Capitolo 8

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Aprii gli occhi. Intorno a me non c'era alcun rumore, un silenzio abissale. Dalla finestra filtrava molta polvere, e passava una luce color vino. Tentai di uscire dalla mia crisalide, ma non riuscii a spiccare il volo; i miei arti erano come paralizzati, non riuscivo a percepire alcuna sensazione. Pian piano tornò la sensibilità, e riuscii a muovere le braccia, e dopo qualche minuto anche le gambe.

Mi muovevo goffamente e non avevo alcun indizio sull'anno in cui mi trovavo. Avevo fame, ma chiaramente tutto il cibo in mio possesso era ormai scaduto da tempo.

Il silenzio faceva paura, e mi diressi all'ingresso.

Giunto alla maniglia, una sensazione di colpevolezza, di maligno, di morte, colpì la mia coscienza, ed esitai, fissando quella protuberanza metallica che avrebbe rivelato il frutto delle mie scelte.

Girai la maniglia dorata, e ciò che vidi mi turbò nel profondo.

Descriverò con attenzione e precisione un momento durato pochi attimi, attimi dispendiosi per il mio fragile animo.

Il cielo era scarlatto e il vento trasportava con sé grandi quantità di pulviscoli e rena, l'asfalto sul terreno era interamente ricoperto di polvere e sabbia, tanto che i miei piedi erano quasi del tutto affondati nella terra. L'aria risultava pesante per i miei polmoni e per le mie membra ancora semiaddormentate.

Sull'asfalto si stagliavano innumerevoli creature, in apparenza umane. Erano nudi, senza alcun pelo, incredibilmente magri, con le grinze della pelle che pendevano dal corpo. La pelle era quasi del tutto collassata, piena di buchi e scavature, e si intravedevano la muscolatura e le ossa al di sotto. Ad alcuni mancava il corpo dalla vita in giù, trascinandosi tramite il solo ausilio delle braccia, e da ciò ne dedussi che quelle mostruosità dovevano avere una forza sovrumana.

Come facevano a reggersi in piedi delle creature in apparenza così deboli?

Molti avevano dei volti umani, smunti, incavati, altri invece il volto non ce lo avevano proprio.

Colsi molti di loro nell'atto di cibarsi di chissà quali carni.

Il sangue e secrezioni varie rigavano il loro corpo nudo e pallido, e la sabbia tutt'intorno era divenuto un tessuto damascato cremisi. Staccavano le carni con i loro denti piccoli e traballanti, e alcuni di quegli stessi denti venivano fuori dalle tumide gengive ad ogni morso. I loro occhi erano rivolti verso di me, verso l'estraneo, un essere a loro alieno.

Sentii il mio stomaco strizzarsi come un panno zuppo d'acqua, ed essere strappato via dal corpo con un gesto secco.

Le mie corde vocali emisero, per il terrore, un urlo poco mascolino, ma abbastanza convinto da far fuggire tutti quegli esseri, come tanti piccioni. Io allora, non sapendo che fare tentai di inseguirli, ma questi mi fissavano terrorizzati, il loro unico scopo era quello di fuggire.

Avevano paura di me.

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