.

Cato guardò i volti di quei soldati, erano duri e determinati, ma anche se ognuno di loro avesse ucciso cinque nemici prima di cadere, non sarebbe bastato a colmare il loro svantaggio.

Non conoscevano l'ammontare esatto delle forze che dovevano affrontate ma Cato si era fatto un'idea che dovevano essere più di cinquemila. Senza contare i soldati delle navi, solo il presidio di terra.

Anche scatenando una rivolta era quasi impossibile, la popolazione sommata fra le tre città era prima della guerra di quarantamila persone, ridotta di molto durante la conquista e senza contare il tempo sotto il dominio Ardiano che sicuramente aveva portato ad un ulteriore diminuzione.

«Batti la fiacca?»

Torjo gli si era avvicinato. Come lui potava tutto l'equipaggiamento e le armi indosso, più uno zaino dietro le spalle con ulteriore peso, fra vestiti cibo e attrezzatura per l'accampamento. Nessun ufficiale era stato escluso da fare altrettanto, sia per l'assenza di cavali sia per dovere nei confronti dei soldati.

A differenza sua però non portava una lancia come arma primaria, ma una seconda spada bastarda che teneva in un fodero in mano e ogni tanto appoggiava su una spalla.

«Davo uno sguardo alla truppa, mi sembrano ancora in forze nonostante la camminata.» Ripresero entrambi la marcia uno di fianco all'altro.

«Sono contenti di tornare a casa e ansiosi di restituire il mal tolto ai nostri cari vicini. E lo sono anche io, mio fratello si era trovato una donna del posto e si era trasferito qui anni fa. Ha perso tutto ed è scappato a sud con la famiglia. Per poco non ci lasciava le penne.» Rise agguerrito e alcuni soldati che lo avevano sentito fecero dei versi d'assenso.

Cato si allontano un po' dalle loro orecchie fece un cenno a Torjo.

«Non sarà facile lo sai. Mi preoccupano molto le spie. Siamo troppo vulnerabili in marcia.»

«Se ci attaccassero ci sterminerebbero tutti, dubito quindi che una spia si trova fra di noi e quando siamo partiti abbiamo deviato solo dopo un giorno di marcia. Tecnicamente anche se ci fosse una spia sarebbe rimasta al campo e avrebbe comunicato la posizione sbagliata.»

Cato non aggiunse altri dubbi al discorso, non conosceva bene il monte che avrebbe coperto la loro marcia ma sperava non fosse pattugliato. Una volta aggirato quel passo sarebbero sbucati a nord delle montagne a quel punto si sarebbero uniti agli uomini infiltrati e avrebbero messo in atto una conquista silenziosa.

La Quercia StortaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora