Ceneri

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Ramat era completamente bruciata, l'odore della città era nauseabondo. Olio legna e carne avevano creato una cortina nera e densa che persino la brezza marina faticava a dissolvere.

Cato era seduto su una piccola roccia. Osservava i suoi uomini entrare in citta e occuparsi di possibili superstiti. La gente delle altre citta aiutava con le lacrime agli occhi, avevano vinto ma il prezzo era stato alto.

Lui era ancora stanco e non riusciva nemmeno ad alzarsi. Rimase li senza muoversi per almeno un'ora, tanto che più di una volta qualcuno si era fermato a chiedergli se stava bene e se gli serviva aiuto.

Osservare quell'ammasso di macerie, quello che fino un giorno prima era una città lo colpì molto. Aveva visto gli orrori della guerra ma solo in quel momento si rese conto della reale alchimia con la quale plasmava il mondo. Non era solo il sangue che imbrattava i campi e le strade, non erano le foreste bruciate, ne le città distrutte. Era tutto. Una ferita che solcava la terra creando una cicatrice indelebile se non dopo il passaggio di molte generazioni.

Si fece buio, solo allora capì che era passato un intero giorno. Fu allora che qualcuno gli si avvicino.

«Fa riflettere vero?»

Direz era arrivato, si mise accanto a lui in piedi ad osservare il medesimo spettacolo.

«Si...abbiamo vinto ma anche perso.»

«Una consapevolezza amara, ogni morte è una sconfitta, ogni conquista mille disfatte. Un concetto sia banale sia profondo difficile che chi ha una corona in testa lo comprenda a pieno non trovi?»

Cato non rispose, la sua mente non era di certo stanca come il corpo, ma era troppo frastornato per poter cogliere ogni sfumatura dei discorsi di Direz.

Si alzò per guardarsi alle spalle, molte luci fiaccole lanterne e quant'altro. L'esercito era finalmente arrivato e aveva trovato le città conquistate.

«Qualche nave di Ramat si è salvata, ci sono le macchine d'assedio. Quelle dell'altro porto sono quasi tutte intatte. Agurtzane ha fatto catturare qualche loro ingegnere.»

«Si sono già stato informato. Domani dovremo già muoverci e portarci tutto dietro. Parte per nave parte per terra, sarà una marcia più lenta ma l'occasione che abbiamo ora non è da perdere. Un ribaltamento del campo di guerra.»

Cato fece il saluto militare e chinò il capo, poi si allontanò. Direz non disse nulla ma sorrise. Vedeva in Cato sempre di più uno spirito affine.

Prima della partenza come al solito Direz organizzò una riunione fra i comandanti. Benché il loro grado non fosse ancora cambiato Cato e Torjo furono lo stesso trattati con maggior rispetto anche dai superiori, persino i vecchi comandanti avevano cambiato molto del loro atteggiamento, ma solo per riversare occhiate sprezzanti e sbuffi verso una nuova aggiunta. Direz aveva insistito che anche Agurtzane si unisse a loro. La donna non aveva perso il titolo di comandate della ribellione, e quell'invito ufficializzava il suo ruolo all'interno dell'esercito regolare.

«Come abbiamo pianificato, la conquista delle città di confine deve iniziare. Dobbiamo ricreare un muro difensivo fra le nostre terre e quelle degli Ardiani. E dobbiamo farlo ora, non avremo altre occasioni.»

Direz illustrava il suo piano puntando il dito sulla mappa e illustrando le varie fasi delle sue manovre future, quasi tutti erano attenti ma Cato e pochi altri ogni tanto sembravano distrarsi.

Notava alcuni passaggi strani. Un movimento inusuale delle truppe sul terreno una strategia regolare quando si presentava la garanzia di una manovra avventata e innovativa. Cato non ebbe difficoltà a capire cosa stava succedendo dopo il secondo passaggio.

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