«Su quelle gambe. Non siamo in un circo ma in un Accademia di Danza» la professoressa di danza contemporanea non fa altro che urlare da più di mezz'ora contro di noi.
È da quasi tutta la mattinata che non facciamo altro che danzare senza mai fermarci e le mie gambe supplicano di sedersi per almeno di cinque minuti.
Alcune si lamentano in silenzio, altre come me, preferiscono non farlo per non essere sorprese dalla Romano. Tutti nell'Accademia hanno paura di lei io compresa per questo non voglio essere sgridata singolarmente perché se riesci a farla innervosire, lei ti farà sempre fare il doppio delle altre, quasi a dover svenire in aula.
Per fortuna le ore sono finite è appena tolgo le scarpette mi massaggio i piedi doloranti facendo attenzione alle piccole ferite che ci sono che bruciano da morire.
Mi siedo in mezzo all'aula da sola, con qualche lacrima che scivola lungo le mie guance. Un po' per per il dolore che mi causano le gambe e un po' per tutto.
Mia madre in questi giorni che sono passati non vuole parlare con nessuno e mio fratello cerca con tutto se stesso a farla uscire dalla sua stanza ma lei vuole restare nel buio un altro po decidendo lei quando uscire da quella casa troppo piccola per lei.
Mi prendo la testa fra le mani cercando di trovare una maniera per la sua cura ma se lei non vuole uscire dalla sua malattia, io come posso fare per poterla aiutare?
«Hey tesoro» sussulto quando sento chiamare il mio nome è alzando il capo mi ritrovo Georgina, Cristiano e Paulo che mi guardano sull'uscio della porta.
«Hey ragazzi» dico sorridendo leggermente, cercando di scacciare via le mie lacrime dal viso con scarsi risultati dato che loro se ne accorgono.
«Perché piangi?» la mia amica si avvicina a me piegandosi sulle ginocchia per arrivare alla mia altezza.
«Non mi sento più le gambe e sento un dolore atroce» dico una mezza verità. Non mi era mai successa una cosa del genere. «Non riesco a muoverle»
«Vuoi che ti prenda del ghiaccio? O qualcosa da bere?» chiede preoccupata mentre mi accarezza le gambe come se potessero fare meno male.
Annuiscono e mi lasciano da sola con Paulo, che resta a guardarmi con le braccia incrociate appoggiato allo stipite della porta con un fastidioso sorriso sulle labbra.
«Non ce nulla da ridere» lo guardo male. Come può ridere del dolore di un'altra persona.
«Vuoi una mano nenã?» mi prende ancora in giro.
«No grazie, ce l'ha faccio da sola senza il tuo aiuto» cerco di alzarmi ma cado come una pera cotta facendomi ancora più male è trattengo le lacrime.
Si avvicina a me e inaspettatamente mi solleva con le sue braccia forti e mi trasporta in braccio come una principessa.
«Io credo che ti serva» lo guardo dal basso e da qui posso ammirare da ancora più vicino le particolarità del suo viso, della sua mascella definita e della vena che sporge leggermente sul collo.
Inoltre il contatto con il suo corpo mi fa arrossire subito facendomi assumere sicuramente il colore di un pomodoro.
Mi poggia delicatamente sulla panca in legno accostata vicino al muro e sospiro quando le sue braccia abbandonando il mio corpo.
«Cavolo, e la prima volta che compi un gesto carino nei miei confronti da quando ci siamo conosciuti» dico ridacchiano ma sicuramente non per divertimento.
«Infatti questa è stata la prima è l'ultima volta ragazzina» mi guarda male sedendosi al mio fianco.
«Perché continui a chiamarmi ragazzina? Sai qual è il mio nome, chiamami con quello» dico con spavalderia ma appena i suoi occhi mi guardano, mi faccio piccola e tutta l'audacia che prima avevo, scompare del tutto.
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Pazza di te //Paulo Dybala
RomanceLei era una ragazza comune italiana di origine indiana, appassionata di libri e che crede fortemente nell'amore aspettando che anche il suo momento verrà. Aspetta il principe azzurro che busserà alla porta del suo cuore che dopo tante ferite cerca d...